Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13173 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. III, 17/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 17/05/2021), n.13173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27949/2019 proposto da:

S.M.N., rappresentato e difeso dall’avv.to ASSUNTA

FICO, giusta procura speciale allegata al ricorso

(assunta.fico.avvocaticrotone.legalmail.it) ed elettivamente

domiciliata in Roma, Piazza Cavour presso la Cancelleria centrale

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 949/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 03/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.M.N., proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi ad quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale di rigetto dell’impugnazione proposta avverso il provvedimento di diniego della competente Commissione Territoriale dinanzi alla quale aveva richiesto la protezione internazionale declinata, in via gradata, nelle forme della “protezione sussidiaria” D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, nella formulazione ratione temporis vigente.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente ha narrato di essere fuggito dal proprio paese per sottrarsi alla persecuzione ordita da una organizzazione criminale, già responsabile dell’omicidio di alcuni suoi familiari fra cui il fratello che si era rifiutato di pagare una tangente. Ha dedotto, altresì, di essersi integrato sia sotto il profilo linguistico, che occupazionale, reperendo anche un’attività lavorativa ormai stabile.

2. Il Ministero dell’Interno non si è difeso chiedendo di poter partecipare, ex art. 370 c.p.c., alla discussione in udienza.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè l’omessa audizione del ricorrente.

2. Con il secondo motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omesso esame della documentazione prodotta attestante l’integrazione linguistica e lavorativa raggiunta, (e cioè le buste paga e le comunicazioni obbligatorie della certificazione unica del 2017 nonchè la copia di diversi contratti di lavoro subordinato).

3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27: assume che la Corte dopo aver negato che ricorressero i presupposti per il riconoscimento dello stato di rifugiato, aveva affermato, in relazione alla protezione sussidiaria, che non ne ricorrevano i presupposti, omettendo di considerare che i responsabili dei danni gravi che consentivano il riconoscimento della tutela invocata potevano essere anche soggetti non statuali, ove il sistema di protezione del paese non fosse stato in grado di garantire una condizione di sicurezza; e che le informazioni più aggiornate (C.O.I. 2019) riportavano notizie allarmanti riguardanti l’incapacità delle autorità statuali di punire gli abusi nonchè la diffusione in tutto il paese di un clima di impunità, circostanze apoditticamente smentite dai giudici d’appello.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, infine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ragione della mancata comparazione fra l’integrazione sociale e la condizione personale del richiedente.

4.1. Assume che a fronte di specifica censura prospettata e delle prove circostanziate fornite sull’integrazione raggiunta, la Corte aveva genericamente escluso la sua condizione di vulnerabilità nonchè il rischio di compromissione del nucleo irrinunciabile dei diritti fondamentali, ove fosse rientrato nel paese di origine.

5. Il primo motivo è infondato.

5.1. Deve premettersi che, in relazione alla specifica questione, questa Corte ha affermato che “allorchè il richiedente impugni la decisione della Commissione Territoriale e la videoregistrazione non sia disponibile, il giudice deve fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto che decide il ricorso per violazione del principio del contraddittorio, nè rilevando in contrario la circostanza che il ricorrente abbia omesso di prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato un pregiudizio per la decisione di merito” (cfr. Cass. 32073/2018; Cass. 14148/2019; Cass. 10786/2019): al riguardo, non è inutile precisare che la doverosa fissazione dell’udienza di comparizione non equivale al rinnovo dell’audizione del richiedente asilo che rappresenta un incombente cui il giudice di merito è tenuto soltanto in alcune specifiche ipotesi, come condivisibilmente chiarito dalla più recente giurisprudenza di questa Corte.

5.2. Si richiamano, al riguardo, i seguenti principi di diritto che rilevano, in modo specifico, sulla decisione della censura in esame:

a. “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 21584/2020; Cass. 22049/2020);

b. più specificamente, per il grado di appello, “non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poichè l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (cfr. Cass. 8931/2020).

5.3. Nel caso in esame, come è emerso dall’esame del fascicolo d’ufficio acquisito a seguito del rinvio a nuovo ruolo appositamente disposto, l’udienza di comparazione è stata fissata sia dal Tribunale (dove sono state tenute ben cinque udienza alla presenza del difensore dell’odierno ricorrente) sia dalla Corte territoriale dinanzi alla quale, oltretutto, non c’è stata alcuna rinnovata richiesta di audizione: la decisione, pertanto, in relazione alla censura prospettata, non risulta affetta dal vizio dedotto, dovendosi oltretutto precisare che nel grado d’appello il rinnovo di qualsiasi atti istruttorio rientra nell’insindacabile potere discrezionale del giudice di merito.

6.. Il secondo motivo deve essere esaminato congiuntamente al quarto per l’intrinseca connessione logica.

6.1. Il ricorrente, infatti, deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alla documentazione prodotta, volta a dare dimostrazione degli elementi necessari per il giudizio di comparazione su cui si fonda il riconoscimento della protezione umanitaria, in relazione alla quale la censura si estende anche a contestare il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

6.2. Entrambi i motivi sono fondati.

6.3. Si osserva infatti che la Corte territoriale non ha affatto esaminato la documentazione attestante l’integrazione lavorativa (indicata nell’atto d’appello richiamato a pag. 6 del ricorso); nè ha valutato la vulnerabilità dedotta, da una parte negando che fosse stato allegato alcunchè di rilevante, vista “la lacunosità, incongruenza ed inattendibilità delle dichiarazioni dell’interessato” (cfr. pag. 19, primo cpv. del ricorso) erroneamente valorizzata proprio in relazione alla fattispecie rispetto alla quale la credibilità non assume rilievo, senza che, oltretutto, in precedenza il racconto fosse stato dichiarato inattendibile; e, dall’altra, circoscrivendola “alle ipotesi di esposizione grave alla lesione del diritto alla salute o come conseguenza di una situazione politica molto grave” (cfr. pag. 18 u. cpv. e 19 primo cpv.) le quali, oltre a restringere erroneamente la tutela invocata (trattandosi notoriamente di fattispecie atipica ed a “compasso largo”) la esclusa senza alcun riferimento a C.O.I. (Country Origin Informations) attendibili ed aggiornate, così come predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

6.4. Le fonti richiamate, infatti, esclusivamente riferite alle condizioni del servizio sanitario del paese, sono prive di riferimento cronologico (cfr. pag. 20 della sentenza); e le altre informazioni raccolte sulle generali condizioni di insicurezza esistenti sono state desunte da testate giornalistiche o da “enti di tutela dei diritti umani” genericamente indicati e sono riferite a periodi risalenti nel tempo (2013-2016, 2015): esse, oltre a non essere idonee allo scopo, risultano valutate in modo contraddittorio, perchè da una parte vengono riportate informazioni allarmanti (uccisioni, atti terroristici, scontri a fuoco in occasioni elettorali), e dall’altra viene negato apoditticamente che tali notizie possano configurare i presupposti della protezione invocata.

6.5. Il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, così come prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ridonda sulla assenza di un corretto giudizio di comparazione, predicato dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte (Cass. 4455/2018 e Cass. SU 29459/2019), necessario per il riconoscimento della protezione umanitaria alla luce di COI attendibili ed aggiornate alla data della decisione che non risultano affatto acquisite.

6.6. Risulta pertanto fondata sia la censura di nullità della sentenza per mancanza di motivazione sulle emergenze processuali, sia quella di violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

7. Ma anche il terzo motivo, che investe la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, è fondato.

7.1. Infatti, premesso che la credibilità del racconto – consistente in una vicenda privata – non è stata messa in discussione attraverso una motivazione rispettosa del paradigma interpretativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, manca del tutto una valutazione della Corte sui gravi danni temuti per l’assenza di adeguata tutela da parte delle autorità statali, anche in relazione ad aggressioni derivanti non da soggetti statuali così come accaduto nella storia narrata dal ricorrente. Anche in relazione alla protezione sussidiaria, la valutazione del giudice di merito deve essere fondata su informazioni attendibili ed aggiornate al momento della decisione, sulle questioni specificamente dedotte (nel caso in esame, l’impossibilità di trovare tutela attraverso il ricorso agli organi statali a ciò deputati) tratte dalle fonti ufficiali riconducibili alla previsioni normativa del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e non – come emerge dalla motivazione censurata – da una generica trasposizione, priva di data, di informazioni non riconducibili alla condizione reale del paese nel quale il richiedente dovrebbe essere rimpatriato, attraverso le quali, oltretutto, dapprima viene tratteggiata una grave condizione di pericolo, seguita, poi, da una motivazione apoditticamente svalutativa degli eventi riportati.

7.2. E, al riguardo, si osserva che il ricorrente ha contrapposto alle generiche informazioni riportate nella sentenza impugnata, fonti ufficiali attendibili ed aggiornate (Report USDO 2019: cfr. pag. 13 del ricorso) dalle quali si evince l’incapacità delle autorità statali di far fronte agli abusi, creando un clima di impunità nel paese (cfr. al riguardo, Cass. 7333/2015; Cass. 11175/2020; Cass. 23281/2020): la censura, pertanto, risulta decisiva e conducente ad una possibile diversa decisione.

8. In conclusione, il ricorso deve essere accolto in relazione al secondo, terzo e quarto motivo e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce dei seguenti principi di diritto, previo attento esame della documentazione prodotta:

“In tema di protezione internazionale sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pone a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine. In particolare, deve ritenersi necessario l’approfondimento istruttorio officioso quando il richiedente descriva una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica che derivi da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali: ciò proprio al fine di verificare il grado di diffusione ed impunità dei comportamenti violenti descritti e la risposta delle autorità statuali”;

“il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge”;

“secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato; peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire”;

9. La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte;

accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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