Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13171 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. III, 17/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 17/05/2021), n.13171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36578/2019 proposto da:

A.J., rappresentata e difesa dall’avv.to ANNA LOMBARDI

BAIARDINI, giusta procura speciale in calce al ricorso,

(anna.lombardibaiardini.avvocatiperugiapec.it) elettivamente

domiciliata presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione

in Roma, piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 553/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 05/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.J. proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi a tre motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Perugia che aveva confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, da lui avanzata in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito in quanto, dopo un litigio con un uomo che aveva visto insieme alla sua fidanzata, gli aveva accidentalmente gettato su viso e sul corpo un liquido che lui credeva essere acqua, mentre, in realtà, era acido.

1.2. I familiari della vittima, per vendetta, gli avevano incendiato la casa e lo avevano minacciato di morte, per cui aveva deciso di allontanarsi dal proprio paese temendo sia la vendetta privata che la detenzione in carcere conseguente alla loro denuncia.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, art. 14, lett. A), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3,8 e 32, art. 5, comma 6 e art. 19 TUI, nonchè del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, in quanto la Corte d’Appello di Perugia non aveva valutato la credibilità del suo racconto secondo i parametri predicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Il ricorrente, infatti, a fronte di una argomentata valutazione della attendibilità dei fatti narrati lamenta che la Corte non avrebbe osservato il paradigma interpretativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

1.3. Al riguardo, si osserva che la motivazione della sentenza mostra che la vicenda allegata, ricondotta ad una “questione privata”, è stata esaminata attraverso la descrizione di tutte le contraddizioni emerse dal complessivo racconto, fra le quali, in primis, l’omessa denuncia agli organi di polizia locale, incoerente con la successiva doglianza di non poter trovare tutela presso le autorità del proprio paese.

1.4. Il percorso argomentativo della Corte risulta improntato ad una valutazione complessiva della storia narrata, coerente con quanto predicato dalla norma che, erroneamente, si assume violata: la censura pertanto, postula, con tutta evidenza, una rivalutazione di merito dei fatti raccontati, inammissibile in questa sede, posto che risulta rispettato il paradigma interpretativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, anche attraverso l’acquisizione di informazioni attendibili ed aggiornate (Amnesty 2017/2018: cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) alle quali il ricorrente non contrappone nessun’altra C.O.I., più aggiornata ed idonea a condurre ad una diversa conclusione.

1.5. La censura pertanto manca di decisività.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7 e art. 14, lett. b), nonchè D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 e gli artt. 2, 3, 4,5 e 9 della CEDU.

2.1. Il motivo, strettamente collegato al primo, è riferito all’omesso riconoscimento della protezione sussidiaria ed è anch’esso inammissibile.

2.2. Quanto al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), infatti, la decisione negativa sulla credibilità assorbe ogni altra censura, trattandosi di un elemento imprescindibile per la valutazione dei presupposti della fattispecie.

2.3. Quanto al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. lett. c) – che postula la sussistenza “di una minaccia grave alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” per la quale la credibilità del racconto non assurge ad elemento dirimente per il riconoscimento della protezione invocata (cfr. Cass. 8819/2020) – il Collegio ritiene che le informazioni acquisite, sopra richiamate, siano state, nel caso in esame, correttamente valutate e valgano ad escludere che nel paese di origine sia in atto un conflitto armato nell’accezione coniata dalla giurisprudenza Eurounitaria.

3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8, e 32, art. 5, comma 6 e art. 19 T.U.I., nonchè del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28; lamenta altresì l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti.

3.1. Assume, in sostanza, che non sarebbe stata valutata nè la sua condizione di vulnerabilità (per la quale ha indicato, come fattore rilevante, la giovanissima età in cui aveva intrapreso il viaggio, nonchè il trattamento caratterizzato da violenza subito durante il transito in Libia), nè la sua integrazione nel paese ospitante, attestata anche da un contratto di lavoro prodotto (cfr. pag. 20 e 21 del ricorso) di cui la sentenza non avrebbe fatto menzione; denuncia altresì l’omessa acquisizione di fonti informative aggiornate sul livello di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine, richiamando le informazioni desumibili dai report di Amnesty International 2017, decisive, in thesi, per una possibile diversa soluzione della controversia.

3.2. Il motivo è fondato.

3.3. La Corte territoriale, infatti, ha del tutto omesso lo specifico esame degli elementi di comparazione sopra richiamati trascurando, altresì, di acquisire fonti informative aggiornate sulle condizioni di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine, in quanto i report evocati con riferimento alla protezione sussidiaria non si occupano di accertare il livello di tutela dei diritti fondamentali di tutti i cittadini, limitandosi a descrivere la diffusione nel paese di atti di criminalità e le complesse e particolari tipologie di limitazione della libertà personale “coinvolgenti coloro che sono tacciati di stregoneria”: in buona sostanza, il richiamo di C.O.I. attendibili in relazione alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non vale a soddisfare l’adempimento del dovere di cooperazione istruttoria in funzione della protezione umanitaria, i cui profili caratterizzanti sono diversi e ben più “variegati”, così come affermato dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, rappresentando un accertamento indispensabile per consentire, in termini di successione logica, il giudizio di comparazione alla luce degli altri due elementi, rappresentati dalla vulnerabilità e dall’integrazione nel paese di accoglienza i quali, nel caso in esame, non sono stati affatto tenuti nella dovuta considerazione: sia la prima (e cioè la vulnerabilità), in relazione alla condizione di partenza e di viaggio del richiedente asilo (minore età al momento dell’espatrio e conseguente maggiore fragilità, violenze subite nel paese di transito) sia la seconda (e cioè l’integrazione) risultano infatti del tutto ignorate rispetto alle emergenze processuali.

3.4. Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di affermare che “in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, oltre che a quella vissuta nel paese di transito, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione” (cfr. Cass. 13079/2019; Cass. 8571/2020; Cass. 20642/2020; Cass. 198/2021).

Il giudici d’appello non hanno osservato i principi sopra richiamati: la sentenza, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, per il riesame della controversia, in relazione al motivo accolto alla luce del principio di diritto sopra evidenziato e di quelli che seguono:

a.”secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato; peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire”;

b.”il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge”;

c.”il riferimento alle fonti ufficiali aggiornate, attendibili e specifiche rispetto alla situazione individuale dedotta configura un dovere del giudice che giammai potrà determinare una inversione, a carico del richiedente, dell’onere postulato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3″.

La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte;

accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il primo ed il secondo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Perugia per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

 

 

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