Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13183 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. III, 17/05/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 17/05/2021), n.13183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34112/2018 R.G. proposto da:

B.G., in proprio ex art. 86 c.p.c., domiciliato in Roma

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

U.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1847/2017 della Corte d’Appello di Milano,

depositata il 28/04/2018.

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 gennaio

2021 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

 

Fatto

RILEVATO

che:

U.G., con citazione del 26 agosto 2013, conveniva, dinanzi al Tribunale di Pavia, l’Avvocato B.G., chiedendo che, accertatane la responsabilità professionale per non aver tempestivamente proposto l’azione risarcitoria nei confronti di D.G., fosse condannato a risarcirgli le spese sopportate per avere agito dinanzi al Tribunale di Brescia, le somme spese per l’impianto delle protesi dentarie, reso necessario a seguito dell’aggressione subita da parte di D.G., nonchè il danno biologico e morale conseguenti dell’aggressione, quantificati in Euro 13.279,93.

A tal fine assumeva di aver conferito a B.G. mandato ad intentare una causa risarcitoria nei confronti di D.G. che lo aveva aggredito improvvisamente e senza motivo, causandogli lesioni all’apparato masticatorio. Il Tribunale di Brescia, però, con sentenza, emessa in data 15 gennaio 2019, dichiarava prescritto il suo diritto al risarcimento, poichè la comunicazione del 22 giugno 2001, inviata dall’avvocato B. a D.G., al fine di interrompere la prescrizione, non aveva sortito alcun effetto, essendo stata inviata ad un indirizzo errato, e l’atto di citazione era stato notificato solo il 25 febbraio 2005, una volta decorso il termine prescrizionale di cinque anni.

B.G. si costituiva, eccependo che il rigetto della domanda risarcitoria, da parte del Tribunale di Brescia, era stato determinato non solo dall’intervenuta prescrizione, ma anche dalla diversa ricostruzione dei fatti fornita in giudizio da D.G. – che aveva denunciato di essere stato lui stesso vittima di immotivata aggressione da parte di U.G. nonchè dalla mancata dimostrazione in giudizio, da parte del nuovo rappresentante legale di U.G., del diverso regime prescrizionale derivante dalla proposizione di un procedimento penale a carico di D.G., innanzi al Tribunale di Ancona. Aggiungeva che mancava la dimostrazione che gli importi che U.G. era stato condannato a corrispondere dalla sentenza del Tribunale di Brescia n. 83/2009 fossero stati effettivamente versati, che non vi era prova dei criteri di calcolo utilizzati per quantificare la richiesta risarcitoria del danno biologico e morale cagionati dall’aggressione asseritamente subita; otteneva, infine, di chiamare in giudizio la propria compagnia assicurativa, Generali Italia, la quale si costituiva, eccependo l’inoperatività della polizza.

Il Tribunale di Pavia, con sentenza n. 18/2017, accoglieva la domanda e condannava B.G. a corrispondere a U.G. la somma di Euro 12.087,00, ed a rimborsargli le spese di lite e di CTU; dichiarava l’estinzione del giudizio tra il convenuto e Generali Italia, avendo il primo dichiarato di rinunciare alla domanda nei confronti della terza chiamata.

B.G. interponeva appello dinanzi alla Corte d’Appello di Milano che, con la sentenza n. 2082-2018, oggetto dell’odierno ricorso, riformava parzialmente la decisione di prime cure, riducendo l’importo che B.G. era tenuto a corrispondere a U.G., determinandolo in Euro 8.507,00, e compensava le spese di lite nella misura di un terzo, ponendo i restanti due terzi a carico dell’appellante.

B.G. ricorre per la cassazione della suddetta sentenza affidandosi a tre motivi.

Nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da U.G..

Il ricorso è trattato in data odierna in Camera di Consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., dopo due rinvii, quello del 25 febbraio 2020 e quello del 21 ottobre 2020, per impedimento del relatore allora designato.

Il Pubblico ministero ha depositato le sue conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “Violazione del disposto di cui all’art. 2236 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, avendo la Corte territoriale affermato la sua responsabilità professionale, non sulla scorta di un giudizio prognostico sul probabile esito della causa, ma su un giudizio scaturito da una valutazione ex post della prova dei fatti posti a base della domanda. Il Tribunale avrebbe, infatti, espletato un’attività istruttoria in relazione agli accadimenti svoltisi il (OMISSIS) tra U.G. e D.G. e lo avrebbe erroneamente onerato della prova di una versione alternativa allo svolgimento dei fatti, condannandolo per il mancato assolvimento di detto onere. E la Corte territoriale, anzichè accogliere il suo appello, avrebbe, secondo il suo avviso, altrettanto erroneamente confermato la decisione di prime cure.

2. Con il secondo motivo il ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello di aver violato o falsamente applicato l’art. 2700 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente ipotizza che se il Tribunale non avesse disposto una nuova istruttoria e si fosse limitato ad esaminare i documenti prodotti da U.G. – cioè, l’atto di citazione, la querela, la comparsa di costituzione di D.G., i documenti attestanti il danno fisico, le spese sostenute -non avrebbe potuto raccogliere la testimonianza di T.F. che, a distanza di 19 anni, aveva fornito una descrizione della aggressione diversa da quella – asseritamente assistita da pubblica fede – che U.G. aveva reso ai Carabinieri della stazione di Montemarciano in data (OMISSIS), allorchè aveva proposto querela, e quindi, non avrebbe potuto ritenere che, in assenza della sua condotta omissiva, la domanda risarcitoria di U.G. sarebbe stata accolta. La Corte d’Appello avrebbe dovuto riformare tale sentenza, perchè il Tribunale non aveva deciso sulla base della documentazione prodotta all’atto della domanda, bensì sulla scorta della nuova istruttoria illegittimamente espletata, ammettendo una prova testimoniale che contrastava, quanto alla descrizione della dinamica dell’aggressione, con un atto dotato di pubblica fede, quale doveva considerarsi la descrizione resa ai carabinieri da U.G. all’atto della proposizione della querela.

3. Il primo motivo non può essere accolto.

Il ricorrente contesta, a torto, che il giudice di appello abbia avallato l’operato del Tribunale che aveva proceduto – una volta accertato con ampia motivazione che correttamente era stata dichiarata la prescrizione nel giudizio introdotto da U.G. e che era infondata la prospettazione difensiva dell’avvocato B., nel senso che l’eccezione di prescrizione si sarebbe potuta superare argomentando una diversa durata della prescrizione – allo svolgimento del giudizio prognostico previa istruzione sulla sussistenza della responsabilità di D.G.. Il giudice di merito di primo grado lo ha fatto opportunamente, in quanto la causa erroneamente introdotta dall’odierno ricorrente, aveva accertato solo l’infondatezza della domanda per prescrizione, cioè per una causa a lui addebitabile, ed aveva respinto la domanda risarcitoria di U.G. esclusivamente per tale ragione.

L’illustrazione a supporto del motivo non è affatto volta a sostenere che la situazione processuale esistente nella causa introdotta con il patrocinio di B.G. e proseguita da altro difensore sarebbe stata tale che, al di là della fondatezza dell’eccezione di prescrizione come assorbente ragione di rigetto, U.G., se si fosse istruita la causa, non sarebbe riuscito a dimostrare la fondatezza della sua domanda per altre ragioni: e, particolarmente, o per non avere dedotto al riguardo prove oppure per averle dedotte, ma in violazione di preclusioni, oppure per l’esistenza di prove contrarie ostative all’accoglimento fatte valere dalla controparte ed acquisibili o acquisite al processo.

In altri termini, correttamente il giudice di primo grado della presente controversia, una volta affermata l’esistenza dell’inadempimento dell’odierno ricorrente, consistito nell’avere introdotto l’azione quando il diritto era prescritto, ha proceduto a vagliare se la richiesta risarcitoria avrebbe potuto essere accolta nell’interesse di U.G., qualora la prescrizione fosse stata evitata.

Solo se la domanda per come introdotta nel giudizio proposto tardivamente fosse stata altrimenti infondata e comunque destinata ad essere respinta per ragioni diverse da quella, dipendente dal comportamento dell’odierno ricorrente, allora quel giudice non avrebbe potuto procedere all’istruzione sulla fondatezza della domanda, in quanto la responsabilità di B.G. era invocata con riferimento alla situazione della domanda per come atteggiantesi nel processo da lui tardivamente introdotto.

4. Il secondo motivo parrebbe sottendere che, poichè nella querela non era stato indicato come teste T.F., si sarebbe violato il contenuto dell’atto come consacrante la descrizione dell’aggressione e, dunque, le dichiarazioni fatte dal querelante. Nondimeno, la deduzione della prova testimoniale non ha avuto il significato di contestare quanto dichiarato da U.G., limitandosi ad aggiungere un fatto, quello della presenza del teste. Sicchè, la testimonianza non era inammissibile in quanto inerente a fatti contrastanti con la querela.

In realtà, volendo sollecitare una valutazione sulla circostanza che in essa non si fosse indicato il nominativo del teste poi assunto, il motivo in parte qua si concreta in una sollecitazione a censurare l’apprezzamento della testimonianza e, dunque, sollecita questa Corte a rivalutare la quaestio facti al di là di quanto consentito dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5. Inoltre, si osserva che il ricorrente nemmeno adempie all’onere di indicazione specifica del contenuto della testimonianza.

La censura di violazione dell’art. 115 c.p.c., è strettamente dipendente da quella, infondata, sull’art. 2700 c.c..

4. Il motivo è, pertanto, infondato.

5. Il ricorso va, dunque, rigettato.

6. Nulla deve essere liquidato per le spese, data l’inattività in questa sede dell’intimato.

7. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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