Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13184 del 16/06/2011

Cassazione civile sez. III, 16/06/2011, (ud. 29/04/2011, dep. 16/06/2011), n.13184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12760/2009 proposto da:

Z.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA OMBRONE 12, presso lo studio dell’avvocato DI BIAGIO Mario, che

la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

C.G. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 14508/2008 del TRIBUNALE di ROMA, Sezione

Quarta Civile, emessa il 02/07/2008, depositata il 03/07/2008; R.G.N.

51457/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

29/04/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato DE BIAGIO MARIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del 1^ motivo

di ricorso e accoglimento del 2^ motivo.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Z.A. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 3 luglio 2008, che ha accolto l’opposizione all’esecuzione proposta nei suoi confronti dall’ex coniuge C.G. dichiarando non dovute le somme pretese dalla Z. a titolo di mantenimento del figlio perchè questi divenuto maggiorenne e non convivente con la madre affidataria, aveva acquistato una legittimazione iure proprio ad ottenere dall’altro genitore il contributo al proprio mantenimento e nella specie conviveva abitualmente con il padre non affidatario.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

2.1. la ricorrente denuncia, nel primo motivo, violazione dell’art. 615 c.p.c., comma 2, in rel. all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, chiedendo alla Corte se possa ritenersi ammissibile e precedibile l’opposizione proposta ai sensi di detta norma introdotta con la sola notifica del ricorso senza il preventivo deposito in cancelleria dello stesso e senza il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti e del termine per la notifica del ricorso. La censura non coglie nel segno ed è formulata in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non specificando come la pretesa irregolarità nell’introduzione dell’opposizione, peraltro avvenuta con atto tempestivamente notificato v. sentenza impugnata, pag. 3) abbia inciso negativamente sul diritto di difesa dell’odierna ricorrente.

Invero, deve ribadirsi che l’art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato errox In procedendo (Cass. n. 6686/10; 4340/10; 4435(08; S.U. 16898/06). In ogni caso, va ribadito che l’opposizione può essere proposta senza l’osservanza della forma stabilita dall’art. 615 c.p.c. – quando tra le parti si è instaurato il contraddittorio sull’oggetto dell’opposizione e la parte contro cui è proposta sia stata messa in condizione di difendersi (Cass. n. 571 del 2003; v.

anche Cass. n. 27162/06).

2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., L. n. 898 del 1970, artt. 6 e 9, art. 112 c.p.c. e art. 615 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e chiede alla Corte se, nel caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e ove la sentenza preveda che uno dei genitori debba corrispondere all’altro un assegno di mantenimento per il figlio, il relativo obbligo viene automaticamente a cessare con il raggiungimento della maggiore età di quest’ultimo, circostanza per cui il genitore tenuto a corrispondere l’assegno può agire ex art. 615 c.p.c., ovvero se debba istaurarsi il procedimento in Camera di consiglio ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, per la modifica del titolo.

2.3.1. La censura è fondata. Va premesso che la legittimazione del figlio divenuto maggiorenne non esclude quella della madre affidataria e titolare dell’assegno di mantenimento per detto figlio in base alla sentenza di divorzio, dovendosi ribadire che “il coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, è legittimato iure proprio, anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ove sia con lui convivente e non economicamente autosufficiente, ad ottenere dall’altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio; ne discende che ciascuna legittimazione è concorrente con l’altra, senza, tuttavia, che possa ravvisarsi un’ipotesi di solidarietà attiva, ai cui principi è possibile ricorrere solo in via analogica, trattandosi di diritti autonomi e non del medesimo diritto attribuito a più persone” (Cass. n. 21437/07). D’altra parte, l’obbligo dei genitori di concorrere tra loro secondo le regole dell’art. 148 c.c., al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma continua invariato finchè i genitori o il genitore interessato non provi che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica oppure che è stato da loro posto nella concreta posizione di poter essere autosufficiente, ma non ne abbia tratto profitto per sua colpa (Cass. n. 2670/98; 4765/02; 8221/06; 407/07. Si tratta, quindi, di un mutamento delle circostanze che va accertato in sede di modifica delle condizioni del divorzio.

2.3.2. Ne deriva, quanto al caso di specie, che il giudice territoriale non avrebbe potuto ritenere illegittimamente azionata la pretesa da parte della Z. per il semplice raggiungimento della maggiore età da parte del figlio. D’altra parte, l’obbligato, per conseguire la soppressione o la decurtazione dell’assegno, avrebbe dovuto chiedere la modifica della sentenza di divorzio, attraverso il procedimento camerale di revisione delle relative disposizioni contenute nella sentenza medesima, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 13. Era, invece, da escludere la possibilità di conseguire questo risultato attraverso il rimedio dell’opposizione all’esecuzione, essendosi in presenza di un fatto successivo alla formazione del titolo, il cui accertamento non poteva non avere luogo nell’ambito del procedimento innanzi indicato, al quale avrebbe dovuto necessariamente fare ricorso il soggetto del giudizio di divorzio che avesse inteso conseguire la diminuzione della misura dell’assegno. La diversa conclusione cui è pervenuto il giudice del merito non si sottrae pertanto a censura, nella misura in cui, con essa, si finisce con il riconoscere al soggetto obbligato alla erogazione dell’assegno di divorzio la facoltà di procedere unilateralmente alla sua riduzione, salvo il successivo controllo in sede di opposizione all’esecuzione, esercitatile nel caso in cui l’avente diritto azioni il titolo per l’intero (Cass. 1 aprile 1994 n. 3225).

3. Pertanto, dichiarato inammissibile il primo motivo ed accolto il secondo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può decidersi nel merito, con il rigetto dell’opposizione proposta dal C.. Le spese dell’intero giudizio vanno compensate ricorrendone giusti motivi, in considerazione della peculiarità della res litigiosa.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta da C.G.. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2011

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