Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13179 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 28/05/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TONELLI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 190, presso lo

studio dell’avvocato FAVINO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MORGANTI UGO, giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

U.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO

4, presso lo studio degli avvocati RADICCHI CRESCENTINO e FRANCO

ANTONAZZO, che lo rappresentano e difendono unitamente all’avvocato

MOROSINI GIANCARLO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 145/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 26/04/2006 r.g.n. 652/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. ZAPPIA Pietro;

udito l’Avvocato MORGANTI UGO; udito l’Avvocato ANTONAZZO FRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con ricorso al Pretore, giudice del lavoro, di Pesaro, depositato in data 16.5.1995, U.A., premesso di aver fatto parte, quale socio di minoranza, della societa’ “Tonelli s.r.l.”, costituita nell’ottobre del 1987, il cui oggetto sociale consisteva nella produzione e commercio di mobili, oggetti di arredamento e relativi accessori, di aver progettato diversi modelli venduti dalla societa’, di aver percepito sino al 31.3.1991 modesti compensi ufficializzati come “consulenza tecnica aziendale”, di aver ottenuto il riconoscimento dal 1 aprile 1991 di una royalty del 2,50% del fatturato di vendita dei modelli di sua produzione, di aver dismesso nel dicembre del 1993, per iniziativa della Tonelli s.r.l., il mansionario di direttore tecnico, esponeva che la societa’ convenuta non gli aveva piu’ corrisposto le royalties convenute sul fatturato delle vendite dal 1 aprile 1994, ed aveva sistematicamente eliminato il suo nome, quale designer, negli inserti fotografici e nelle riviste di settore. Chiedeva pertanto la declaratoria del suo diritto al compenso sulle vendite dei modelli da lui ideati relativamente al periodo dall’ottobre 1987 al 31.3.1991; la declaratoria del suo diritto al compenso del 2,50% sulle vendite dei modelli da lui ideati relativamente al periodo successivo al 31.3.1994; l’inibitoria della Tonelli s.r.l. di pubblicizzare i modelli da lui ideati senza l’indicazione del design riconducibile allo stesso; il risarcimento del danno per tale illecita condotta.

Con sentenza in data 30.1.2004 il Tribunale del lavoro di Pesaro, ritenuta la fondatezza delle pretese del ricorrente limitatamente al periodo anteriore al 31.3.1991, condannava la societa’ convenuta al pagamento della somma di Euro 20.019,66.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’ U. lamentando il mancato integrale accoglimento delle domande proposte; e proponeva appello incidentale la Tonelli s.r.l. contestando la condanna al pagamento delle somme predette in relazione al periodo anteriore al 31.3.1991.

La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 7.4.2006, in accoglimento dell’appello principale, condannava la societa’ al pagamento della somma di Euro 62.186,00 in relazione al periodo dal 1 aprile 1994 al 31.12.1996, ed al risarcimento del danno nella misura di Euro 6.800,00.

Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione la Tonelli s.r.l. con quattro motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione, erronea e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2233 c.c. e segg..

Rileva in particolare la ricorrente che il rapporto costituito fra la Tonelli s.r.l. e l’ U. a decorrere dal 1 aprile 1991, in sostituzione di quello di collaborazione coordinata e continuativa durato sino a tale data, si era nei fatti atteggiato e dispiegato, appunto dall’aprile 1991 sino alla fine del 1993, quale vero e proprio rapporto di associazione in partecipazione. E pertanto si appalesava errata la determinazione della Corte d’appello che aveva ritenuto l’esistenza nel suddetto periodo di un rapporto di prestazione d’opera intellettuale.

In relazione a tale motivo l’ U. ne ha eccepito l’inammissibilita’ rilevando, tra l’altro, che la deduzione concernente la qualificazione del rapporto in questione quale contratto di associazione in partecipazione non era mai stata avanzata nei precedenti gradi di merito, essendo stata svolta per la prima volta in sede di giudizio di cassazione.

Il motivo non puo’ trovare accoglimento.

Ed invero, in violazione del principio di autosufficienza, non risulta dal ricorso se la questione suddetta sia stata sollevata, senza ottenere risposta, innanzi al giudice di primo grado ed ai giudice di appello, circostanza questa che, connotando la questione di novita’, la rende inammissibile in questa sede.

E’ noto infatti che, ove una determinata questione giuridica, la quale implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’, per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di riscontrare la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa, senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.

Ed invece, come gia’ accennato, la ricorrente nemmeno asserisce di aver trattato il tema in fase di gravame.

Osserva altresi’ il Collegio che il suddetto motivo e’ comunque infondato.

Sul punto e’ necessario innanzi tutto ricordare che, secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte (v., fra le molte pronunce, Cass. sez. 1^, 24.6.2008 n. 17088;

Cass. sez. lav. 13.6.2008 n. 16036; Cass. sez. lav. 12.6.2008 n. 15795; Cass. sez. 1^, 22.2.2007, n. 4178), l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realta’ storica e obiettiva, e’ tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed e’ censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, qualora gli accordi intercorsi tra le parti siano consacrati in un atto scritto, e per vizi di motivazione, qualora quella adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioe’, da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

Posto cio’ osserva il Collegio che la ricostruzione della effettiva volonta’ delle parti, e quindi del concreto atteggiarsi del rapporto intercorso tra le stesse, appare correttamente e coerentemente motivata dalla Corte territoriale, con argomentazioni che si sottraggono alle censure sollevate dalla societa’ ricorrente con il proposto gravame.

Ha rilevato invero la Corte territoriale, a sostegno dell’assunto secondo cui il contratto intercorso tra le parti nel periodo corrente dal 1 aprile 1991 al 31 dicembre 1993 si configurava quale contratto di prestazione d’opera intellettuale, che la Tonelli s.r.l., nelle numerose comunicazioni con cui presentava all’ U. l’estratto conto delle vendite effettuate, si riferiva ai modelli dallo stesso “progettati”, e l’ U., nell’emettere le relative fatture, indicava, quale causale, i “compensi relativamente ai modelli progettati per vostro conto”; ed ha rilevato altresi’ che nella lettera in data 4.1.1995 inviata dal legale della societa’ all’ U., si faceva riferimento, sia pur contestandone la fondatezza, al “diritto della parte reclamante a far fruttare l’opera del suo ingegno”. Ha pertanto evidenziato la Corte di merito, argomentando altresi’ dal valore pienamente confessorio delle affermazioni contenute negli estratti conto inviati dalla Tonelli s.r.l. all’ U. relativi ai modelli – specificamente indicati – dallo stesso “progettati”, che da tali atti emergeva chiaramente come gli emolumenti in questione si ricollegavano all’attivita’ libero professionale di design svolta favore della Tonelli s.r.l. ai sensi dell’art. 2230 c.c..

A fronte di siffatti argomenti la societa’ ricorrente, nell’assumere l’esistenza di un rapporto di associazione in partecipazione, ha rilevato, in maniera assolutamente apodittica ed assertiva, che l’azienda solo formalmente attribuiva la percentuale di partecipazione alla vendita dei modelli in questione, definiti fittiziamente quali modelli “progettati” dall’ U., e cio’ d’accordo con lo stesso e per dare maggior rilievo all’opera intellettuale da quest’ultimo svolta rispetto a quella di assistenza tecnico – manuale, al fine di evitare che gli enti previdenziali potessero ravvisare nella fattispecie un rapporto di lavoro subordinato.

Trattasi, per come evidente, di assunto assolutamente indimostrato, e quindi chiaramente inconferente ai fini della decisione.

A cio’ deve aggiungersi che parimenti erroneo si appalesa l’assunto di parte ricorrente secondo cui nella fattispecie ricorrerebbero tutti gli elementi propri dell’associazione in partecipazione.

Ed invero il rapporto di associazione ha quale indefettibile elemento essenziale, che ne connota la causa, il sinallagma tra partecipazione al rischio dell’impresa gestita dall’associante e conferimento dell’apporto lavorativo dell’associato, intendendosi peraltro in tal caso che l’associato lavoratore deve partecipare sia agli utili che alle perdite, ai sensi dell’art. 2554 c.c., non essendo ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite; lo stesso art. 2554 c.c. richiama, infatti, quanto alla sola partecipazione agli utili attribuita al prestatore di lavoro, l’art. 2102 c.c. il quale fa riferimento “agli utili netti dell’impresa”, mostrando cosi’ di escludere l’ammissibilita’ di un tale contratto di mera cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite allorche’ l’apporto dell’associato consista in una prestazione lavorativa.

Sul punto questa Corte ha avuto modo di evidenziare che, per la configurabilita’ del contratto di associazione in partecipazione, la pattuizione in favore dell’associato comporta una partecipazione agli utili dell’impresa, e non agli incassi, posto che questi ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell’attivita’ dell’impresa (Cass. sez. lav., 4.2.2002, n. 1420); e nel caso di specie la provvigione in favore dell’ U. si basava sul fatturato di vendita dei prodotti cui si riferiva l’apporto fornito dallo stesso, non prevedendo quindi alcuna partecipazione alle perdite.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione, erronea e falsa applicazione degli art. 1362 e 2099 c.c..

In particolare rileva che la dizione “da Lei progettati”, riferita ai modelli posti in vendita, era stata introdotta dalla societa’, d’intesa con lo stesso U., al solo scopo di attribuire prevalente natura e valenza intellettuale all’opera del lavoratore, e pertanto il richiamo operato dalla Tonelli s.r.l. all’art. 2099 c.c. a giustificare il compenso in partecipazione corrisposto al lavoratore non voleva in alcun modo significare che la societa’ intendeva in effetti dissimulare un rapporto di lavoro subordinato.

Il motivo e’ infondato ove si osservi che la Corte territoriale, dissenziendo dalla ricostruzione del rapporto operata dal giudice di primo grado, non aveva in alcun modo affermato l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, anzi aveva espressamente ritenuto inconferente il richiamo operato dal primo giudice a tale forma di rapporto.

Col terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 2575 c.c..

Rileva in particolare che, affinche’ si possa parlare di un diritto di autore da parte dell’ U., sarebbe stato necessario che quest’ultimo avesse dimostrato che la progettazione del manufatto fosse rilevante nell’ambito di uno dei settori artistici indicati nell’art. 2575 c.c. (scienze, letteratura, musica, arti figurative, architettura, teatro e cinematografia). Pertanto erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato l’istanza di consulenza tecnica avanzata dalla societa’.

Il motivo non e’ fondato.

Ed invero, per come rilevato, la Corte d’appello, con motivazione assolutamente coerente e logica che si sottrae pertanto ai rilievi ed alle censure proposte con il suddetto gravame, ha evidenziato che gli emolumenti accessori previsti dalle parti in favore dell’ U. si ricollegavano all’attivita’ libero professionale di design svolta dal predetto in favore della societa’, trovando quindi il loro fondamento nella disposizione di cui all’art. 2233 c.c..

Trattasi di accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, finalizzato a determinare il concreto atteggiarsi e l’effettivo contenuto del rapporto intercorso tra le parti, censurabile in cassazione solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, ove la motivazione adottata non consenta il controllo dell’iter argomentativo seguito per giungere alla decisione.

Di conseguenza la Corte di merito ha ritenuto superflua la richiesta della societa’ di espletamento di consulenza tecnica d’ufficio volta a stabilire la sussistenza o meno di un gradiente di innovazione ovvero di originalita’ formale nei modelli in questione.

Siffatta determinazione appare assolutamente coerente all’impostazione adottata dalla Corte predetta atteso che nel caso di specie non si verte in tema di tutela del diritto di autore sulle opere dell’ingegno, bensi’ di compenso spettante al prestatore d’opera intellettuale per l’attivita’ svolta nell’esecuzione di un contratto d’opera ex art. 2230 c.c.; e pertanto del tutto inconferente si appalesa il richiamo all’art. 2575 c.c..

Col quarto motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

In particolare rileva che l’assunto della Corte territoriale circa la configurabilita’ del rapporto in questione come rapporto di prestazione d’opera si poneva in contrasto con il rigetto del motivo di appello, proposto dalla societa’, relativo al compenso corrisposto per il periodo antecedente all’1.4.1991, laddove il giudice di primo grado aveva ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.

Neanche sul punto il ricorso puo’ trovare accoglimento.

Ed invero, contrariamente a quanto rilevato dalla ricorrente, la Corte territoriale ha rigettato l’appello incidentale proposto dalla societa’ predetta rilevando che la censura dalla stessa mossa, secondo cui le somme corrisposte all’ U., in aggiunta al fisso di L. 500.000 mensili, costituivano un compenso extra riferibile all’art. 2099 c.c. e, quindi, erogato a titolo di retribuzione, non scalfiva le argomentazioni poste dal primo giudice a sostegno della propria decisione, essendo evidente che il riconoscimento di un compenso extra implicava l’insufficienza del compenso gia’ corrisposto.

Ed ha ritenuto pertanto che le argomentazioni svolte dall’appellante incidentale non si appalesavano idonee ad inficiare le considerazioni svolte dal primo giudice, “ancorche’ basate su una ricostruzione giuridica della fattispecie che questa Corte non condivide”.

Ne consegue che neanche sotto questo profilo il ricorso puo’ trovare accoglimento.

In relazione a tale motivo va altresi’ evidenziato che la mancanza, segnalata dalla societa’ ricorrente, nella copia del controricorso alla stessa notificata, della pagina n. 27, si appalesa non rilevante, avuto riguardo alla circostanza che tale mancanza non inficia l’intellegibilita’ delle argomentazioni svolte nel predetto controricorso attinenti, per come risulta dal successivo foglio n. 28, alla lacunosita’ ed incoerenza del predetto motivo di gravame.

Il ricorso va pertanto rigettato ed a tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 37,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

 

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