Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13175 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 28/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CASSA ITALIANA DI PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI GEOMETRI LIBERI

PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 134, presso lo

studio dell’avvocato SCONOCCHIA BRUNO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CINELLI MAURIZIO, giusta o mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PETTINI ANDREA, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1168/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/09/2005 R.G.N. 1638/04 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato SCONOCCHIA BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Cassa di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Firenze, pubblicata il 6 settembre 2005, che ha riformato, in parte, la decisione del Tribunale di Firenze nella controversia proposta dalla Cassa contro il geometra B. R..

La vicenda è la seguente.

Il B. lavorava, ed era iscritto all’albo dei geometri dal 1961. Si iscrisse alla Cassa nel 1966. Nel 1996 chiese la retrodatazione della iscrizione al 1962, dimostrando di aver lavorato da quell’epoca. La Cassa accolse la richiesta e lo invitò a versare i relativi contributi. Il Geometra provvide. La Cassa accolse l’istanza di retrodatazione. In conseguenza di ciò, il geometra chiese di andare in pensione e di essere cancellato dall’albo. La Cassa deliberò la liquidazione della pensione di anzianità, con decorrenza dal 1 novembre 1997.

Senonchè, il 23 giugno 1998 la Cassa revocò la sua deliberazione, accortasi di aver violato la norma che preclude il versamento dei contributi prescritti, e diede agli interessati facoltà di costituzione di una rendita vitalizia relativa agli anni in contestazione, versando la riserva matematica, che con successivi provvedimenti quantificò in L. 123.557.535, con termine per pagare entro il 30 giugno 2000.

La Cassa precisò che in mancanza di pagamento si sarebbe proceduto alla revoca della pensione.

Il B. chiese un provvedimento d’urgenza, al giudice del lavoro di Firenze, che ordinò alla Cassa di corrispondere la pensione sino al termine del giudizio di merito.

Il giudizio si concluse con sentenza del 23 marzo 2000, che condannò la Cassa a risarcire il danno in misura pari alla somma di L. 123.557.535, perfettamente corrispondente alla cifra a suo tempo indicata dalla Cassa come necessaria a i fini della conservazione del diritto alla pensione.

La sentenza passò in giudicato. L’appello fu dichiarato inammissibile perchè tardivamente proposto.

Il 17 aprile 2000 la Cassa informò il B. di aver provveduto a rideterminare in L. 50.780.064 l’ammontare della riserva matematica, con detrazione della somma già versata per la retrodatazione, comprensiva degli interessi legali e ribadì il termine ultimo del 30 giugno 2000.

La Cassa non diede esecuzione alla sentenza provvisoriamente esecutiva del Tribunale del marzo 2000, provvedendo solo il 19 novembre 2001 a seguito di notifica del precetto.

Il giorno dopo il geometra chiese di pagare la somma necessaria per il mantenimento della pensione.

La Cassa però il 25 settembre 2001 aveva provveduto ad annullare la delibera di concessione della pensione, sospendendo il pagamento della stessa dal novembre 2001 e chiedendo al geometra la restituzione degli arretrati dal 1 novembre 1997 al 31 ottobre 2001, in misura di L. 245.804.826.

Il geometra non provvide e la Cassa lo citò in giudizio, chiedendo al Tribunale di Firenze, sul presupposto che questi aveva “indebitamente percepito” la pensione di anzianità per il periodo dal 1 novembre 1997 al 31 ottobre 2001, di condannarlo a pagarle, ai sensi dell’art. 2033 c.c., la somma di L. 245.804.826, pari a 126.947,60 Euro.

Il geometra, nel costituirsi, propose domanda riconvenzionale per ottenere il riconoscimento del danno biologico subito, e la condanna della Cassa al ripristino della pensione nella misura liquidata sino all’ottobre 2001 ed al pagamento dei rispettivi ratei dal 1 novembre 2001 in poi. Il Tribunale ha accolto solo e in parte la domanda principale, condannando il B. a restituire le somme indebitamente percepite a titolo di pensione soltanto per il periodo dal luglio 2000 al 31 ottobre 2001.

Entrambe le parti hanno proposto appello.

La Corte d’Appello di Firenze si è così espressa:

“in parziale accoglimento dell’appello del B. e in riforma parziale della sentenza impugnata, dichiarato il diritto del B. alla regolarizzazione della sua posizione contributiva, rigetta la domanda proposta in primo grado dalla Cassa e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condanna la Cassa al ripristino della pensione già in godimento al B. fino al mese di ottobre 2001”.

Contro tale decisione la Cassa ricorre per tre motivi.

Il B. si difende con controricorso.

Con il primo motivo la Cassa denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1364 c.c., e degli artt. 324 e 329, c.p.c.”. Nella esposizione si precisa che la violazione dell’art. 1362, riguarda il comma 1 e si aggiunge anche la violazione canone di cui all’art. 1363 c.c..

La violazione delle su indicate regole ermeneutiche concernerebbe l’interpretazione della prima sentenza del Tribunale, quella passata in giudicato.

La tesi è che la sentenza avrebbe accolto non la domanda principale ma un domanda subordinata e che la Corte avrebbe riconosciuto non il diritto alla conservazione della pensione, prima liquidata e poi revocata, ma solo il diritto al risarcimento dei danni, diritto concretamente soddisfatto con il pagamento da parte della Cassa dell’importo indicato in sentenza.

Il motivo è inammissibile.

Con le sentenze del 25 maggio 2001, n. 226, 4 luglio 2001, n. 9050, 9 agosto 2001, n. 10977 le Sezioni unite di questa Corte, nell’affermare l’assoggettamento della cosa giudicata esterna al diretto esame ed alla cognizione piena del giudice di legittimità, ne hanno assimilato il contenuto a quello delle fonti del diritto di cui all’art. 1 preleggi, salva la mancanza dei caratteri della generalità ed astrattezza. Ne è conseguita la sottoposizione dell’interpretazione giudiziale della regiudicata esterna alle regole non già dell’ermeneutica negoziale (art. 1362 e ss. c.c.), bensì dell’art. 12 preleggi (Sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916, 28 novembre 2007, n. 24664).

Perciò la censura dell’attuale ricorrente, basata sull’invocazione degli artt. 1362 e ss. c.c., non può essere ammessa. Nè il suo contenuto può essere ricondotto nella sostanza all’art. 12 cit.

poichè esso si riferisce ad una volontà e ad un comportamento “delle parti” (scilicet: del contratto).

Il secondo motivo è così rubricato: “vizio di motivazione sotto i profili della irrazionalità, della insufficienza, della contraddittorietà e del travisamento dei fatti.

Violazione e falsa applicazione della L. n. 1338 del 1962, art. 13”.

Il vizio di motivazione, concernerebbe i seguenti punti: prima di tutto consisterebbe nel fatto che la Corte ha ritenuto che la sentenza dal 2000 oltre a condannare la Cassa al pagamento della somma di … “vincolasse la Cassa anche a farsi carico dell’impiego di quelle somme” a fissare un termine affinchè il professionista provvedesse al versamento della riserva matematica (paragrafo 8).

In secondo luogo, la sentenza sarebbe “illogica” e avrebbe travisato i fatti, laddove afferma che nessuna statuizione è stata presa in ordine al diritto del ricorrente al mantenimento della pensione di anzianità” (paragrafo 9).

In terzo luogo, la sentenza sarebbe contraddittoria e lacunosa laddove afferma che la Cassa “avrebbe potuto legittimamente revocare la pensione di anzianità” soltanto quando fosse scaduto il termine per il pagamento della riserva matematica (paragrafo 10).

In quarto luogo, la sentenza sarebbe affetta da “irrazionalità e contraddittorietà” laddove non disconosce il fatto che al momento della adozione da parte della Cassa del provvedimento di revoca non sussistevano i requisiti minimi per il trattamento pensionistico, ma ciò nonostante dichiara la Cassa tenuta a proseguire l’erogazione imputando ad essa di non aver dato al B. il tempo sufficiente per provvedere al pagamento della riserva matematica.

La violazione della L. n. 1338 del 1962, art. 13 è così indicata nel relativo quesito: se sia conforme alla corretta interpretazione dell’art. 13 richiedere che, in attesa delle determinazioni dell’interessato l’ente previdenziale debba tener indenne l’assicurato dagli effetti della irregolare o insufficiente contribuzione e dunque provvedere ad erogare la prestazione pensionistica, pur ove abbia accertato il difetto dei relativi requisiti.

Il motivo, è infondato.

Nella parte relativa al vizio di motivazione, perchè esso propone una serie di censure del ragionamento giuridico della Corte, senza focalizzare, con la specificità richiesta dal codice, il “punto decisivo” della controversia su cui la motivazione sarebbe insufficiente e contraddittoria, come richiede l’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione applicabile alla causa ratione temporis.

Quanto alla violazione della L. n. 1338 del 1962, art. 13 è opportuno richiamare il testo della norma, che così si esprime:

“ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 55 può chiedere all’istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo comma 4, una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.

La corrispondente riserva matematica è devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all’assicurazione obbligatoria e al fondo di adeguamento, dando luogo alla attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita.

La rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere;

in caso contrario contributi di cui al comma precedente sono valutati a tutti gli effetti ai fini della assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli dal presente articolo su esibizione all’istituto nazionale della previdenza sociale di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonchè la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.

Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.

per la costituzione della rendita il datore di lavoro, ovvero il lavoratore allorchè si verifichi l’ipotesi prevista al comma 4, deve versare all’istituto nazionale della previdenza sociale la riserva matematica calcolata in base alle tariffe che saranno all’uopo determinate e variate, quando occorra, con decreto del ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il consiglio di amministrazione dell’istituto nazionale della previdenza sociale”.

Rispetto a questo complesso meccanismo, non è dato evincere, dall’esame del motivo d’impugnazione, quale specifico precetto di tale normativa sarebbe stato violato dalla sentenza della Corte e perchè sarebbe stato violato.

Il terzo ed ultimo motivo è così rubricato: “violazione di legge, in riferimento all’art. 112 c.p.c. alla L. 29 ottobre 1982, n. 773, art. 3 e al D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, Vizio di motivazione”.

Il vizio di ultrapetizione deriverebbe dal fatto che il professionista “non ha formulato alcuna richiesta diretta all’accertamento della legittimità del provvedimento relativo alla disciplina della facoltà di riscatto ai termini per il suo esercizio”. La censura è di difficile comprensione. In ogni caso, la lettura comparata della richiesta del professionista e della decisione della Corte non consentono di ritenere che la decisione abbia travalicato i limiti della domanda, in quanto la valutazione relativa al termine imposto dalla Cassa al professionista (sfasato rispetto a quello del pagamento da parte della Cassa in esecuzione della sentenza) risulta sicuramente interna al perimetro della decisione richiesta.

Nè tale valutazione può dirsi fondata su motivazione insufficiente e contraddittoria (censura contenuta nell’ultimo paragrafo del ricorso), perchè su questo punto la sentenza è chiara e articolata ed esprime un ragionamento, che può non essere condiviso nel merito, ma che sicuramente è completo e lineare nei suoi passaggi. Del tutto eterogenee e inconferenti sono infine le altre due censure del terzo motivo, relative alla violazione della L. 29 ottobre 1982, n. 773, art. 3 e del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2 che prescindono dal lungo percorso del primo e del secondo giudizio e non tengono conto della specificità della situazione determinatasi, a causa di un vistoso errore originario commesso dalla Cassa, cui si sarebbe potuto porre rimedio semplicemente coordinando l’adempimento in tempi ragionevoli della prima sentenza con la richiesta di pagamento rivolta al professionista.

Il ricorso, pertanto deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Cassa alla rifusione, in favore del B., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 34,00, nonchè 4.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

 

 

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