Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13162 del 24/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 24/06/2016, (ud. 26/02/2016, dep. 24/06/2016), n.13162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 309-2014 proposto da:

G.G., (C.F. (OMISSIS)); + ALTRI OMESSI

; elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 9, presso l’avvocato CARLO MARIO D’ACUNTI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA

MASTROCOLA, giusta procura a margine del ricorso, procura speciale

per Notaio dott. PAOLO TRENTO di PALMA DI MONTECHIARO – Rep. n.

31871 del 10.12.13, procura speciale della dott.ssa GAETANA

FARRUGGIO – Console d’Italia in BASILEA (SVIZZERA) – Rep. n. 667

del 12.12.2013, autenticata dal Cancelliere Amministrativo A.

G., procura speciale per Notaio dott.ssa MARIA DANIELA MORELLO

di PALERMO – Rep.n. 27157 del 13.12.2013, procura speciale per

Notaio dott. GAETANO GALEARDI di GRAVINA DI CATANIA – Rep.n. 10839

del 11.12.2013, giusta procura speciale autenticata da P.

V. Addetto Consolare presso l’AMBASCIATA D’ITALIA a BUCAREST

Rep. n. 309/2013 del 12.12.2013, giusta procura speciale

autenticata dall’Addetto Consolare AMBASCIATA D’ITALIA a SOFIA – Reg.

83/2013 del 13.12.2013, procura speciale per Notaio dott.ssa

ANTONINA FERRARO di CANICATTI’ – Rep.n. 73399 del 12.12.2013, e

procura speciale per Notaio Dott.ssa ROSSELLA SANNONER di FOGGIA –

Rep.n. 39628 del 10.12.2013;

– ricorrenti –

contro

BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA, per incorporazione della

BANCA POPOLARE DI LODI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA 6, presso l’avvocato MASSIMINO LO CONTE, rappresentato e

difeso dagli avvocati BEATRICE DONATI IN DUCCI, GIROLAMO BONGIORNO,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI LODI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1523/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 03/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/02/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

uditi, per i ricorrenti, gli Avvocati MARIO D’ACUNTI e ANTONELLA

MASTROCOLA che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato GIROLAMO BONGIORNO che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi

secondo e quinto, assorbimento del resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 3 novembre 2012 la Corte d’appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato le domande risarcitorie proposte da G.G. e dalle altre persone in epigrafe indicate (d’ora innanzi, i soci) nei confronti della Banca Popolare di Lodi s.p.a.

2. La Corte territoriale ha rilevato: a) che, con sentenza non definitiva, ormai assistita dall’autorità di giudicato, il Tribunale di Agrigento aveva ritenuto intangibile la delibera con la quale l’assemblea straordinaria del Banco di Credito siciliano s.p.a.

aveva deciso la fusione con la Banca Mercantile s.p.a.; b) che, con la successiva sentenza definitiva il medesimo Tribunale aveva condannato la Banca popolare di Lodi s.p.a., quale avente causa del Banco di Credito Siciliano s.p.a. e della Banca Mercantile s p.a., alla corresponsione della somma di Euro 77,47 per ogni azione posseduta dai soci del Banco di Credito Siciliano s.p.a., a titolo di ristoro del pregiudizio subito, in quanto risultati assegnatari di azioni della società incorporante in misura inferiore a quella che sarebbe conseguita ad un equo rapporto di cambio, c) che tale conclusione era stata fondata sul fatto che la disposta consulenza tecnica d’ufficio non si era potuta efficacemente espletare, in quanto la banca convenuta non aveva fornito al consulente i documenti richiesti da quest’ultimo, su indicazione dell’organo giudicante, con la conseguenza che da tale condotta omissiva, potevano desumersi elementi di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2; d) che, tuttavia, i soci i quali lamentavano il pregiudizio sofferto per l’incongruità del rapporto di cambio non avevano mosso alcuna specifica o dettagliata censura all’operato dell’esperto designato ai sensi dell’art. 2501 – quinquies c.c., con la conseguenza che la consulenza invocata aveva natura meramente esplorativa; e) che, ai sensi dell’ad. 2501-sexies c.c., i soci avrebbero dovuto acquisire e quindi produrre tutti i documenti utili, ai fini dell’espletamento di una consulenza volta ad accertare l’illegittimità della determinazione del rapporto di cambio; che, d’altra parte, la consulenza contabile d’ufficio può essere effettuata, ai sensi dell’art. 198 c.p.c., solamente sulla base dei documenti presenti in atti nonchè di quelli acquisiti previo consenso di tutte le parti;

g) che, pertanto, nessun argomento di prova poteva essere tratto dalla condotta della banca, che non era tenuta a produrrei documenti richiesti dal consulente tecnico d’ufficio; h) che, d’altra parte, gli appellati non avevano reiterato, in secondo grado, la richiesta di ordine di esibizione nè prodotto i documenti indicati dall’art. 2501-sezies c.c..

3. Avverso tale sentenza, i soci propongono ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso il Banco Popolare società cooperativa, in qualità di società incorporante della Banca Popolare di Lodi s.p.a. Nell’interesse dei soci è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

In particolare, i ricorrenti rilevano che, alla stregua della sentenza non definitiva del Tribunale di Agrigento, coperta dall’autorità del giudicato, da un lato, era stata individuata la portata della domanda giudiziaria, ossia la sostanza delle specifiche censure aventi ad oggetto il rapporto di cambio utilizzato per la fusione e, dall’altro, era evidente che esse riguardavano non le more operazioni formali di calcolo di tale rapporto, ma i dati contabili e remoti costituenti il presupposto di quelli confluiti negli elaborati finali. Proprio alla stregua di tale ricostruzione, il Tribunale aveva ritenuto superfluo accogliere la richiesta di esibizione dei libri sociali e di assunzione di prova testimoniale, demandando i necessari accertamenti alla disposta consulenza tecnica d’ufficio.

Le doglianze, nei termini in cui sono prospettate, sono inammissibili per più ragioni.

Per intanto, va rilevato che l’interpretazione di un giudicato esterno o interno può essere, invero, effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, tuttavia, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di Impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (v., ad es.

Cass., ord. 7 giugno 2014, n. 769). Nel caso concreto, per contro, i ricorrenti si limitano a trascrivere nel ricorso spezzoni della sentenza non definitiva del Tribunale il cui giudicato sarebbe violato dalla sentenza di appello.

In secondo luogo, anche a voler superare tale rilievo, si osserva che, per stabilire se un provvedimento abbia carattere di sentenza o di ordinanza, è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicchè hanno natura di sentenze – soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio (Cass. 19 dicembre 2014, n. 27127, che ha confermato la qualificazione come ordinanza del provvedimento di rimessione in istruttoria per l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio adottato in un giudizio di scioglimento della comunione, negando rilievo all’anticipazione di merito in esso contenuta circa l’infondatezza dell’eccezione di indivisibilità).

Va, in definitiva, escluso in radice che possa affermarsi la sussistenza di un giudicato sulle valutazioni istruttorie operate dal Tribunale ancorchè nella sentenza non definitiva, per giustificare le determinazioni espresse dalla contestuale ordinanza di rimessione della causa sul ruolo.

Proprio la radicale in configurabilità di un giudicato sulle valutazioni istruttorie avrebbe imposto ai ricorrenti la riproposizione delle richieste ritenute superflue dal Tribunale.

Deve, a tal riguardo, aggiungersi che nel giudizio di appello, la parte appellata vittoriosa in primo grado, non riproponendo ovviamente alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova (Cass. 27 ottobre 2009, n. 22687).

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., nonchè dell’art. 2697 c.c. e art. 210 c.p.c., sottolineando che il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva rendeva superfluo il reiterare le richieste istruttorie finalizzate ad accertamenti di fatto che il Tribunale aveva ritenuto di demandare al consulente tecnico d’ufficio. La censura è inammissibile per le medesime ragioni sviluppate nel punto 1 che precede, dal momento che le valutazioni istruttorie non sono suscettibili di passare in giudicato, con la conseguenza che i ricorrenti avevano l’onere di riproporre le richieste destinate ad offrire al consulente tecnico una congrua ricostruzione dei fatti rilevanti.

3. Con il terzo motivo si lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, rilevando che i documenti, la cui asserita mancata produzione da parte dei ricorrenti aveva giustificato il rigetto della domanda, erano, in realtà, stati prodotti.

La doglianza è inammissibile.

A tacer del fatto che, secondo la stessa prospettazione dei ricorrenti, tali documenti erano inutili ad accertare la congruità del rapporto di cambio, ossia il fondamento della pretesa fatta valere, con la conseguenza che appare palese il difetto di interesse a sollevare critiche sul punto, va ribadito che il potere della Corte di Cassazione, in tema di errores in procedendo, di riesaminare in fatto la questione sollevata si esplica nei limiti degli atti e documenti che, prodotti nel giudizio di merito, risultano acquisiti al processo. In particolare, il vizio di omesso esame di un documento decisivo non è deducibile in cassazione se il giudice di merito ha accertato che quel documento non è stato prodotto in giudizio, non essendo configurabile un difetto di attività del giudice circa l’efficacia determinante. ai fini della decisione della causa, di un documento non portato alla cognizione del giudice stesso. Se la parte assume, invece, come nella specie, che il giudice abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, può far valere tale preteso errore soltanto in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, sempre che ne ricorrano le condizioni (Cass. 1 giugno 2007, n. 12904).

4. Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 61 e seg., artt. 191 e 198 c.p.c., rilevando che la consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado aveva natura percipiente, in quanto finalizzata ad acquisire dati il cui accertamento richiedeva specifiche cognizione tecniche.

La censura è infondata.

La consulenza tecnica presenta, invero, carattere “percipiente”, quando il giudice affida al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti allegati dalle parti, con la conseguenza che la consulenza, in relazione a tale aspetto, si pone come fonte oggettiva di prova (v., ad es., Cass. 22 gennaio 2015, n. 1190). La consulenza tecnica contabile opera, invece, in un ambito diverso, dovendo essere espletata, non con riferimento alla valutazione o all’accertamento di fatti, bensì su documenti contabili e registri (art. 198 c.p.c.). Ne discende che le prove precostituite sulle quali la valutazione viene condotta devono essere ritualmente e tempestivamente prodotte in giudizio, non potendo demandarsene la ricerca al consulente. Ed invero, in tema di preclusione relative a produzioni documentali, nel corso di una consulenza contabile, si deve escludere l’ammissibilità della produzione tardiva di prove documentali concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento della domanda e delle eccezioni di merito, essendo, al riguardo irrilevante il consenso della controparte, atteso che, ai sensi dell’art. 198 c.p.c., tale consenso può essere espresso solo con riferimento all’esame di documenti accessori, ossia utili a consentire una risposta più esauriente ed approfondita al quesito posto dal giudice (Cass. 2 dicembre 2010, n. 24549).

5. Con il quinto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2, art. 324, art. 61 e segg., artt. 191 e 198 c.p.c. e art. 2909 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la controparte non fosse tenuta alla produzione dei documenti richiesti dal consulente tecnico d’ufficio.

Le doglianze sono inammissibili.

Per quanto concerne il rilievo attribuito alla sentenza non definitiva, è sufficiente il richiamo alle considerazioni svolte supra sub 1 e 2.

Quanto alla violazione dell’art. 116 c.p.c., si osserva che, non avendo la Corte d’appello desunto elementi di giudizio dalla mancata produzione da parte della banca dei documenti necessari per lo svolgimento delle operazioni peritali, la censura non poteva essere proposta come violazione di legge.

D’altra parte, la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per l’accertamento dei fatti rilevanti per la decisione e la loro valutazione è, invero, rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione e non anche sotto quello della violazione di legge (artt. 115 e 116 c.p.c.) (Cass. 20 settembre 2013, n. 21803).

6. In conclusione, il ricorso va rigettato le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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