Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13170 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5010/2015 proposto da:

Costruzioni Italia Labaro – C.I.L. S.p.a. in Amministrazione

Straordinaria, in persona dei commissari straordinari pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Largo Sarti n. 4, presso lo

studio dell’avvocato Bruno Capponi, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

SAFE S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Giordano n. 2, presso

lo studio dell’avvocato Massimo Ranieri, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Costruzioni Italia Labaro – C.I.L. S.p.a. in Amministrazione

Straordinaria, in persona dei commissari straordinari pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Largo Sarti n. 4, presso lo

studio dell’avvocato Bruno Capponi, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 6232/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Costruzioni Italia Labaro – C.I.L. S.p.a. in Amministrazione Straordinaria (facente parte del gruppo Stirling per il quale era stata già aperta la “procedura madre” Federici Stirling S.p.a.) propose azione revocatoria fallimentare D.Lgs. n. 270 del 1999, ex artt. 49 e 91 e L. Fall., art. 67, comma 1 – o, in subordine, azione revocatoria ordinaria L. Fall., ex art. 66 e art. 2901 c.c. – nei confronti di Stirling S.p.a. (ora SAFE S.p.a.), chiedendo che venisse dichiarata l’inefficacia dell’atto del 30/08/1999 con il quale C.I.L. in bonis aveva venduto alla società convenuta un complesso immobiliare sito in (OMISSIS), al prezzo di sette miliardi di Lire (di cui tre in contanti e il resto a mezzo permute immobiliari).

1.1. Il Tribunale di Roma adito rigettò la domanda revocatoria fallimentare per insussistenza del presupposto della notevole sproporzione (alla luce della disposta CTU) ed accolse invece la domanda subordinata di revocatoria ordinaria,”ravvisando l’eventus damni nella maggiore difficoltà, incertezza o dispendio nell’esazione coattiva del credito, oltre che nella differenza tra prezzo e valore del bene, come accertata dal CTU – ancorchè non integrante notevole sproporzione – e traendo la prova della esistenza di debiti anteriori al compimento dell’atto, per importi notevolmente superiori all’attivo patrimoniale, dai bilanci della società venditrice e dalla esistenza della ipoteca gravante sull’immobile oggetto di cessione” (che la CIL si era impegnata a cancellare entro il 30/06/2000, pena la risoluzione del contratto di compravendita); con specifico riguardo al presupposto soggettivo evidenziò come, “trattandosi di atto compiuto successivamente al sorgere del credito”, fosse “sufficiente la conoscenza, da parte del debitore e del terzo, del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori”, a tal fine rilevando che “la pesante situazione di indebitamento della società, emergente dai bilanci e dalla ipoteca, era nota ad entrambi i contraenti in ragione della circostanza che gli organi amministrativi e di controllo della Stirling erano composti da persone che ricoprivano o avevano ricoperto, formalmente o di fatto, analoghe cariche nell’ambito della società alienante”.

1.2. L’appello principale proposto da SAFE contro la decisione è stato accolto dalla Corte d’appello di Roma, che ha ritenuto insussistente il presupposto dell’eventus damni, non avendo la procedura dimostrato quale fosse la consistenza del patrimonio di CIL alla data della vendita e quali crediti, poi ammessi allo stato passivo, fossero già sorti a quella data; la corte del merito ha invece rigettato l’appello incidentale della procedura, volto ad ottenere l’accoglimento della domanda di revoca D.Lgs. n. 270 del 1999, ex artt. 49-91 e L. Fall., art. 67, comma 1, proposta in via principale, ritenendo corretta l’esclusione da parte del giudice di primo grado della ricorrenza dell’elemento oggettivo dell’azione; ha infine respinto la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c., riproposta dalla SAFE, escludendo che gli organi dell’A.S. di CIL avessero agito senza la normale prudenza.

1.3. C.I.L. S.p.a. in A.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello affidato a due motivi, cui SAFE S.p.a. ha resistito con controricorso, contenente un motivo di ricorso incidentale.

1.4. Le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. Con il primo motivo – “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 66 e dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” – la ricorrente muove una serie di contestazioni.

2.1. In primo luogo, censura la statuizione della corte d’appello sulla mancata assoluzione dell’onere di provare l’esistenza di uno o più crediti ammessi al passivo sorti prima dell’atto soggetto a revocatoria, nonchè la consistenza quantitativa e qualitativa del patrimonio del debitore subito dopo la vendita, in quanto tale onere varrebbe “nel solo caso in cui non venga ipotizzata una dolosa preordinazione dell’atto dispositivo al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito”, mentre nel caso di specie essa aveva espressamente dedotto (e provato a mezzo di presunzioni) il consilium fraudis della venditrice e la partecipatio fraudis dell’acquirente (come risulterebbe dalle pag. 23 e ss. della comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale), sicchè la corte d’appello avrebbe “omesso di considerare e quindi di pronunciarsi (e di motivare) in merito alla dolosa preordinazione”.

2.2. In secondo luogo, la ricorrente contesta le valutazioni della corte territoriale in punto di insussistenza dell’eventus damni – che essa avrebbe parimenti “dedotto e provato” – e di mancanza della prova dello stato di insolvenza, trattandosi di requisito non necessario nell’azione revocatoria ordinaria.

2.3. Infine, il motivo lamenta la nullità della decisione impugnata per l’evidente contraddittorietà, perplessità e incomprensibilità della sua motivazione.

3. Il secondo mezzo prospetta, congiuntamente, “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 67, nella sua formulazione applicabile ratione temporis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

3.1. La ricorrente osserva, in particolare, che la corte d’appello sarebbe incorsa in un duplice errore, non avvedendosi che, a fronte di un atto risalente al 1999 impugnato con citazione del 2004, si sarebbe dovuto applicare la L. Fall., art. 67, nella formulazione anteriore alla riforma del 2005, quando ancora non era stata codificata la sproporzione nella misura del 25% (laddove nel caso di specie il CTU aveva rilevato una sproporzione tra prezzo e valore non superiore al quarto), sicchè la motivazione sul punto sarebbe meramente apparente.

3.2. Rileva inoltre che “il giudizio di merito sulla sproporzione tra le prestazioni è insindacabile in sede di legittimità solo se adeguatamente motivato e privo di vizi logici e giuridici”, mentre nel caso di specie “gli elementi da cui trarre in maniera ponderata un giudizio di certezza in ordine alla notevole sproporzione tra le prestazioni (…) erano tutti emersi in corso di causa”, segnatamente: i) il valore dell’immobile superava il prezzo di quasi il 24%; ii) le modalità di pagamento prevedevano una consistente quota “in denaro, di natura maggiormente volatile”; iii) l’acquirente era ben consapevole dello stato di insolvenza della venditrice, risultante dai bilanci, e della dolosa preordinazione dell’atto alla riduzione della garanzia patrimoniale.

4. Entrambi i motivi sono inammissibili per varie ragioni.

5. Quanto al primo, va innanzitutto rimarcato che, secondo quanto risulta dalla lettura della sentenza impugnata (laddove riporta per intero passi di quella di primo grado), il tribunale ha dichiarato l’inefficacia dell’atto di vendita perchè posteriore sia al sorgere dei debiti di CIL emergenti dai bilanci, sia all’iscrizione dell’ipoteca gravante sull’immobile alienato; il giudice di primo grado ha dunque accolto la domanda di revocatoria ordinaria proposta da CIL in A.S. ai sensi della prima parte dell’art. 2901 c.c., comma 1, nn. 1) e 2), che configura un’azione distinta e autonoma rispetto a quella contemplata nella seconda parte delle medesime disposizioni, i cui fatti costitutivi sono l’anteriorità dell’atto rispetto al sorgere del credito e, sotto il profilo soggettivo, anzichè la sola, c.d., scientia damni (ovvero la consapevolezza in capo a debitore e terzo di arrecare un pregiudizio agli interessi dei creditori), la dolosa preordinazione del debitore con la partecipazione del terzo (c.d. consilium e partecipatio fraudis).

5.1. Orbene, l’accertamento del tribunale in ordine all’anteriorità dei crediti pregiudicati dal compimento dell’atto non è stato impugnato da CIL in A.S. con uno specifico motivo di appello (incidentale): sul suddetto fatto costituivo della domanda si è dunque formato il giudicato interno, rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità. Di conseguenza, l’odierna ricorrente non può lamentare in questa sede che la corte territoriale si sia limitata a rilevare la mancanza di prova dell’esistenza dei crediti anteriori, senza pronunciarsi “in merito alla dolosa preordinazione”, poichè, appunto, in difetto di appello, la cognizione devoluta al giudice del gravame era ormai definitivamente delimitata dal fatto storico accertato dal primo giudice, della posteriorità dell’atto rispetto al sorgere dei crediti, valevole a qualificare la domanda di revoca in quella dal cui ambito esorbita il tema della dolosa preordinazione.

5.2. Questa Corte ha al riguardo chiarito che “il giudice d’appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purchè non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il “petitum” e la “causa petendi” ed eserciti tale potere-dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente” (Cass. 12875/2019; cfr. Cass. Sez. U, 4262/1985; Cass. 14077/2018, 6716/2018, 12843/2017, 15223/2014, 14806/2014, 4811/2001, 19938/2008, 3506/1996, 2133/1971).

5.3. Inoltre, il vizio di omessa pronuncia denunziato al riguardo ex art. 112 c.p.c., non è configurabile rispetto a mere difese, questioni o argomentazioni (cfr. Cass. 22397/2019), ma solo rispetto a domande o eccezioni di merito, cioè “qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (Cass. 7653/2012; conf. Cass. 7472/2017, 28308/2017, 18797/2018).

5.4. Nel caso di specie, invece, la ricorrente si limita a richiamare le difese svolte in secondo grado, contenenti solo vaghi accenni alla preordinazione dell’atto “al fine di sottrarre i beni della CIL al soddisfacimento dei creditori” e ad “un accordo in danno del ceto creditorio di CIL” (v. pagg. 28 e 30 ricorso), per di più formulati nel contesto dell’appello incidentale contro il rigetto della domanda di revocatoria fallimentare, senza nemmeno allegare di aver dedotto nella citazione che l’atto era anteriore rispetto al sorgere dei crediti e che l’acquirente era partecipe della sua dolosa preordinazione.

6. Ulteriori profili di inammissibilità sono comuni ai due motivi.

6.1. In primo luogo, essi prospettano confusamente vizi eterogenei (errores in procedendo, errores in iudicando e censure motivazionali), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez. 1, 11222/2018; Sez. 2, 2954/2018, 4934/2017; Sez. 3, 16657/2017, 3554/2017; Sez. 4, 27458/2017, 23265/2017; Sez. 5, 19133/2016).

6.2. Inoltre, le censure motivazionali non rispettano i canoni del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 e applicabile ration etemporis), che impone al ricorrente l’onere di indicare, in ossequio all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato (testuale o extratestuale) da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e, soprattutto, la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020), restando esclusa la possibilità di denunziare in questa sede la mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U, 33017/2018).

6.3. Al riguardo occorre altresì considerare che il sindacato di legittimità sulla motivazione è attualmente ridotto alla verifica del rispetto del “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U, 8053/2014). Orbene, nessuno di detti gravi vizi inficia, rendendola nulla, la motivazione della sentenza impugnata, la quale appare chiara, coerente e congrua, tale cioè da superare sicuramente quella soglia minima di costituzionalità di cui si è detto.

6.4. Quanto alle denunziate violazioni di legge, per giurisprudenza consolidata di questa Cortei vizio dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), consiste nella deduzione di un’erronea ricognizionedella fattispecie astratta recata dauna norma di legge, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione dellafattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 24155/2017, 6587/2017) al di fuori dei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (Cass. 22707/2017, 195/2016).

6.5. Nel caso di specie, le doglianze in disamina evocano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, e quindi si pongono al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione utilizzato, di fatto traducendosi in una richiesta di rivisitazione del merito, inammissibile in questa sede (Cass. 6939/2020, 7192/2020, 27072/2019, 29404/2017, 9547/2017, 16056/2016).

6.6. Le stesse Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente ribadito come sia “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

7. Con il ricorso incidentale SAFE lamenta “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. e art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)” per avere la corte d’appello respinto la domanda riconvenzionale (riproposta in appello) di risarcimento dei “danni provocati dall’improvvida azione revocatoria avversaria”, senza prendere in considerazione che essa “non atteneva solo all’illegittima trascrizione della domanda giudiziale, bensì anche alla sola proposizione dell’azione, prevedibilmente inammissibile e comunque infondata”, nonchè per aver “errato nel non considerare che tale normale prudenza non poteva ritenersi sussistente per il solo fatto che domande gravemente infondate (…) avessero, per mero accidente, trovato parziale accoglimento ad opera di una pronuncia (…) la cui grave erroneità è stata evidenziata dalla stessa Corte di merito”.

7.1. Il motivo è inammissibile.

7.2. Invero esso, oltre a risultare affetto da alcuni dei profili di inammissibilità già rilevati per il ricorso principale – v. punti 5.1, 6.1 e 6.3 – veicola censure di merito, avendo questa Corte più volte osservato che “in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo – per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 – il controllo di sufficienza della motivazione” (ex plurimis, Cass. 34532/2019, 27326/2019, 24755/2019, 12555/2019, 1547/2019, 24399/2018, 2758/2018, 30953/2017, 19298/2016, 327/2010).

7.3. Ebbene, il motivo in esame non reca censure motivazionali ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e comunque, anche a volerle ritenere implicitamente formulate, le stesse non rispetterebbero il nuovo parametro normativo (v. supra, punto 6.2).

8. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese.

9. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U, nn. 23535/2019 e 4315/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia del ricorrente principale che del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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