Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13176 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5074/2016 r.g. proposto da:

MAEL s.p.a., (cod. fisc. P.Iva (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore avv. G.L., rappresentata e

difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avvocato Pietro Sarrocco, presso il cui studio è elettivamente

domiciliata in Roma, Via Pasubio n. 4.

– ricorrente –

contro

UNICREDIT s.p.a., (cod. fisc. P. Iva (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore Dott.

Z.G., rappresentata e difesa, giusta procura speciale

apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Daniele Sciarrillo,

con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla Via Sabotino n.

22, presso lo studio legale Gemma-Tronci.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in

data 12.1.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

4/2/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di Appello di Milano ha accolto l’appello proposto da Unicredit Credit Management Bank s.p.a., nella qualità di mandataria di Aspra Finance, cessionaria dei crediti di Unicredit s.p.a. (chiamata anch’essa in giudizio, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., quale incorporante di Capitalia s.p.a., già Banca di Roma s.p.a.) avverso la sentenza del Tribunale di Milano emessa in data 25 maggio 2009 che, in accoglimento della domanda L. Fall., ex art. 67, comma 2, avanzata dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l. (cui, nel grado, era succeduta Mael s.p.a., assuntrice del concordato fallimentare della società insolvente) aveva dichiarato l’inefficacia delle rimesse solutorie, pari ad Euro 284.046,13, affluite, nel c.d. periodo sospetto, sul conto corrente intrattenuto dalla società poi dichiarata fallita presso Banca di Roma s.p.a. ed aveva condannato l’istituto di credito convenuto (l’allora Capitalia s.p.a.) al pagamento in favore dell’attore della somma predetta, maggiorata degli interessi legali dalla data della domanda. La corte del merito, per ciò che in questa sede ancora interessa, ha ritenuto non revocabile il versamento di Lire 528.990.000 registrato il 16 febbraio 2001 (con valuta al 21 febbraio 2001), in quanto effettuato (tramite assegno tratto da (OMISSIS) in favore di se stessa, su altra banca della medesima piazza, e girato per l’incasso a Banca di Roma) in esecuzione di un’operazione bilanciata, avendo la società conferito alla banca l’incarico di utilizzare la provvista per il pagamento di due debiti tributari di identico ammontare complessivo, secondo quanto risultava dagli addebiti annotati in conto il medesimo giorno; il giudice a quo ha affermato al riguardo che la prova del patto di bilanciamento, ovvero del nesso funzionale e teleologico fra versamento e prelievi, doveva trarsi (pur in mancanza di una convenzione scritta e nonostante il lieve sfasamento temporale tra la data di contabilizzazione dell’accredito e quella di attribuzione della valuta), per facta concludentia, dall’andamento del conto corrente, dal quale emergeva che, a partire dal dicembre del 2000, Banca di Roma non aveva più concesso credito alla correntista, consentendole di compiere operazioni passive solo nei limiti in cui risultavano coperte da precedenti o contestuali versamenti: non era dunque credibile che, il 16 febbraio successivo, la banca avesse adempiuto al mandato conferitole da Stat, di provvedere al pagamento deì debiti tributari senza avere la certezza che l’assegno di pari ammontare, giratole dalla società per l’incasso lo stesso giorno, fosse coperto ed accettando, per contro, il rischio che l’esposizione debitoria della cliente si incrementasse di un così considerevole importo.

2. La sentenza, pubblicata il 12.1.2015, è stata impugnata da Mael s.p.a. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo Mael, denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, lamenta che la corte del merito abbia qualificato come bilanciate le operazioni di versamento e di prelievo annotate il 16 febbraio 2001 sul conto corrente per cui è causa. Osserva in proposito che qualora, come accaduto nel caso di specie, i versamenti siano effettuati con assegni, la verifica della loro contestualità rispetto a prelievi, o a pagamenti eseguiti dalla banca su mandato del correntista, va compiuta con riguardo non già alla data contabile attribuita all’operazione di accredito, bensì a quella posteriore di valuta, l’unica rilevante nella rielaborazione del saldo disponibile. Secondo la ricorrente, pertanto, il pagamento dei debiti tributari, effettuato da Banca di Roma per conto di (OMISSIS) nello stesso giorno in cui l’assegno le era stato girato per l’incasso, doveva ritenersi avvenuto quando ancora difettava la relativa provvista, ovvero allorchè il conto era scoperto, con la conseguenza che l’effettivo accredito della somma portata dal titolo (coincidente con la data di decorrenza della valuta), lungi dall’integrare un’operazione bilanciata, doveva qualificarsi come rimessa solutoria.

1.2. Col secondo motivo, che deduce ulteriore violazione della L. Fall., art. 67, Mael contesta che la prova del c.d. accordo di bilanciamento potesse trarsi in via presuntiva dalla sola circostanza della contestualità fra versamento dell’assegno e pagamenti.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. Nelle c.d. “operazioni bilanciate”, che postulano un accordo fra la banca e il correntista, i versamenti da questi eseguiti sono destinati non già a ripianare eventuali scoperti, ma a fornire all’istituto di credito la provvista per l’esecuzione di ordini di pagamento precedentemente o contestualmente impartiti; si tratta, in sostanza, di operazioni fra le quali sussiste uno stretto rapporto di specularità, non solo cronologica e quantitativa, ma anche funzionale.

Ciò premesso, risulta evidente che, una volta accertata l’esistenza del nesso che lega il versamento ai prelievi, è per ciò stesso provato che le somme annotate a credito del correntista sono rimaste nella sua esclusiva disponibilità, potendo essere utilizzate dalla banca solo al fine di adempiere al mandato che le è stato conferito. La funzione attribuita dalle parti al versamento, di mera costituzione della provvista necessaria al pagamento eseguito dalla mandataria, qualifica pertanto l’operazione come neutra sul piano del “dare” e dell'”avere”, ponendola al di fuori dell’ordinario rapporto di anticipazione creditizia regolato fra le parti in conto corrente: ne consegue che, in presenza di una partita bilanciata, non opera il c.d. criterio del saldo disponibile (cui si fa ricorso – nel regime anteriore alle modifiche apportate alla L. Fall., art. 67,L. n. 80 del 2005 – per l’individuazione delle rimesse solutorie), e non rileva che all’accredito sia attribuita una data valuta successiva alla sua annotazione in conto.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

Costituisce principio consolidato che la prova dell’esistenza del patto di bilanciamento, ove non derivi da un atto scritto, può anche essere desunta da facta concludentia, purchè la specularità tra le operazioni ne evidenzi con certezza lo stretto collegamento negoziale (cfr. Cass. nn. 19751/2017, 1834/2011 cit., 6190/2008).

Nel caso di specie la corte del merito, che ha ampiamente illustrato le ragioni del proprio convincimento, ha per l’appunto ritenuto provata per facta concludentia la natura bilanciata delle operazioni in esame, non solo per la loro contestualità, ma anche in ragione della perfetta corrispondenza fra versamento e prelievi e dell’andamento del conto corrente, sul quale, già dalla fine del 2000, la banca non aveva più consentito alla cliente di operare allo scoperto.

Si tratta, all’evidenza, di un accertamento in fatto, che avrebbe potuto essere censurato solo nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; Mael lo ha invece contrastato attraverso la deduzione di un inesistente vizio di violazione della L. Fall., art. 67, che, peraltro (quand’anche l’individuazione della disposizione in tesi violata potesse essere attribuita ad un mero lapsus calami, volendo la ricorrente in realtà riferirsi agli artt. 2727,2729 c.c.) muoverebbe da una lettura parziale della decisione impugnata (fondata, come si è detto, su plurimi elementi presuntivi) senza investirla nella sua interezza.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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