Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13187 del 28/05/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13187 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 1949-2008 proposto da:
COOP. ORTOFLOROFRUTTICOLTORI VERSILIA C.O.V. S.R.L. IN
LIQ., in persona del Presidente pro-tempore Sig.
ANTONIO LARI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
ANGELICO

88,

presso lo studio dell’avvocato SCARPA

RICCARDO, che la rappresenta e difende unitamente
2013
744

all’avvocato CECCHETTI RAFFAELLO giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

COOP. LA LUCCHESE SOC. ;

1

Data pubblicazione: 28/05/2013

- intimato –

avverso la sentenza n. 1913/2006 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 07/12/2006 R.G.N. 1982/2000;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/03/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

2

D’AMICO;

Svolgimento del processo

La Cooperativa Ortoflorifrutticoltori della Versilia COV
srl convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Lucca la
Cooperativa Ortofrutticola Lucchese esponendo che all’interno
del mercato ortofrutticolo di Lucca la convenuta aveva

propria cella frigorifera all’impianto elettrico relativo alla
cella di essa attrice così determinando un aumento di consumi
elettrici per la Cov e il deterioramento di merce conseguente
agli sbalzi di tensione elettrica dovuti al sovraccarico.
Chiese pertanto il risarcimento del danno dal quale andava
detratta la somma di £ 10.000.000 già corrisposta da parte
convenuta.
Quest’ultima si costituì contestando la domanda ed
affermando che la suddetta somma, già versata, doveva ritenersi
soddisfattiva del credito di parte attrice.
Il Tribunale di Lucca rigettò la domanda della COV che
propose appello.
Si costituì l’appellata contestando la domanda attrice e
concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della
sentenza di primo grado.
Con ordinanza 26 novembre 2002 – 7 gennaio 2003 la Corte
d’Appello, ha ammesso la prova testimoniale.
All’udienza del 30 ottobre 2003 è stato escusso il teste
Enrico Ragghianti mentre l’appellante ha fatto presente che
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illegittimamente tenuto allacciata per cinque anni e mezzo la

l’altro teste, Ivano Zini, era nel frattempo deceduto ed ha
chiesto di poterlo sostituire con altro teste, Luigi Lemmetti.
Il C.I. non ha ammeso la sostituzione.
La Corte d’Appello ha respinto il gravame proposto dalla
Cooperativa Ortoflorifrutticoltori della Versilia COV srl

Propone ricorso per cassazione quest’ultima con due
motivi.
Parte intimata non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

Con

il

primo

motivo

del

ricorso

si

denuncia

«Preliminarmente: art. 360 n. 3 c.p.c.: Violazione dell’art.
105 disp. Att. c.p.c. sulla richiesta del teste deceduto.»
Assume il ricorrente: che all’udienza di espletamento
della prova per testi egli faceva presente al C.I. che il teste
Zini era deceduto e chiedeva di poterlo sostituire con il teste
Lemmetti; che il Giudice, in violazione dell’art. 104 comma l,
disp. att. c.p.c. respingeva l’istanza di sostituzione
argomentando che questa non era possibile ai sensi dell’art.
257 c.p.c.
Il motivo è infondato.
La decisione della Corte d’Appello è infatti corretta
perché conforme all’orientamento di questa Corte la quale ha
più volte affermato come in materia di prova testimoniale la
facoltà, attribuita al giudice dall’art. 244 terzo comma c.p.c,
4

avverso la sentenza del Tribunale di Lucca.

di assegnare alle parti un termine per formulare ed integrare
le indicazioni delle persone da chiamare a deporre, incontri un
limite temporale invalicabile nell’inizio dell’assunzione della
prova (Cass. 16 marzo 1981 n. 1444); e come l’assunzione dei
testi, non preventivamente e specificamente indicati, possa

la cui enunciazione deve ritenersi tassativa, dal momento che
l’obbligo della rituale indicazione è inderogabile e che la
preclusione ex art. 244 c.p.c. ha il suo fondamento nel sistema
del vigente codice, inquadrandosi nel principio, espresso dallo
stesso art. 244, secondo il quale il giudice provvede
sull’ammissibilità delle prove formulate e sui testi da
escutere con una valutazione sincrona e complessiva delle
istanze sottoposte al suo esame da tutte le parti. Di
conseguenza, la parte non può pretendere di sostituire i testi,
deceduti prima dell’assunzione, con altri che non siano stati
da essa indicati nei modi e nei termini previsti dall’art. 244
c.p.c. (Cass. 8 settembre 1988 n. 5095; Cass., 29 aprile 1992,
n. 6515)
Non può invece applicarsi, per analogia, l’art. 104 disp.
att. c.p.c. che opera soltanto sul diverso versante della
mancata citazione.
Qualora, una volta ammessa la prova testimoniale con
l’indicazione delle persone da assumere e fissata l’udienza per
la loro escussione, sopravvenga il decesso di uno dei testi
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essere consentita solo nei casi previsti dall’art. 257 c.p.c.,

ammessi e la parte deducente non abbia provveduto alla sua
intimazione per l’udienza di assunzione, tale parte non incorre
nella decadenza prevista dal primo comma dell’art. 104 disp.
att. c.p.c., dovendo piuttosto trovare applicazione analogica rispetto a questa ipotesi non disciplinata dal codice di rito –

che consente di ritenere giustificata l’omissione e legittima
il giudice a fissare, con successiva ordinanza, una nuova
udienza per l’assunzione della prova previa sostituzione del
teste deceduto, siccome, anche in tal caso, si impone
l’esigenza di evitare la decadenza determinata da un
inadempimento processuale della parte che sia stato causato da
un suo giustificato impedimento (Cass., 21 luglio 2006, n.
16764).
Il ricorrente, per l’applicazione analogica dell’art. 104
disp. att. c.p.c., avrebbe dovuto indicare, sia nel quesito che
nel motivo, se il teste era stato o no intimato.
In assenza di tale indicazione non può essere applicata la
suddetta norma.
Con il secondo motivo si denuncia «Violazione delle norme
di cui all’art. 1369, 1371 c.c. relativamente alla
interpretazione del teste assunto in appello: Erronea e
contraddittoria motivazione sul punto (art. 360 n. 3 e 5
c.p.c.»

6

.Y-

la norma contemplata nel secondo comma di detta disposizione

Secondo la ricorrente l’impugnata sentenza è viziata da
una erronea interpretazione della prova testimoniale assunta
laddove si afferma che essa non avrebbe dato la prova
dell’entità dei danni subiti.
Il motivo è infondato.

sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie
risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto
riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere
il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più
attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione
degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati
dalle parti (Cass., 7 gennaio 2009, n. 42).
Secondo la Corte non va dimenticato che parte attrice ha
agito in giudizio non già per chiedere l’adempimento di un
presunto accordo transattivo, che al contrario ritiene superato
a causa del comportamento della convenuta, bensì per sentire
affermare la responsabilità della Coop La Lucchese per tutti i
danni in concreto subiti.
La Corte, ritenendo che parte attrice non ha dato alcuna
prova del danno ha confermato la sentenza di primo grado.
E comunque la condanna al risarcimento non potrebbe
fondarsi sulla vaga deposizione dell’unico teste escusso.

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La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio

Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere quindi
rigettato, mentre in assenza di attività difensiva di parte
intimata nulla deve disporsi per le spese del giudizio di
cassazione.
P.Q.M.

del giudizio di cassazione.
Roma, 27 marzo 2013

La Corte rigetta il ricorso e nulla dispone per le spese

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