Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13181 del 25/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.25/05/2017),  n. 13181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21071-2015 proposto da:

A.G. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO PIERELLI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

AXITEA S.P.A. IN CONCORDATO PREVENTIVO IN CONTINUITA’ AZIENDALE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIEPOLO 21, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO DE BELVIS, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO DORI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 206/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/06/2015 R.G.N. 190/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato ALESSANDRO DE BELVIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso, in subordine.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 206/2015, depositata il 16 giugno 2015, la Corte di appello di Ancona respingeva il reclamo di Gaetano A. e confermava la sentenza del Tribunale di Pesaro che, pronunciando sull’opposizione del lavoratore, ne aveva rigettato il ricorso diretto all’accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa allo stesso intimato, con lettera del 18/11/2008, da Sicurglobal S.p.A. (poi Axitea S.p.A.) per avere abbandonato, netta notte tra il (OMISSIS), il servizio di vigilanza affidatogli e per avere utilizzato abusivamente un personal computer di un’impresa cliente.

La Corte di appello escludeva anzitutto che la contestazione disciplinare potesse essere considerata generica, riportando le circostanze essenziali alla difesa dei dipendente; riteneva poi dimostrata – sulla base del materiale di prova acquisito al giudizio e, in particolare, della deposizione del capo servizio che si era recato presso l’impresa vigilata la mattina successiva al fatto – l’utilizzazione del personal computer aziendale dalle ore 3.04 alle ore 4.00 in sostanziale coincidenza con le parallele marcature di accesso agli uffici, senza che in senso contrario potesse rilevare l’esito negativo dell’ordine di esibizione, rivolto alla vigilata Nava S.p.A., di copia delle registrazioni degli orologi marcatempo, atteso il notevole periodo di tempo (ben oltre quattro anni) trascorso dall’episodio e la conseguente credibilità di quanto riferito da quest’ultima (con missiva di risposta in data 3/5/2013) e cioè di non esserne più in possesso, trattandosi di dati conservati al solo fine di verificare la regolarità dell’addebito del servizio di vigilanza. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’ A. con nove motivi; la società ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve, in primo luogo, essere disatteso il rilievo preliminare di improcedibilità del ricorso per violazione dell’art. 369 c.p.c., u.c., non risultando prodotta la richiesta, alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria di questa Corte.

L’improcedibilità deve infatti essere dichiarata ove la consultazione del fascicolo d’ufficio, in dipendenza del tenore del motivo di impugnazione (in particolare, nel caso in cui esso abbia ad oggetto un error in procedendo, posto che in tale ipotesi la Corte di legittimità è anche giudice del fatto processuale ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere in via diretta all’esame e all’interpretazione degli atti processuali) risulti indispensabile ai fini della decisione (cfr. Sezioni Unite n. 145/1999).

Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, individuato nella circostanza che il lavoratore effettuasse più accessi ispettivi, all’interno del medesimo turno, presso il luogo dove il datore di lavoro ha contestato essere stata posta in essere, nella notte tra il (OMISSIS), la condotta disciplinarmente rilevante.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 censura la sentenza impugnata per avere escluso il carattere generico della contestazione, nonostante la stessa fosse priva dei riferimenti spazio-temporali e materiali necessari a permettere al lavoratore incolpato di definire una circostanziata linea difensiva.

Con il terzo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 e dell’art. 2697 c.c., il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia fondato le proprie statuizioni sull’istruttoria lacunosa e sommaria svolta nella fase introduttiva del rito di cui alla L. n. 92 del 2012 e, in particolare, sulle inattendibili dichiarazioni di un unico teste. Con il quarto motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c., il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia basato la propria decisione su elementi lacunosi e privi di ogni valenza probatoria anche presuntiva.

Con il quinto motivo, deducendo violazione degli artt. 24 e 111 Cost. nonchè violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2907 c.c., il ricorrente si duole della lesione al diritto di difesa e alla tutela giurisdizionale dei diritti, essendogli stato negato l’accesso ad un’istruzione probatoria più approfondita e congrua o, quanto meno, sufficiente a fondare effettivamente il convincimento del giudice; deducendo, inoltre, violazione dell’art. 421 c.p.c. e art. 2697 c.c., si duole che la Corte territoriale non abbia dato ingresso ad istanze istruttorie che avrebbero potuto dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati ovvero porre in serio dubbio la ricostruzione aprioristicamente colpevolista della datrice di lavoro.

Con il sesto e con il settimo motivo, denunciando rispettivamente violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116, 118 e 210 c.p.c. e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte omesso di valutare il comportamento concludente della società datrice di lavoro, consistito nell’essersi deliberatamente liberata dei cartellini marcatempo in riferimento al servizio di ronda svolto nella notte tra il (OMISSIS), per l’effetto rifiutando di produrli in giudizio senza giusto motivo, e per avere, con la medesima condotta, leso il principio di buona fede e di legittimo affidamento, che caratterizzano l’iter del contratto dalla fase delle trattative alla sua conclusione e l’intera esecuzione di esso.

Con l’ottavo motivo di ricorso, il ricorrente, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2724 c.c., si duole che il giudice di appello abbia fondato la propria decisione sull’esito di una prova testimoniale inammissibile.

Con il nono motivo, infine, il ricorrente deduce il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, individuato nella circostanza che egli, con riferimento all’episodio del 13/8/2008 (cliente FAZOO) oggetto di contestata recidiva, avesse opposto motivazioni fondate sulla inottemperanza, da parte del datore di lavoro, agli obblighi di sicurezza sul lavoro.

Ciò premesso, si rileva che il primo e il nono motivo, con i quali viene dedotto il vizio di cui all’art. 360, n. 5, risultano inammissibili ex art. 348 ter c.p.c., u.c., in presenza di “doppia conforme” e di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato in epoca posteriore al termine di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

D’altra parte, il ricorrente non ha dimostrato, per evitare l’inammissibilità dei motivi, che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto del reclamo fossero tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014; conf. n. 19001/2016).

Il secondo motivo è inammissibile.

Si richiama, in proposito, il principio per il quale l’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito (Cass. n. 7546/2006; conforme ex aliis Cass. n. 1562/2003).

Quanto, poi, alla denunciata violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 sotto il profilo della non modificabilità della contestazione disciplinare, si osserva, in primo luogo, ove il profilo in esame non rifluisca nella tematica della specificità della stessa contestazione, quale presidio del diritto di difesa del lavoratore (come pur sembra di doversi desumere dal ricorso: cfr. pp. 18-19), che la relativa parte della sentenza di appello (par. 4) non ha formato oggetto di specifica censura.

Egualmente è a dirsi per la violazione (peraltro meramente enunciata) dell’art. 7 sotto il profilo dell’obbligo di affissione del codice disciplinare, a fronte di espressa pronuncia sul punto da parte della Corte territoriale (par. 6.3).

Il terzo e il quarto motivo sono inammissibili.

Con essi, infatti, sub specie di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il ricorrente sollecita di fatto a questa Corte di legittimità una nuova e diversa valutazione del materiale di prova, che è prerogativa del giudice di merito, al quale soltanto spetta, secondo consolidato orientamento, individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le molte, Cass. n. 6288/2011).

Il quinto motivo è inammissibile.

Al riguardo, si osserva che, come più volte ribadito da questa Corte con orientamento consolidato e risalente, “non è censurabile in sede di legittimità il giudizio (anche implicito) espresso dal giudice di merito in ordine alla superfluità della prova testimoniale dedotta da una parte, specie quando lo stesso giudice abbia, con ragionamento logico e giuridicamente corretto, ritenuto di avere già raggiunto, in base all’istruzione probatoria già esperita, la certezza degli elementi necessari per la decisione” (Cass. n. 9942/1998 e successive numerose conformi).

Non risulta, del resto, che le prove non ammesse fossero in concreto idonee a dimostrare circostanze tali da invalidare – con un giudizio di certezza e non di mera probabilità l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, così da rendere priva di fondamento la ratio decidendi dal medesimo adottata, come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza di questa Corte.

Il sesto e il settimo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, risultano anch’essi inammissibili.

I motivi in esame, infatti, non si confrontano con l’effettivo contenuto della sentenza impugnata, posto che, secondo quanto risulta dalla stessa (par. 5.6), il comportamento, cui essi si riferiscono, è stato realizzato dalla cliente Nava S.p.A. e non dalla datrice di lavoro.

L’ottavo motivo è palesemente infondato, riguardando l’art. 2724 c.c. una serie di ipotesi in cui la prova testimoniale è ammessa “in ogni caso”.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Non è dovuto il contributo unificato, risultando dagli atti (ammissione al patrocinio a spese dello Stato) che il processo ne è esente.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge; dichiara non esservi luogo all’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2017

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