Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13165 del 24/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 24/06/2016, (ud. 25/03/2016, dep. 24/06/2016), n.13165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6933-2011 proposto da:

FALLIMENTO DELLA P. & A. SEAFOOD IN LIQUIDAZIONE

(P.I.

(OMISSIS)), in persona del Curatore prof. dott. R.G.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CATANZARO 9, presso

l’avvocato ALBERTO MARIA PAPADIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ADRIANO DE LUNA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DELL’ADRIATICO, (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DI VILLA GRAZIOLI 15, presso l’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO FIORITO,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

13/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2016 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PAPADIA ALBERTO MARIA, con

delega avv. DE LUNA, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato FIORITO ANGELO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Ancona, con decreto del 13.12.2010, ha respinto il reclamo proposto dal Fallimento della P. & A. Seafood s.r.l. in liquidazione contro il provvedimento del Tribunale di Fermo che aveva dichiarato inammissibile la domanda di revoca di rimesse bancarie avanzata dalla procedura contro la Banca dell’Adriatico s.p.a.

nelle forme del rito camerale.

La corte territoriale ha affermato che, benchè la sentenza dichiarativa fosse stata emessa nel dicembre del 2006, e dunque nella vigenza dell’art. 24, comma 2 l. fall., che prevedeva che a tutte le controversie derivanti dal fallimento si applicassero gli artt. 737 –

742 c.p.c., la domanda, proposta nel gennaio del 2009, era soggetta al rito di cognizione ordinaria, dovendosi ritenere che il D.Lgs. n. 169 del 2007 (cd. decreto correttivo) avesse abrogato la predetta disposizione con effetto anche per le procedure concorsuali pendenti alla data della sua entrata in vigore.

Il decreto è stata impugnato dal Fallimento della P. & A. Seafood con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui la Banca Adriatica s.p.a. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il Fallimento sostiene la piena ammissibilità dell’azione revocatoria da esso proposta nelle forme del rito camerale, ai sensi dell’art. 24, comma 2 l. fall.

(introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006), vigente alla data di emanazione della sentenza dichiarativa, che assoggettava le controversie derivanti dal fallimento alle norme di cui agli artt. 737 – 742 c.p.c..

Secondo il ricorrente, pur dopo l’abrogazione del predetto comma ad opera del D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 3, comma 1, le azioni di cui all’art. 24 cid promosse da fallimenti dichiarati a partire dal 16.7.06 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006) ma anteriormente al 1.1.08 (data di entrata in vigore del c.d. decreto correttivo), sarebbero rimaste regolate dal rito camerale, atteso che l’art. 22 del correttivo, che ne detta la disciplina transitoria, stabilisce testualmente che le sue disposizioni si applicano “…

alle procedure concorsuali… aperte successivamente alla sua entrata in vigore, con la sola eccezione dell’art. 7, comma 6 (modifica del regime delle vendite), art. 18, comma 5 (modifica del concordato per le imprese in LCA) e art. 20 (abrogazione del D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 5, comma 2, lett. a)), applicabili anche alle procedure pendenti.

Sempre a dire del ricorrente, l’espressione “procedura concorsuale” sarebbe talmente ampia da ricomprendere nel suo ambito anche le azioni, quali quelle di cui all’art. 67 l. fall., che originano dalla procedura medesima e che si inseriscono nel suo alveo, formando con essa un unicum inscindibile; e l’assunto troverebbe indiretta conferma sia nella sentenza n. 2692/07 delle S.U. di questa Corte, che ha affermato che la legge da applicare all’azione che promana da una procedura concorsuale è quella in base alla quale la procedura si svolge, sia nell’ordinanza n. 170/09 della Corte Costituzionale che, nel respingere la q.l.c. dell’art. 241, comma 1 l. fall.

sollevata sotto il profilo della violazione dell’art. 76 Cost., ha osservato come le espressioni “…semplificare la disciplina (del fallimento) attraverso l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materie, contenute nella L. Delega n. 80 del 2005, avessero una valenza semantica talmente ampia da ricomprendere nel loro ambito il riferimento a tutti i processi che, come quelli di revocatoria, originano dalla procedura fallimentare.

Ad avviso del collegio la complessa censura sin qui sintetizzata non merita accoglimento.

Va ricordato che, in virtù del principio tempus regit actum, gli atti processuali sono regolati dalla legge sotto il cui imperlo sono posti in essere (Corte Cost., sent. n. 155/90). Vero è che il principio può trovare eccezioni, nel caso di disposizioni transitorie che prevedano che “i processi già in corso” continuano ad essere disciplinati dal rito vigente alla data di proposizione della domanda, ma nel caso di specie l’interpretazione della lettura della disposizione transitoria offerta dal ricorrente condurrebbe al paradossale risultato di veder regolato il processo secondo il rito previsto da una norma abrogata ancor prima che il processo abbia avuto inizio. Non può, d’altro canto, concordarsi col Fallimento laddove sostiene che l’espressione “procedure concorsuali” è nozione talmente ampia da ricomprendere anche le azioni di cui all’art. 24:

al contrario, secondo l’interpretazione letterale la norma transitoria non può che intendersi riferita alla disciplina propria di tali procedure e perciò, sul piano processuale, ai soli procedimenti interni che tipicamente si innestano nel corso delle stesse (quali ad es., quello per l’accertamento del passivo), ma non anche alle controversie che, pur originando dal fallimento, non sono regolate dalla legge speciale se non per quanto riguarda l’esclusiva competenza a conoscerle del tribunale che ha emesso la sentenza dichiarativa.

Va escluso, poi, che l’assunto del ricorrente trovi conforto nell’ordinanza n. 170/09 della Corte Costituzionale, che ha respinto la q.l.c. dell’art. 241, comma 1 sulla scorta dell’esegesi di una proposizione assai più specifica (“procedure applicabili alle controversie in materia di fallimento”) – comunque contenuta nella (diversa) L. Delega n. 80 del 2005 – o nella sentenza n. n. 2692/07 delle S.U. di questa Corte, emessa in sede di regolamento di giurisdizione, la quale si è limitata ad accertare qual è la lex loci sostanziale da applicare nel caso di domanda revocatoria proposta, dal Fallimento dichiarato in Italia, contro un soggetto straniero.

La definitiva conferma dell’infondatezza della tesi del ricorrente si ricava dalla relazione illustrativa al decreto correttivo, nella quale si afferma che la modifica di cui all’art. 3, comma 1, “..viene a sopprimere una grave disarmonia, non giustificabile con particolari esigenze della procedura…”, atteso che “…tali controversie sono cause aventi ad oggetto diritti soggettivi che, pur derivando dal fallimento…, si svolgono al di fuori della procedura concorsuale, nei confronti di terzi estranei al fallimento, che verrebbero privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piene, di cui di regola possono usufruire tutti i soggetti dell’ordinamento” e si sottolinea che la soppressione “è imposta dal rispetto dei principi di cui all’art. 3 e 24 Cost…: come è stato correttamente osservato dal giudice a quo, a fronte di un’espressa valutazione di incostituzionalità della disposizione di cui all’art. 24, comma 2 l.

fall., risulterebbe del tutto incongruo attribuire al legislatore della riforma del 2007 la volontà di mantenere ferma l’operatività della norma ritenuta incostituzionale con riguardo ai i soli fallimenti soggetti alla c.d. disciplina intermedia (ovvero a quelli dichiarati fra il 16.7.06 ed il 31.12.07).

Va aggiunto, con rilievo che appare dirimente, che è la stessa relazione a fornire un’interpretazione della nozione di “procedura concorsuale” non inclusiva delle azioni di cui all’art. 24 l. fall.

(laddove precisa che si tratta di controversie che, pur nascendo dal fallimento, si svolgono “al di fuori” di detta procedura).

Infine, poichè il principio tempus regit actum è immanente nel nostro ordinamento, non era necessario che la norma transitoria prevedesse espressamente – al pari di quanto stabilito per gli art. 7, comma 6, 18, comma 5 e art. 20 – l’applicabilità dell’art. 3, comma 1 alle procedure concorsuali già pendenti.

Il ricorso, che non investe la statuizione di inammissibilità della domanda perchè introdotta col rito camerale anzichè col rito ordinario, deve in conclusione essere respinto.

La novità della questione trattata giustifica, tuttavia, la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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