Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13169 del 24/06/2016

Cassazione civile sez. I, 24/06/2016, (ud. 20/05/2016, dep. 24/06/2016), n.13169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23600-2012 proposto da:

EDILIZIA E SERVIZI S.R.L. (CF. (OMISSIS)), già BIGMAT

S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso

l’avvocato MARISA PAPPALARDO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUIGI BORLONE, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PRO.MA FRANCE S.A.COOPERATIVE, PRO.MA ITALIA S.C.R.L.;

– intimate –

nonchè da:

BIGMAT FRANCE S.A., già PRO.MA FRANCE S.A. COOPERATIVE, e

PRO.MA. ITALIA S.P.A. CONSORTILE, in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA,

PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20, presso l’avvocato FRANCO CAROLEO,

rappresentate e difese dall’avvocato GIAN BRUNO BRUNI, giusta

procura speciale per Notaio dott. VALDENAIRE di NANCY (FRANCY) del

9.9.2004 e procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

EDILIZIA E SERVIZI S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1824/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/05/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per rigetto del ricorso

principale; inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame proposto da Edilizia e Servizi e.r.l. (già Bigmat tiri), nei confronti della Pro.Ma. France S.A. Cooperative e Pro.Ma. Italia scarl, avverso la sentenza del Tribunale di quella stessa città che – accogliendo solo in minima parte la domanda proposta dalla prima – aveva dichiarato risolto il tratto di licenza del marchio Bigmat, di cui era titolare la società francese e licenziataria esclusiva per l’Italia (giusta contratto del 13 gennaio 1995) la sua partecipata, Promedil Italia srl, stipulato, il 31 gennaio 1998, tra la società francese, la sua partecipata italiana e concessionaria e l’attrice nei due gradi di merito, per l’impossibilità di accertare, anche in via incidentale, la nullità della delibera societaria del 2004, con cui la Promedil era stata messa in liquidazione e per l’esclusione del fatto che i rapporti inter partes potessero essere ricondotti nell’alveo dell’abuso di dipendenza economica, di cui all’art. 9 della legge sulla subfornitura (ossia la L. n. 182 del 1998), della società attrice rispetto alla concedente arance se, riconoscendo solo, in via residuale, il diritto dell’attrice ad utilizzare il marchio per i sei mesi successivi alla data di comunicazione dell’avvenuta risoluzione del contratto sub iudice.

2. Secondo il giudice distrettuale, per quella che ancora preme in questa sede, la delibera assembleare di messa in liquidazione della società licenziataria, si era stabilizzata perchè assunta con la maggioranza assoluta del capitale sociale e non impugnata, nel termine di legge; perciò la scelta della liquidazione della società costituiva l’esercizio, pienamente lecito, di una facoltà, avente come sola conseguenza ulteriore la legittima risoluzione contrattuale del rapporto di licenza d’uso e di utilizzazione del marchio a favore della società attrice, ai sensi dell’art. 10, comma 4, del menzionato contratto di licenza.

2.1. La Corte territoriale, infine, ha riconosciuto alla società appellante il diritto di utilizzo del marchio per un periodo di sei mesi dalla comunicazione del recesso, pur senza attribuirle il diritto al risarcimento del danno, derivante dalla comunicazione dell’avvenuta risoluzione del rapporto da parte della titolare del marchio alla clientela della società sub concessionaria, per l’esistenza di una specifica esclusione contrattuale (contenuta nell’art. 10 n. 9 del contratto) sia per l’insufficienza o il difetto della documentazione depositata.

3. Avverso tale pronuncia ricorre la società Edilizia e Servizi s.r.l. (già Bigmat arl), con ricorso affidato a sei mezzi.

Pro.Ma. France S.A.(già Pro.Ma. France Cooperative) e Pro.Ma.

Italia scarl, resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale, affidato ad un unico mezzo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo di ricorso principale violazione o falsa applicazione della disciplina della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. nonchè in tema di condizioni generali di contratto eartt. 1341, 1342 e 1355 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e nullità della clausola prevista dall’art. 10 del contratto di concessione del marchio la ricorrente, sulla premessa che la Corte territoriale aveva ritenuto legittima la risoluzione del contratto di licenza d’uso del marchio per l’avverarsi della condizione risolutiva in essa prevista, ossia la messa in liquidazione di una delle società stipulanti l’accordo del 31 gennaio 1998, ai sensi dell’art. 10 di esso, invoca la rilevabilità d’ufficio della nullità della clausola risolutiva perchè contenente la deduzione di un evento generico ed indeterminato: sia con riferimento al primo comma (prevedente la risoluzione di diritto in caso di mancato rispetto delle proprie obbligazioni contrattuali) sia con riferimento all’ultimo (prevedente la risoluzione automatica del contratto “nel caso in cui il licenziatario perda la titolarità, per qualsiasi motivo, della concessione in uso del marchio Bigmat, anche per effetto della risoluzione del proprio contratte con il licenziante il marchio stesso Promfrance SA”).

1.1.Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato ritenendo lecita una clausola costitutiva di una condizione meramente potestativa, perchè strutturata in modo da dipendere esclusivamente dalla volontà di una parte, quella che vuole avvantaggiarsi dalla stessa, ponendo in essere, arbitrariamente, la liquidazione della società concessionaria, allo scopo di provocare l’efficacia della clausola risolutiva.

2.Con il secondo motivo di ricorso principale violazione o falsa applicazione della disciplina della L. n. 192 del 1998, art. 9 (art. 360 c.p.c., n. 3) dalla cui applicazione discende la nullità della clausola prevista dall’art. 10 del contratto di concessione del marchio per abuso del diritto e di dipendenza economica la ricorrente, sulla premessa che la Corte territoriale aveva affermato che i rapporti intercorrenti tra le parti non rientrerebbero tra quelli disciplinati dalla legge sulla subfornitura, n. 192/98, non trattandosi di rapporti di natura industriale e produttiva, come previsto dall’art. 1 di quella medesima, ha respinto l’eccezione dell’appellante principale, ritenendo inapplicabile al caso in esame il principio del divieto di abuso di dipendenza economica. Con ciò errando, non solo in base alla giurisprudenza di legittimità, che tale previsione avrebbe estesa anche ai rapporti commerciali o contrattuali, quali quello di franchising intercorrente tra le parti in causa (laddove la società ricorrente, in posizione di dipendenza economica, avrebbe svolto il ruolo di franchisor del marchio Bigmat per ProMafrance).

3. Con il terzo (Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione Era le parti: gli accordi del 13 gennaio 1995 e 31 gennaio 1998), si lamenta l’omesso esame di fatti, che si assumono rilevanti e decisivi, e che avrebbero dimostrato la mala fede ed il dolo nella condotta della società francese, che avrebbe fatto promessa non mantenute per ottenere la messa in liquidazione della società concessionaria.

4.Con il quarto violazione o falsa applicazione della disciplina degli artt. 2723 e 2724 c.c., in materia di ammissibilità della prova testimoniale, e degli artt. 231 e 232 c.p.c., in tema di interrogatorio formale (art. 360 c.p.c., n. 3), in base alle quali, i giudici di merito avrebbero dovuto ammettere le istanze istruttorie chieste per accertare gli accordi successivi al contratto del 31 gennaio 1998 la ricorrente, sulla premessa che il nocciolo della questione sottoposta all’esame della Corte territoriale erano gli accordi, aggiunti e contrari rispetto al contenuto dei contratti (del gennaio 1995 e 1993) e non – come erroneamente ritenuto dal giudice distrettuale – la legittimità della delibera assembleare di liquidazione della società Promedil, si duole della mancata ammissione delle prove richieste allo scopo di dare dimostrazione dell’accordo successivo e incompatibile con la previsione contrattuale (l’art. 10 del contratto del 31 gennaio 1998).

5.Con il quinto (violazione o falsa applicazione della disciplina riguardante la buona fede contrattuale di cui agli artt. 1337, 1366, 1375 e 1349 c.c. nonchè artt. 1358, 1359 e 1360 c.c. e art. 2598 c.c., n. 3, (art. 360 c.p.c., n. 3), in base alle quali, i giudici di merito avrebbero dovuto dichiarare l’illegittimità del comportamento di PromaFrance la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che l’odierna resistente non ha osservato gli accordi intervenuti tra le parti, successivamente al contratto del gennaio 1998, avvalendosi della clausola risolutiva espressa e privando la società ricorrente del diritto all’uso del marchio.

5.1. Tale comportamento, tenuto in spregio al principio di buona fede contrattuale, in pendenza della condizione, sarebbe illegittimo perchè violativo della buona fede contrattuale e, quindi, come tale, da sanzionare riconoscendo il carattere abusivo della risoluzione, con condanna della società convenuta al risarcimento del danno.

6.Con il sesto violazione o falsa applicazione della disciplina riguardante la buona fede contrattuale di cui agli artt. 1453, 2598, 2709 e 2710 c.c. nonchè artt. 210, 231 e 232 c.p.c. e art. 2724 c.c., n. 1 (art. 360 c.p.c., n. 3), in base alle quali, i giudici di merito avrebbero ammettere le istanze istruttorie sulla questione dei danni in relazione al riconosciuto comportamento illecito di PromaFrance la ricorrente, sulla premessa che PromaFrance non aveva titolo per comunicare alla clientela l’immediata risoluzione della concessione del marchio nè di chiedere l’inibitoria al Tribunale (con provvedimento prima concesso e poi revocato), dovendo il contratto rimanere il vigore per ulteriori sei mesi, lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che l’odierna resistente abbia subito ingenti danni e quindi aveva il diritto al risarcimento relativo.

6.1.La Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere il risarcimento, avendo fatto riferimento alla documentazione propria di essa attrice, fatto salvo il bilancio di Proma Italia, considerato non esaustivo per la determinazione del danno.

6.2. A tal uopo la ricorrente illustra le diverse voci di danno e i documenti, già versati in atti, idonei a dimostrare la sua verificazione.

7. con l’unico mezzo di ricorso incidentale, la ricorrente, sulla premessa che la previsione contrattuale conteneva tre distinte ipotesi di risoluzione del rapporto, censura la decisione della Corte nella parte in cui ha affermato l’esistenza del diritto dell’utilizzatore del marchio a continuare, per altri sei mesi, ad usarlo atteso che il caso, verificatosi in concreto, atteneva alla risoluzione automatica e senza proroghe del rapporto tra il licenziante ed il licenziatario, con immediata ricaduta anche in favore dell’utilizzatore.

8. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.

8.1. La Corte territoriale ha, sia pure sinteticamente, motivato sul punto oggetto delle odierne critiche affermando che rientrava nell’ambito dell’autonomia negoziale la possibilità di pattuire una condizione risolutiva della concessione(del marchio) anche nell’interesse di una sola parte stipulante l’accordo, avendo l’altra accettato la possibilità che la concessione in uso potesse risolversi in dipendenza della messa in liquidazione della società concessionaria, dante causa della attrice e “sub-concessionaria”, ed in dipendenza di un evento determinato e volontario.

8.2. La censura a tale motivazione s’incentra, da un lato, nella rivalutazione della clausola (nei termini della condizione meramente potestativa) e, da un altro, nella richiesta del rilievo d’ufficio della sua nullità, perchè ancorata a parametri del tutto generici ed indeterminati.

8.3. La prima parte cella censura, tuttavia, richiede una nuova considerazione ed esame della pattuizione che ha già dato luogo ad una sua interpretazione, nei termini della condizione solo potestativa, con una indagine di merito non più sindacabile (non essendo stati neppure indicati i canoni interpretativi che si assumono come violati dal giudice di appello) e perciò non arbitraria, essendosi individuato un apprezzabile interesse della parte, munita del potere di provocarne la verificazione, a non farla avverare (ossia, l’interesse di essa alla prosecuzione del rapporto ed all’interesse della prosecuzione della vita della società concessionaria).

8.4. La seconda, intende provocare un’interpretazione dei commi primo ed ultimo dell’art. 10 del contratto di concessione (peraltro neppure riportato nella sua integralità, ma solo nei due commi oggetto delle considerazioni critiche) che non fa neppure risaltare l’ipotizzata nullità (se della prima o della seconda regola contrattuale, poi, non è neppure dato sapere).

8.4.1. Infatti, è ben possibile (e doveroso) che lo stesso giudice di legittimità rilevi la nullità di una clausola contrattuale che abbia formato oggetto di discussione tra le parti in causa (Sez. U, Sentenza n. 26242 del 2014) ma, in disparte la necessità (qui non assolta) della trascrizione integrale del testo (in modo da date al giudice che non ha accesso gli atti di esaminare l’intero tenore del negozio), e il richiamo alla centralità di essa nel dibattito giudiziale, la pattuizione che si assume nulla deve poi mostrare, con evidenza, la sua invalidità radicale.

8.4.2. Nel caso in esame, quella che forma oggetto del dettato dell’art. 10, comma 4 del contratto (più che quella di cui al comma 1, che non viene in esame diretto), secondo cui si verifica la risoluzione automatica del contratto (di licenza d’uso del marchio) “nel caso in cui il licenziatario perda la titolarità, per qualsiasi motivo, della concessione in uso del marchio Bigmat, anche per effetto della risoluzione del proprio contratto con il licenziante il marchio stesso Promafrance SA”, non è dato affatto ravvisare il caso della supposta genericità e, quindi, della sua pretesa invalidità.

8.4.3. Infatti, è disciplina pienamente rispondente ai principi giuridici quella – negoziata tra le parti – che stabilisca che il subcontratto (qual è quella parte di esso stipulato dal sub concessionario del marchio, con l’approvazione del licenziante ed il consenso del primo licenziatario) venga a risolversi automaticamente, in conseguenza di un tale insieme di eventi caratterizzato dalla perdita della titolarità della licenza, ossia di una clausola che preveda la caducazione della stessa concessione, di cui era titolare il dante causa del subcorcessionario, anche quando la perdita della concessione segua alla liquidazione ed all’estinzione della società avente causa dal titolare del segno distintivo.

Il secondo motivo di ricorso principale appare inammissibile.

9.1. La Corte territoriale, infatti, ha escluso l’esistenza – fra le parti – di un rapporto di franchising sulla base di una motivazione erronea avendo affermato che il marchio Bigmat sarebbe un marchio collettivo di cui era titolare una società cooperativa senza fini di lucro: non solo senza aver spiegato le ragioni poste a base di tale affermazioni ma, anche, utilizzando un argomento poco persuasivo, quale è quello di escludere che una società cooperativa non possa svolgere anche l’attività contrattuale di franchising. 9.2.Tuttavia, a tale errore non consegue alcun effetto pratico (oltre quello della necessaria sua correzione motivazionale, ex art. 384 c.p.c.) atteso che la ricorrente non ha censurato la motivazione contenuta nella sentenza impugnata, nella parte in cui essa ha escluso la possibilità che un franchisor possa avere le vesti della cooperativa.

9.3. Diventa, quindi, irrilevante nell’economia della decisione e della motivazione l’affermazione – questa si censurata con il ricorso – della impossibilità di applicare l’art. 9 della legge sulla subfornitura ai rapporti diversi dalla produzione e cioè anche all’attività commerciale (come sembrano aver, invece, concluso al riguardo, le Sez. U di questa Corte, con l’Ordinanza n. 24906 del 2011).

10. Il terzo mezzo è inammissibile, perchè del tutto carente, oltre che della indicazione della decisività dei fatti richiamati, anche della loro esposizione autosufficiente, mancando il mezzo del richiamo al “se, come, quando e dove” quelle questioni sono state poste nella fase di merito.

11. Il quarto, invece, è infondato in quanto la Corte territoriale ha escluso l’ammissione dei mezzi istruttori non già perchè ha ritenuto che la questione centrale (il “nocciolo”) della causa fosse la deliberazione assembleare ma perchè essa ha ravvisato il nodo della controversia nell’applicazione dell’art. 10, comma 4, del contratto di concessione (p. 15 della motivazione).

11.1. I patti ulteriori tra i soci, per aver operato la scelta della messa in liquidazione della società, dalla cui decisione è indubbiamente scaturito l’effetto risolutore del contratto di licenza del marchio, sono stati ritenuti, dai giudici di merito, ellittici e non rilevanti ai fini della domanda di risoluzione della concessione di licenza d’uso del marchio che, invece, sono stati riconnessi, direttamente ed ineludibilmente, a una deliberazione assembleare apparsa come stabilizzata (perchè nè impugnata e nè più impugnabile), onde i patti tra i soci, in sede di discussione della sorte della concessione del marchio, sono apparsi del tutto esterni ed estranei. Di qui la loro irrilevanza e la decisione di non ammissione, pertanto del tutto corretta.

12. Il quinto mezzo è inammissibile, perchè del tutto carente della esposizione autosufficiente dei fatti attinenti ai riferiti accordi posteriori al contratto di concessione del marchio, il cui tenore s’ignora nella sua compiutezza, anche in ragione della motivazione contenuta nella sentenza (a p. 14), laddove si mostra come, ai sensi della clausola di cui all’art. 13, comma 4, la risoluzione della concessione era stabilita come conseguenza automatica della deliberata messa in liquidazione della società subconcessionaria.

12.1. una violazione del principio di buona fede oggettiva, che s’ipotizza come causa della perdita del diritto d’uso, avrebbe dovuto indicare il contenuto di quelle pattuizioni, espressamente derogatorio anche del congegno automatico di risoluzione della clausola concessiva dell’uso del marchio.

12.2. Ma un tale onere non è stato assolto dalla ricorrente.

13. Il sesto mezzo è, ancora una volta, inammissibile.

13.1. La Corte territoriale ha escluso ogni possibilità di liquidare il danno in ragione dell’apposito patto contrattuale consegnato all’art. 10, comma 4, ove è stabilito che nessun danno poteva e doveva essere riconosciuto per effetto della risoluzione del contratto.

13.2.A tale decisiva argomentazione, la Corte, ha poi aggiunto – con una sorta di ulteriore motivazione – che, in ogni caso, la ricorrente non aveva fornito alcuna prova adeguata circa il preteso danno.

13.3. Orbene, la ricorrente si sofferma ad argomentare circa l’esistenza del danno senza pere censurare la ratio decidendi (decisiva), che è quella dell’esclusione, per accordo contrattuale se del caso da denunciare -, della possibilità di richiedere i danni subiti per effetto della risoluzione automatica della concessione d’uso del marchio.

14. Anche l’unica mezzo di ricorso incidentale condizionato, con cui si lamenta che il giudice distrettuale abbia ritenuto applicabile il termine di preavviso di sei mesi alla ipotesi di risoluzione ricorrente, nel caso di specie, e cioè di perdita della facoltà d’uso del marchio da parte del sub licenziatario, ai sensi dell’art. 10, n. 4 del contratto, appare inammissibile.

14.1. Infatti, la censura investe l’interpretazione del contratto, compiuta dal giudice di merito, senza che essa spieghi, ai sensi degli artt. 1362 c.c. e segg., quali siano criteri interpretativi violati nell’esegesi del testo negoziale, così risolvendosi, ancora una volta, nella richiesta di un riesame del merito della detta interpretazione.

15. In conclusione, i due ricorsi sono complessivamente infondati e vanno respinti.

16. Le spese, seguono la soccombenza e, tenuta conto della reciprocita di questa, ma anche della minor misura di quella delle ricorrenti incidentali, si devono compensare in un terzo di esse, ponendosi – i residui due – a carico della ricorrente principale, liquidati come da dispositivo.

PQM

Respinge i ricorsi e, compensate le spese processuali fra le parti nella misura di un terzo, pone i residui due terzi a carico del ricorrente principale che condanna al loro pagamento, in favore delle ricorrenti incidentali, in solido tra loro, nella misura complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali Correttane ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 11 sezione civile della Corte di cassazione, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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