Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13182 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. III, 17/05/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 17/05/2021), n.13182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6647/2019 R.G. proposto da:

Sapio Produzione Idrogeno Ossigeno S.r.l., rappresentata e difesa

dall’Avv. Filadelfo Chirico;

– ricorrente –

contro

Cirio del Monte Italia S.p.a., in amministrazione straordinaria,

rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Claudio Russo, con domicilio

eletto presso il suo studio in Roma, Viale Bruno Buozzi, n. 53;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4729/2018

depositata il 10 luglio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 gennaio

2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto notificato il 28/7/2008 Cirio del Monte Italia S.p.a. in amministrazione straordinaria (d’ora innanzi Cirio S.p.a. in a.s.) convenne in giudizio avanti il Tribunale di Roma la Sapio Produzione Idrogeno Ossigeno S.r.l. (d’ora in poi Sapio S.r.l.) proponendo azione revocatoria, L. Fall., ex art. 67, comma 2 (nel testo originario, vigente al 7/8/2003, data di apertura della procedura di a.s.), con riferimento a due pagamenti, per complessivi Euro 81.233,75, eseguiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza.

Sapio S.r.l. vi resistette, eccependo che le fatture cui si riferivano i pagamenti si inserivano in un rapporto di somministrazione relativo a fornitura di gas già in corso prima dell’ammissione della committente alla amministrazione straordinaria e che in tale rapporto era subentrata la procedura, con la conseguenza che doveva trovare applicazione la L. Fall., art. 74, richiamato dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 51, secondo cui il curatore che subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica deve pagare integralmente il prezzo delle consegne già avvenute.

Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo mancare la prova dei dedotti pagamenti.

2. In accoglimento del gravame interposto dalla Cirio S.p.a. in a.s. e in conseguente integrale riforma della decisione di primo grado, la Corte d’appello di Roma ha condannato Sapio srl al pagamento, in favore dell’appellante, della somma oggetto di revocatoria, oltre interessi dalla domanda.

Con riferimento alla riproposta eccezione dell’appellata, fondata sugli effetti dell’asserito subentro della società in a.s. nel rapporto di somministrazione, la Corte capitolina ha, in motivazione, rilevato che:

a) “l’appellata avrebbe dovuto specificamente allegare nella comparsa in appello gli elementi da cui poteva trarsi la conclusione del subentro della procedura nell’asserito rapporto di fornitura”, mentre “si è limitata ad affermare del tutto genericamente che siffatto subentro risultava documentalmente provato senza indicare gli elementi probatori già eventualmente acquisiti in primo grado, da cui potesse trarre tale conclusione”;

b) “peraltro anche a tacere di tale assorbente rilievo… dall’esame della documentazione prodotta in primo grado non risulta alcuna idonea prova dell’asserito subentro in un rapporto di somministrazione già in corso al tempo dell’apertura dell’amministrazione straordinaria”;

c) posto infatti che – ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, come autenticamente interpretato dal D.L. 28 agosto 2008, n. 134, art. 1-bis, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 ottobre 2008, n. 166 – la mera continuazione del rapporto non può dar luogo a subentro, nè a tal fine è sufficiente che il commissario abbia richiesto o sollecitato all’altro contraente l’esecuzione della propria prestazione, essendo piuttosto necessaria una espressa dichiarazione in tal senso, nella specie, “non risulta prodotto documento alcuno sottoscritto dai commissari della procedura da cui risulti che costoro abbiano espressamente dichiarato di subentrare nell’asserito rapporto di fornitura (e pertanto non è necessario verificare se la fornitura di gas da parte di Sapio a Cirio potesse essere qualificata come rapporto ad esecuzione continuata o periodica)”.

3. Avverso tale sentenza Sapio S.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste Cirio S.p.a. in a.s., depositando controricorso.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 346 c.p.c..

La censura investe il primo dei passaggi motivazionali sopra richiamati, nel quale si attribuisce rilievo preliminare e assorbente al fatto che la riproposizione dell’eccezione di subentro, nel rapporto di somministrazione, dell’amministrazione straordinaria Cirio del Monte Italia non era accompagnata dalla allegazione degli “elementi” da cui tale subentro potesse desumersi, “essendosi (l’appellata) limitata ad affermare che il subentro risultava decumentalmente provato”.

Deduce al riguardo la ricorrente che – “a prescindere” dal fatto che nella comparsa di risposta in appello erano espressamente richiamate “le prove documentali dalle quali risultava la sussistenza del contratto di somministrazione di gas industriali… nel quale l’amministrazione straordinaria era subentrata” – “l’appellato, totalmente vittorioso in primo grado, non ha necessità di proporre appello incidentale evocando omessa pronuncia sulle sue eccezioni, bastandogli esprimere la volontà processuale di non rinunciarvi”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, “omesso esame di documenti che se esaminati avrebbero condotto la Corte d’Appello… a ritenere sussistente il subentro dell’amministrazione straordinaria Cirio del Monte Italia nel rapporto di somministrazione pendente alla data della dichiarazione di insolvenza; nullità della sentenza per… omessa motivazione e, comunque, per quanto occorrer possa, per… omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio”.

Lamenta che i giudici d’appello, fra i numerosi documenti prodotti in giudizio da Sapio, fin dalla comparsa di risposta, hanno esaminato la sola lettera in data 8/8/2003 di cui al doc. 4 con la quale Cirio del Monte Italia (dichiarata insolvente il giorno prima: 7/08/2003) invitava Sapio a proseguire nella effettuazione delle forniture, per derivarne che detta lettera, non essendo stata sottoscritta dai commissari straordinari, non era idonea a manifestare la loro volontà di subentrare nel rapporto di fornitura.

Osserva che, in effetti, quella lettera era stata prodotta in giudizio unicamente per corroborare la tesi della sussistenza di un contratto di somministrazione pendente alla data della dichiarazione di insolvenza della Cirio Del Monte, non già per provare che con essa era stata manifestata la volontà dei commissari di subentrare nel contratto di somministrazione.

Critica pertanto non la valutazione della (mancante) efficacia dimostrativa di quel documento, ma la mancata valutazione di altri documenti, in tesi invece idonei a raggiungere l’obiettivo probatorio perseguito (subentro nel rapporto dell’amministrazione straordinaria).

Il riferimento è segnatamente a due lettere prodotte sub docc. 11 e 12, allegate al fascicolo di parte del primo grado, il cui contenuto è testualmente riportato in ricorso: la prima datata San Polo 17/9/04, inviata da Cirio del Monte Italia S.p.a. a Sapio Industrie S.r.l. con “oggetto: cessione ramo d’azienda Del Monte”; la seconda datata San Polo 19/11/04, recante ad “Oggetto: Conferimento ramo d’azienda Cirio – D.R.”; entrambe a firma del direttore generale di Cirio Del Monte Italia S.p.a. in a.s. Dott. B.W., la prima anche del direttore generale di Del Monte Foods (Italia), Dott. M.F..

Rimarca che i due documenti contengono la espressa dichiarazione che, non solo i rispettivi rami di azienda, ma anche tutti gli ordini d’acquisto inevasi o parzialmente evasi e i contratti in essere per prestazioni relative allo stesso stabilimento, vengono ceduti alla nuova società del Monte Foods (Italia) e che rimangono inalterate tutte le condizioni contrattuali.

Argomenta che tra i contratti ceduti, in coerenza con l’art. 2558 c.c., doveva ritenersi compreso anche il contratto di fornitura in essere con Sapio e che tale cessione presupponeva necessariamente il subentro in tale contratto dell’amministrazione straordinaria.

Fa da ciò derivare la conclusione che Cirio del Monte, comunicando con le citate missive la cessione o il conferimento d’azienda, comunicò anche “per forza di cose” di essere subentrata nel rapporto di fornitura o di somministrazione sussistente.

Soggiunge che non può ritenersi d’ostacolo il rilievo, contenuto in sentenza, che nessuno dei documenti prodotti sia sottoscritto dai commissari della procedura, non potendo dubitarsi – assume – che tra le attribuzioni che essi possono delegare a terzi, ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 41, sia da comprendere la mera comunicazione di aver ceduto l’azienda e gli inerenti contratti.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “omessa motivazione in ordine alla documentazione prodotta in giudizio da Sapio circa la sussistenza del contratto di somministrazione di gas industriali pendente tra la S.p.a. Cirio Del Monte Italia e Sapio; violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè dell’art. 360, comma 1, n. 4” (così testualmente nell’intestazione).

Afferma che, sussistendo diverse prove documentali attestanti il subentro dei commissari straordinari nel rapporto di somministrazione, “diventa attuale verificare la natura di tale contratto, sul quale la Corte territoriale ha omesso ogni valutazione, ritenendo la questione assorbita”.

Rileva che, a dimostrazione del fatto che si trattava di rapporto di somministrazione, aveva in primo grado prodotto diversi documenti e chiesto prova testimoniale la cui ammissione l’istruttore aveva ritenuto superflua poichè relativa a circostanze ammesse da controparte.

4 Con il quarto motivo la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi e dei principi costituzionali, per avere la Corte d’appello ritenuto applicabile alla fattispecie la norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 134 del 2008, art. 1-bis.

Sostiene in sintesi che tale norma, ancorchè di interpretazione autentica, non può retroagire ed incidere su un rapporto sostanziale già definito e concluso in data anteriore alla emanazione della norma.

5. Il primo motivo è inammissibile.

5.1. Occorre anzitutto rimarcare, quanto al primo incidentale asserto (con il quale si contesta la fondatezza, in fatto, del rilievo svolto in sentenza secondo cui la riproposta eccezione di subentro dell’a.s. nel rapporto di somministrazione non era accompagnata dalla allegazione degli elementi da cui tale subentro potesse desumersi), che, con la locuzione “a prescindere” ad esso anteposta, la stessa ricorrente sembra volerlo escludere tra le censure che intende proporre.

Ove invece l’inciso dovesse ritenersi espressivo di un reale intento censorio, se ne dovrebbe anzitutto rilevare l’inammissibilità, per palese inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che non riproduce nè direttamente nè indirettamente (in questo secondo caso precisando la parte dell’atto cui l’indiretta riproduzione fosse riferibile) il contenuto del tenore della asserita indicazione degli elementi a supporto della riproposta eccezione di subentro.

Può soggiungersi che, peraltro, ove tale onere fosse stato rispettato, avrebbe dovuto comunque rilevarsi l’estraneità della censura ai vizi deducibili con il ricorso per cassazione, prospettandosi con essa un errore di fatto revocatorio, consistito, in tesi, nella errata percezione del contenuto dell’atto di gravame.

5.2. Nella seconda parte, il motivo non coglie l’effettiva ratio decidendi sul punto esposta in sentenza, la quale non ha affatto affermato che avrebbe dovuto denunciarsi vizio di omessa pronuncia, ma ben diversamente ha rilevato che la riproposizione, ex art. 346 c.p.c., della menzionata eccezione (assorbita in primo grado) risultava inammissibile in difetto del necessario espresso richiamo agli elementi istruttori proposti in primo grado a supporto della stessa.

Tale rilievo risulta, dunque, non attinto da alcuna specifica censura ed è idoneo di per sè a sorreggere la sentenza impugnata, con conseguente assorbimento dei restanti motivi.

5.3. Mette conto soggiungere, ove con il motivo possa intendersi sottoposta a critica la correttezza in iure dell’esposto rilievo, che lo stesso si appalesa in realtà conforme a una corretta ricostruzione della disciplina processuale.

E’ stato infatti più volte affermato che nel giudizio di appello, la parte appellata vittoriosa in primo grado, non riproponendo ovviamente alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova (v. Cass. n. 22687 del 27/10/2009; cfr. anche, con riferimento al rito del lavoro, ma con argomenti estendibili anche a quello ordinario, Cass. n. 12366 del 22/08/2003; n. 3376 del 11/02/2011; n. 11703 del 03/05/2019).

E’ stato in tal senso condivisibilmente evidenziato che se certamente la presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 c.p.c., riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie (e ciò non solo per considerazioni riguardanti la letteralità della disposizione, ma anche perchè l’art. 346 c.p.c., attiene alla delimitazione del thema decidendum in appello e non di quello probandum), ciò non significa, tuttavia, che le istanze istruttorie sarebbero da considerare implicitamente richiamate con le domande e le eccezioni riproposte.

L’affermazione, corretta, che la presunzione di rinunzia di cui all’art. 346 c.p.c., non si applica alle istanze istruttorie non significa, infatti, necessariamente, che le stesse debbano essere considerate come in ogni caso riproposte in appello, pur in assenza di una qualsivoglia attività propositiva della parte.

A tal fine occorrerebbe rinvenire una disposizione o un principio dal quale far derivare l’implicita apprensione al processo d’appello delle istanze istruttorie avanzate in primo grado e non riproposte, non potendosi trarre una così ampia conclusione dall’argomento desunto a contrario dall’art. 346 c.p.c..

L’automatica riproposizione non può ricollegarsi all’effetto devolutivo dell’appello, che riguarda l’oggetto del processo e non le istanze istruttorie, funzionali e strumentali al grado nel quale sono proposte.

D’altra parte, appare scarsamente razionale, sotto il profilo della chiarezza processuale, l’idea che il giudice d’appello, nel silenzio della parte, debba ricercare ex officio i mezzi istruttori proposti nel grado precedente (così, in motivazione, Cass. n. 14135 del 26/10/2000; conf. Cass. n. 16573 del 25/11/2002; n. 5308 del 04/04/2003; n. 17904 del 25/11/2003; n. 5812 del 23/03/2016).

La logica, qui condivisa, di tali considerazioni è tale da abbracciare non solo le prove costituende, cui i precedenti richiamati sono specificamente riferiti, ma anche quelle costituite, quali i documenti.

Anche per essi, invero, la stessa esigenza di specificità degli atti defensionali del grado di appello si appalesa incompatibile con l’idea che la sola proposizione della domanda o eccezione assorbita in primo grado valga a trasferire al giudice l’onere di ricercare quali elementi, sia pure documentali, erano stati dedotti, in primo grado, a fondamento della stessa.

Occorre anzi rilevare che quando si ripropone un’eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c., ed essa è fondata sul contenuto di documenti, non solo è evidente che l’attività di riproposizione deve necessariamente evocare i documenti argomentando sul loro contenuto, ma, inoltre, trovando applicazione l’art. 167 c.p.c. (nel regime ordinario, ex art. 359 c.p.c.), che prescrive l’indicazione dei documenti ed essendo la riproposizione da farsi dal convenuto in appello con la comparsa, l’attività di indicazione dei documenti deve necessariamente estrinsecarsi con la comparsa e la produzione avvenire con essa (non essendo applicabile l’art. 183, nella parte in cui ammette le memorie con le deduzioni probatorie).

6. L’inammissibilità del primo motivo, afferente alla prima e dirimente ratio decidendi, assorbe, come detto, e rende ultroneo l’esame dei restanti motivi.

Può comunque, ad abundantiam, rilevarsene l’inammissibilità o l’infondatezza.

7. Il quarto motivo, di rilievo logicamente preliminare, si appalesa invero infondato.

Il D.L. 28 agosto 2008, n. 134, art. 1-bis, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 ottobre 2008, n. 166, ha interpretato autenticamente del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, comma 2 (a mente del quale “Fino a quando la facoltà di scioglimento non è esercitata, il contratto continua ad avere esecuzione”) nel senso che l’esecuzione del contratto, o la richiesta di esecuzione del contratto da parte del commissario straordinario, non fanno venir meno la facoltà di scioglimento dai contratti di cui al medesimo articolo, che rimane impregiudicata, nè comportano, fino all’espressa dichiarazione di subentro del commissario straordinario, l’attribuzione all’altro contraente dei diritti previsti in caso di subentro del commissario straordinario dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 51, commi 1 e 2.

Dalla riportata disciplina emerge, dunque, chiaramente, che la stabilizzazione dei rapporti contrattuali in corso – come nella specie -al momento dell’apertura dell’amministrazione straordinaria consegue non al mancato esercizio tout court della facoltà di scioglimento da parte del commissario straordinario, ma alla sua positiva determinazione di subentrare nei rapporti in questione.

In altri termini, ai sensi dell’art. 50, può parlarsi di “subentro” del commissario in un rapporto negoziale pendente solo dopo che questi abbia formalmente ed inequivocabilmente estrinsecato una precisa volontà in tal senso, vuoi perchè a ciò appositamente provocato dall’altro contraente mediante l’interpello di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, comma 3, vuoi perchè spontaneamente determinatosi in questa prospettiva senza necessità di attendere l’intimazione della controparte.

Come questa Corte ha già espressamente riconosciuto, la norma ha “indubbio carattere interpretativo”, avendo essa “positivizzato, a beneficio dell’operatore del diritto, un principio già implicitamente contenuto nel D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, comma 2, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, all’evidente scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo o di ristabilire una interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore” (così Cass. 21/02/2019, n. 5249, in motivazione).

Come tale essa è applicabile in – ed è anzi chiaramente diretta a regolare – proprio tutti quei casi giudiziari in cui, da parte del contraente in bonis, venga eccepito che l’esecuzione de facto del contratto da parte del commissario equivalga ad un tacito subentro di quest’ultimo nel rapporto controverso, con conseguente natura prededucibile dei crediti maturati dopo l’apertura della procedura, e ciò a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, di principi, cioè, di preminente interesse costituzionale (così, ancora, Cass. n. 5249 del 2019).

E’ del tutto evidente che proprio questo sia il caso in esame, palesandosi frutto di un corto circuito logico l’assunto contrario della ricorrente secondo cui, per il fatto che la norma è intervenuta anni dopo l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria e la continuazione del rapporto, la stessa non potrebbe impedire la stabilizzazione dello stesso: all’applicazione della norma interpretativa osterebbe cioè, secondo l’inaccoglibile prospettiva censoria, proprio quell’effetto di stabilizzazione in via di mero fatto, prescindente dalla mancanza di una espressa dichiarazione di subentro, che la norma interpretativa è volta a impedire.

E’ appena il caso poi di rilevare che, fino a quando vi sia controversia pendente sulla sussistenza o meno dei presupposti che legittimano il contraente in bonis a far valere i diritti previsti in caso di subentro del commissario straordinario dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 51, commi 1 e 2, non può certo parlarsi di “fattispecie esaurita”, nella quale non possa trovare applicazione la norma di interpretazione autentica, per definizione volta a regolare proprio tali controversie, con efficacia dunque retroattiva.

8. Il secondo motivo è inammissibile.

La censura di vizio motivazionale per omesso esame di elementi istruttori – alla quale va in sostanza ricondotta anche la prospettazione, nell’intestazione, di una nullità della sentenza per omessa motivazione, non trovando questa, nella successiva illustrazione, alcuna diversa e conferente argomentazione – eccede dai limiti nei quali ne è consentito a questa Corte il sindacato, ovvero per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Nel nuovo regime, com’è noto, dà luogo infatti a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (v. Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881).

Nel caso di specie la doglianza si muove, invece, proprio su tale ultimo piano, risultando diretta a sollecitare una mera nuova valutazione di merito del materiale istruttorio che risulta già compiutamente esaminato dai giudici a quibus, sia pure alla stregua di una valutazione che non dà conto – non essendo tenuta a farlo -dei singoli elementi di prova, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. ex multis Cass. n. 9320 del 08/05/2015).

Il contenuto delle missive su cui si appunta la critica non esibisce, invero, elementi rilevanti diversi da quelli già valutati dalla Corte d’appello come inidonei a dimostrare il subentro dell’amministrazione straordinaria. Dirimente è in tal senso il rilievo che anche tali missive risulterebbero sottoscritte dallo stesso soggetto (Dott. B.W., direttore generale di Cirio Del Monte Italia S.p.a. in a.s.) che la Corte ha già valutato inidoneo a esprimere la volontà della procedura di subentrare nel rapporto, proprio alla luce della surrichiamata corretta interpretazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50.

Nessuno degli altri elementi fattuali ricavabili da detti documenti ed evidenziati in ricorso riesce a smentire o superare tale dirimente rilievo, difettando dunque per essi il requisito di decisività.

9. Il terzo motivo è, infine, un non motivo, con esso in sostanza richiedendosi a questa Corte l’esame di una questione (quella della qualifica del contratto intercorso tra Cirio S.p.a. in bonis e Sapio S.r.l.) dichiaratamente non esaminata poichè assorbita dai precedenti rilievi.

10. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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