Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13180 del 25/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.25/05/2017),  n. 13180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20885-2015 proposto da:

I.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (già FERRROVIE DELLO STATO S.P.A. –

Società di Trasporti e Servizi per azioni) P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio

dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 756/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 25/06/2015 R.G.N. 111/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito l’Avvocato ANTONIO PILEGGI;

udito l’Avvocato VALERIA COSTANTINO per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I.G., dipendente della Rete Ferroviaria Italiana spa, con qualifica di quadro, ha adito il Tribunale di Salerno chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimatogli in data 7.6.2013 dalla datrice di lavoro, a seguito di contestazione disciplinare avente ad oggetto illeciti relativi a condotte poste in essere nel 2011 e nel 2012 correlati alle sue funzioni di direttore dei lavori, a seguito di un Audit effettuato dalla società e conclusosi ai primi di gennaio 2013. In particolare gli era stato addebitato di aver approvato e diretto l’esecuzione di opere realizzate in area non di proprietà di RFI, in relazione a tre contratti applicativi nell’ambito di lavori di manutenzione delle opere civili, i primi due stipulati a seguito di finanziamento di urgenza per il ripristino e messa in sicurezza di un tratto ferroviario ed aventi ad oggetto la realizzazione di un’opera idraulica, il terzo contratto avente ad oggetto un intervento di sistemazione di recinzioni e difese delle sede ferroviaria.

Rete Ferroviaria aveva contestato a I., quanto ai primi due contratti, di aver approvato e diretto l’esecuzione delle opere senza acquisire le necessarie autorizzazioni e senza sospendere i lavori, non appena si era avuta la consapevolezza che si stava movimentando il terreno di una discarica. Di aver applicato, poi, non correttamente le tariffe dei prezzi per il pagamento dei lavori, con evidenti maggiori costi per l’azienda e con un danno quantificabile in 99.000 Euro. Inoltre gli si addebitava di aver contabilizzato lavori che presentavano notevoli differenze tra le quantità previste da perizia e quelle effettivamente liquidate nelle SAL finali; di aver violato la normativa di riferimento per la liquidazione degli oneri per la sicurezza e per la certificazione delle prove sui materiali, non emettendo il certificato di regolare esecuzione a conclusione dei lavori.

Quanto al secondo contratto applicativo era stato contestato a I. di aver approvato e diretto l’esecuzione di opere di recinzione, realizzate in maniera da lasciare dietro di loro una fascia di area ferroviaria, non tutelando la proprietà della società in violazione della normativa sulle distanze legali.

In primo grado I. aveva lamentato la tardività della contestazione e comunque l’insussistenza dei fatti a lui addebitati ed il Tribunale, sia nella fase sommaria che il quella di opposizione del giudizio, aveva respinto le domande, ritenendo la tempestività della contestazione e la giusta causa di recesso.

La Corte d’Appello di Salerno ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo che non vi fosse tardività della contestazione perchè l’attività di audit conclusasi nel gennaio 2013 non aveva avuto specificamente ad oggetto le condotte del singolo dipendente ed a fini disciplinari, bensì l’adeguatezza e correttezza dei procedimenti gestionali e di contabilizzazione e che tale verifica, che si era svolta solo sui documenti e con riguardo a mere anomalie formali, era diretta ad accertare se le anomalie e le non trasparenti modalità di gestione fossero frutto di approssimazione o di responsabilità disciplinare; che pertanto solo la Commissione d’inchiesta nominata nel gennaio 2013 aveva avuto come compito specifico quello di verificare le responsabilità disciplinari dello I., attività conclusasi nel marzo 2013, con verifiche incrociate con le risultanze provenienti da altri enti. La Corte ha quindi ritenuto che solo a seguito di tale successiva attività ispettiva della commissione, la società aveva avuto diretta e conoscenza della condotta inadempiente del dipendente. I. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; ha resistito RFI spa con controricorso ed entrambe le parti hanno poi depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso I. lamenta la violazione e falsa applicazione del principio dell’immediatezza del licenziamento disciplinare di cui all’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 3, L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poi anche omessa motivazione sulla mancata ammissione dei mezzi di prova su circostanza decisiva, relativa alla piena conoscenza ed approvazione dell’attività di direzione dei lavori oggetto di contestazione ed all’esecuzione della stessa, avente carattere d’urgenza, sulla base di specifici ordini da parte dei dirigenti; come anche omesso esame di documenti decisivi comprovanti la piena conoscenza e conoscibilità dei fatti da parte della datrice di lavoro, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5.

Il ricorrente, dopo aver rilevato che la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto comunque vizio procedurale e non sostanziale l’eccezione di intempestività del recesso, ha lamentato che la sentenza non avesse considerato che i dirigenti superiori gerarchici non avevano mai contestato alcunchè non solo nel corso dell’esecuzione dei lavori, che egli avrebbe svolto conformandosi alle disposizioni ricevute, ma neanche all’esito della relazione finale dell’Audit avviata il 1 agosto 2012 e terminata il 14.1.2013. Ha quindi lamentato il ricorrente il mancato esame di documenti decisivi, come la lettera del 18.10.2011 a firma del responsabile dell’unità territoriale Sud Est Salerno, Ing. N. indirizzata all’Autorità di bacino del Sarno e al Consorzio di Bonifica in cui il dirigente dava atto dei lavori urgenti che dovevano eseguirsi e non più differibili, lavori che sarebbero poi stati oggetto di contestazione disciplinare, in quanto effettuati movimentando il terreno di una discarica. La Corte non si sarebbe neanche avveduta che la ripresa dei lavori, dopo l’originaria sospensione, era stata decisa dal dirigente N. e non dal ricorrente. Non avrebbe peraltro considerato la Corte che era compito del responsabile di procedimento, nominato per ogni contratto pubblico, e non del direttore dei lavori, controllare tutte le fasi di realizzazione del contratto e il rispetto delle procedure, così che non potevano i responsabili della struttura non essere al corrente delle anomalie poi contestate al ricorrente, essendo da lui informati in tempo reale sull’andamento dei lavori degli appalti. Inoltre avrebbe errato la Corte nell’affermare che l’attività dell’Audit aveva riguardato soltanto il controllo dei principali obblighi procedurali, di legge e contrattuali, dell’intera attività e non la verifica delle condotte disciplinarmente rilevanti, perchè per legge tali controlli si dirigerebbero anche alle persone fisiche coinvolte nelle singole attività oggetto di verifiche. Infine ha anche lamentato il ricorrente che non siano state ammesse le prove testimoniali, non soltanto per accertare la conoscenza sin dal 2012 dei fatti contestati, ma anche ai fini della valutazione della sussistenza degli stessi. Da tali prove sarebbe,infatti, emerso che l’ing. N., dirigente responsabile dell’unità territoriale di Salerno e suo superiore, era a perfetta conoscenza delle condizioni del terreno dove erano stati rinvenuti rifiuti, avendo egli effettuato dei sopralluoghi ed avendo disposto la prosecuzione dei lavori. Sarebbe altresì emerso che il dirigente responsabile dell’UT di Salerno era stato costantemente informato, nell’ambito delle approvazioni degli stati di avanzamento dei lavori che aveva approvato, come anche degli aumenti e degli scostamenti dei prezzi rispetto alla perizia originaria.

2)Con il secondo motivo di ricorso I. ha lamentato ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 2119 c.c. per avere la sentenza ritenuto provati i fatti esclusivamente in base alla tesi accusatoria della datrice di lavoro, mentre in particolare dalla comunicazione del 22 febbraio 2013 dell’Ing. I.G., succeduto al dirigente N., si sarebbe potuto ricavare che egli non era più direttore dei lavori sin dal mese di luglio 2012 e che pertanto non avrebbe potuto avere responsabilità alcuna in relazione ai contratti applicativi per i quali gli avevano addebitato di non aver sospeso i lavori e di averli fatti eseguire senza le dovute autorizzazioni. Il ricorrente ha poi lamentato infine la mancata ammissione di consulenza tecnica d’ufficio diretta a verificare la contestata mancata corrispondenza tra gli scavi liquidati nelle SAL e quelli rappresentati nelle sezioni di progetto, come anche per le tariffe applicate, avendo la società tenuto conto soltanto delle quantità in aumento rispetto alla previsione di spesa e non anche delle quantità in diminuzione, pure da lui indicate.

3) I motivi possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi. Peraltro l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo, sia con riferimento alla giusta causa di licenziamento che integra una ipotesi di norma elastica, sia con riferimento all’elemento della tempestività della contestazione dell’illecito disciplinare si pone sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici. Conseguentemente dovrà trattarsi di un vizio di omesso esame “ove il fatto storico” deve essere rilevante in causa nel senso di essere decisivo per soluzione del giudizio e non sia stato proprio preso in considerazione dalla sentenza impugnata che lo ha del tutto ignorato sebbene emergesse dagli atti introduttivi e dai documenti versati in causa (cfr Cass 14234/2015).

4)Va anche premesso che nel caso in esame la sentenza di appello della corte salernitana ha confermato la sentenza di primo grado, basandosi su ragioni inerenti alla medesima questione di fatto posta a base della sentenza di primo grado, configurandosi così un’ipotesi di cd “doppia conforme”, con ulteriore limitazione della censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr Cass. 23021/2014), applicandosi in questo caso, ratione temporis,la novella di cui all’art. 348 ter, u.c., trattandosi di ricorso d’appello depositato successivamente all’11.9.2012.

5) In ordine al primo motivo relativo all’errata applicazione del principio di tempestività la Corte salernitana ha motivato sul perchè la conoscenza degli illeciti contestati a I. non poteva emergere dall’attività posta in essere dai funzionari che avevano effettuato l’Audit iniziato nell’agosto 2012 e conclusosi con una relazione del gennaio 2013, rilevando che la stessa aveva avuto ad oggetto un’ attività di monitoraggio dell’adempimento degli obblighi procedurali e in particolare un’attività di verifica svolta sull’ampia documentazione, ma riguardando anomalie formali, mancate corrispondenze dei valori dei SAL con quelli degli O d A, mancate annotazioni circa la quantificazione degli oneri di sicurezza o la registrazione dei materiali utilizzati, precisando che questi accertamenti non avrebbero comunque potuto consentire di giungere alla verifica anche dei fatti poi contestati all’ing. I., come l’esecuzione di lavori non autorizzati, o effettuati con modalità di gestione anomale e non trasparenti. La Corte ha quindi rilevato che tali fatti erano emersi a seguito dell’inchiesta della Commissione nominata nel gennaio 2013, terminata con la relazione del 26 marzo 2013, in cui venivano descritte le attività svolte dallo I. in qualità di direttore dei lavori previsti nei contratti applicativi n. 45 e 46 del 2011 e n. 63 del 2012, attività che avevano portato alla formulazione degli addebiti. La corte, nelle pagine 4, 5 e 6 della sentenza,ha elencando i documenti prodotti dalle parti, sia pure indicati soltanto con la data di creazione e non con il relativo numero di catalogazione nei fascicoli di parte, da cui ha tratto gli elementi che hanno supportato la ratio decidendi per escludere che si trattasse di una contestazione tardiva.

6)Non può ritenersi decisiva, per escludere la tempestività della contestazione, la lettera del 18.10.2011 a firma del dirigente superiore gerarchico ing. N. indicata in ricorso e peraltro non riportata per esteso, ma solo in alcune frasi che si alternano a valutazioni e commenti della difesa del ricorrente, trattandosi soltanto di comunicazione effettuata dal dirigente responsabile dell’Unità Territoriale alle Autorità Amministrative del territorio in cui i lavori andavano eseguiti con carattere di urgenza, opere comunque affidate al coordinamento dello I., direttore dei lavori, come precisato nella comunicazione. Non emerge quindi dalla lettera alcuna conoscenza diretta da parte del dirigente dei fatti che poi hanno formato oggetto degli addebiti mossi al ricorrente.

7) Nè diversamente può argomentarsi in relazione alle censure mosse alla sentenza con riferimento all’accertata sussistenza della responsabilità dello I. per gli illeciti disciplinari contestati.

Tali addebiti sono stati singolarmente valutati nelle pagine da 5 e 9 della sentenza, riportando la fonte documentale da cui la corte ha acquisito prova, documenti presenti nei fascicoli di parte e individuati attraverso l’intestazione e la data, riportate in sentenza. La corte ha esaminato tali illeciti: l’esecuzione di opere senza le necessarie autorizzazioni, con anche la movimentazione di terreno pieno di rifiuti, riportando le denunce dell’autorità amministrative del Comune di Fisciano, la contabilizzazione di lavori con costi esorbitanti rispetto a quanto previsto sia dalle perizie iniziali che dalle planimetrie eseguite, l’esecuzione di opere di recinzione senza il rispetto delle distanze e anche a favore di privati confinanti con i terreni di proprietà della RFI.

8)Le censure mosse dal ricorrente all’impianto argomentativo della sentenza, relativamente alla mancata ammissione delle prove testimoniali sui punti prima ricordati, inclusa la circostanza della cessazione delle funzioni di direttore dei lavori sin dal luglio 2012, con riferimento ai contratti applicativi 45 e 46 del 2011, come anche la mancata ammissione di una CTU diretta a ricostruire la contabilizzazione dei costi dei lavori, non ricadono nel vizio di violazione di legge con riferimento all’esatta distribuzione dell’onere probatorio o all’errata valutazione della gravità degli addebiti in ragione di una riconducibilità dei fatti alla fattispecie della giusta causa, ma costituiscono una diversa valutazione di tali fatti con richiesta di riesaminarli alla luce di altre e diverse prove. Trattasi, comunque, di una censura rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 preclusa in questo giudizio, per quanto prima rilevato.

9)Il ricorso deve essere pertanto respinto con condanna del ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2017

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