Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13160 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13254/2016 proposto da:

Comune di Giulianova, Comune di Morro D’oro, Comune di Mosciano

Sant’Angelo, Comune di Roseto Degli Abruzzi, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, Via

Leonardo Greppi 77, presso lo studio dell’avvocato Bianchi Antonio,

rappresentati e difesi dall’avvocato Referza Pietro, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Deco Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Antonio Bertoloni 44/46,

presso lo studio dell’avvocato Santiapichi Xavier, rappresentata e

difesa dall’avvocato Fanì Dante, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente incidentale –

contro

Abruzzi Igiene Ambientale Spa, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Antonio

Bertoloni 44/46, presso lo studio dell’avvocato Santiapichi Xavier,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Di Carlo

Fabrizio, Di Rito Marco, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente incidentale –

contro

Fallimento (OMISSIS) Spa, in persona dei Curatori Fallimentari

B.G., S.E., A.C., elettivamente domiciliato

in Roma Via Eustachio Manfredi 17, presso lo studio dell’avvocato

Terribile Francesca, rappresentato e difeso dagli avvocati Acronzio

Fabrizio, Di Cesare Gabriella, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Comune di Giulianova, Comune di Morro D’oro, Comune di Mosciano

Sant’Angelo, Comune di Roseto Degli Abruzzi, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, Via

Leonardo Greppi 77, presso lo studio dell’avvocato Bianchi Antonio,

rappresentati e difesi dall’avvocato Referza Pietro, giusta procura

in calce al ricorso;

– controricorrenti –

e contro

Comune Di Bellante, Comune Di Notaresco, Consorzio Stabile Ambiente

Scarl, Procuratore Generale Corte Appello L’Aquila, Procuratore

Generale Corte Cassazione, Procuratore Tribunale Teramo;

– intimati –

avverso la sentenza n. 395/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 20/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/01/2020 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO

Fatto

RILEVATO

che:

Abruzzi Igiene Ambientale spa (da adesso AIA) proponeva istanza di fallimento nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. (società interamente partecipata da sei Comuni della provincia di Teramo, avente ad oggetto la gestione del servizio pubblico locale di trattamento e smaltimento dei rifiuti nonchè l’amministrazione delle reti e degli impianti conferiti allo scopo dagli enti locali) deducendo di essere creditrice di 2.250.000,00 Euro, in forza di un atto pubblico di transazione e cessione di azioni.

Nelle more del procedimento prefallimentare (OMISSIS) depositava un accordo di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex art. 182 bis, che veniva omologato dal tribunale.

Successivamente (OMISSIS) comunicava al giudice delegato di aver provveduto a soddisfare i creditori aderenti nella percentuale stabilita e di aver interamente soddisfatto i creditori estranei all’accordo ad accezione di AIA, la cui pretesa non era fondata.

Il Tribunale di Teramo respingeva inizialmente la domanda L. Fall., ex art. 6, ma, a seguito dell’accoglimento da parte della Corte d’Appello de L’Aquila del reclamo proposto dalla creditrice istante contro il decreto di rigetto, dichiarava il fallimento di (OMISSIS) con sentenza pubblicata il 10.9.2015.

La decisione era impugnata, con distinti atti di reclamo, dalla società fallita e dai Comuni, suoi soci, di (OMISSIS); nei giudizi, poi riuniti dalla corte d’appello, si costituivano, con separate comparse, il curatore del Fallimento di (OMISSIS) s.p.a. ed AIA, che chiedevano entrambi il rigetto delle impugnazioni, nonchè CSA Consorzio Stabile Ambiente soc. coop. a r.l. (concessionaria dell’attività di gestione di (OMISSIS), già intervenuta nel procedimento L. Fall., ex art. 15, in adesione alla posizione della concedente) che ne chiedeva invece l’accoglimento; interveniva inoltre tempestivamente DECO s.r.l., che aderiva alle difese della creditrice istante.

La Corte d’Appello de L’Aquila, con sentenza del 20/4/2016, ha respinto i reclami.

Per quanto in questa sede ancora interessa, la corte territoriale, in via preliminare di rito, ha dichiarato inammissibile la costituzione di CSA, in quanto avvenuta dopo la scadenza del termine di cui alla L. Fall., art. 18, comma 9; nel merito – escluso di poter esaminare i documenti (gli accordi di ristrutturazione del debito) allegati da (OMISSIS) alla comparsa conclusionale, ancorchè già prodotti nel corso della c.d. istruttoria prefallimentare, e ritenuta invece esaminabile la relazione ARTA allegata alla comparsa conclusionale del curatore, in quanto pervenutagli dopo la scadenza del termine per la costituzione in giudizio – ha affermato: che (OMISSIS) non poteva qualificarsi società “in house” per la gestione di servizi pubblici locali ed era pertanto assoggettabile a fallimento; che AIA era legittimata a proporre l’istanza; che ricorreva lo stato di insolvenza della debitrice, desumibile non soltanto dalla sua inoperatività, ma pure dall’ingente esposizione debitoria e dalle risultanze di bilancio, che attestavano la mancanza di adeguate risorse finanziarie e, conseguentemente, l’incapacità a far fronte alle proprie obbligazioni in modo regolare.

(OMISSIS) s.p.a. ed i Comuni suoi soci propongono ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattordici motivi. Resistono, con separati controricorsi, la curatela del Fallimento di (OMISSIS) s.p.a. e DECO s.r.l., che propone anche ricorso incidentale condizionato, mentre AIA e CSA non svolgono difese.

In prossimità dell’odierna adunanza, i ricorrenti e DECO s.r.l. hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1) Con il primo motivo di ricorso si censura la statuizione di inammissibilità, per tardività, della costituzione in appello di CSA s.c.ar.l.; i ricorrenti osservano che CSA, essendo già intervenuta nel procedimento L. Fall., ex art. 15, doveva ritenersi “parte” del giudizio, cui era pertanto consentito costituirsi sino all’udienza di rimessione della causa in decisione, e sostengono che l’erroneità del capo della pronuncia impugnato comporterebbe la nullità dell’intera sentenza, avendo la corte d’appello omesso di esaminare le difese del Consorzio, nelle quali era stato allegato il fatto decisivo e controverso dell’essere lo stesso tenuto, a semplice richiesta di (OMISSIS), al pagamento del credito vantato da AIA.

Il motivo deve essere respinto.

I ricorrenti, che non si dolgono dell’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della litisconsorte necessaria (cui hanno evidentemente notificato essi stessi gli atti di reclamo), sono infatti privi di legittimazione a dolersi della pronuncia di inammissibilità della costituzione di CSA, trattandosi di eccezione de iure tertii che avrebbe potuto essere sollevata solo dalla parte interessata.

Nè tale legittimazione potrebbe derivare dall’astratto interesse dei ricorrenti – non giuridicamente tutelato – a vedere esaminate le allegazioni difensive contenute nella memoria di costituzione di CSA (“…ogni qual volta (OMISSIS) ha richiesto l’erogazione di anticipazioni contrattuali e/o il pagamento di propri debiti, in forza della citata scrittura di accollo il CSA non si è mai sottratto dall’adempiere ed anzi, qualora il Concedente lo avesse domandato, avrebbe provveduto anche al pagamento del creditore procedente”), che non possono certo qualificarsi come “fatto storico” (Cass. 14802/17) e che, peraltro, sono state comunque valutate dalla corte territoriale, la quale ha condivisibilmente ricondotto il rapporto fra CSA e (OMISSIS) ad una fattispecie di “accollo”, privo, in mancanza di pattuizione contraria, di efficacia liberatoria.

L’accollo del debito, infine, non è decisivo nè in relazione alla legittimazione di AIA (che, in assenza di soddisfacimento della propria pretesa, ha continuato a rivestire la qualità di creditrice di (OMISSIS)) nè con riguardo all’accertamento dello stato di insolvenza della fallita, che, come meglio sarà evidenziato in seguito, il giudice d’appello ha fondato su molteplici risultanze istruttorie.

2)11 secondo motivo denuncia violazione del principio del contraddittorio, per avere il giudice pronunciato la sentenza senza previa fissazione dell’udienza di discussione orale e fondato la decisione su documenti allegati da AIA e dal curatore unitamente alla comparsa conclusionale (i già menzionati verbali di accertamento in materia ambientale redatti dall’ARTA); i ricorrenti deducono inoltre la violazione della L. Fall., art. 5, lamentando che la corte territoriale abbia ritenuto rilevanti i predetti documenti ancorchè relativi a fatti successivi alla dichiarazione di fallimento.

Le tre distinte censure in cui si articola il motivo devono essere respinte.

Quanto alla prima, si osserva che il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, disciplinato dalla L. Fall., art. 18 – nel testo, ratione temporis vigente, riformato dalla L. n. 169 del 2007 – si articola in una fase di costituzione delle parti che si conclude in un’unica udienza a trattazione orale, ove ciascuna parte, pur in una sequenza semplificata, è ammessa ad illustrare le proprie difese ed anche a replicare a quelle avverse, essendo consentito al giudice, d’ufficio, acquisire eventuali informazioni per completare il quadro istruttorio ed anche graduare la tempistica del procedimento considerata la intrinseca flessibilità del modello camerale (Cass. 20836 del 2010).

Stante il principio di concentrazione che caratterizza il procedimento, attesa la sua natura informale (Cass. 8769 del 2012), e considerati gli ampi poteri, di carattere discrezionale, attribuiti all’organo giudicante sia in ordine alla sua gestione sia in ordine all’adozione degli opportuni provvedimenti di carattere ordinatorio, deve allora escludersi l’automatica applicazione ad esso delle regole del codice di rito ordinario: nessuna violazione del contraddittorio discende pertanto dalla reiezione dell’istanza di fissazione di una nuova udienza di discussione.

Quanto alla seconda censura, va innanzitutto rilevato il difetto di interesse dei ricorrenti a dolersi dell’error in procedendo nel quale, in tesi, sarebbe incorsa la corte territoriale per aver esaminato documenti tardivamente prodotti dai resistenti, posto che il giudice ha desunto la sussistenza dello stato di insolvenza di (OMISSIS) da elementi già acquisiti nel corso dell’istruttoria pre-fallimentare e depositati dalle parti in sede di costituzione, ed ha dato conto solo ad abundantiam delle risultanze degli accertamenti compiuti dall’ARTA.

Non appare in ogni caso ravvisabile la tardività della produzione, atteso che il verbale ARTA, allegato alle comparse conclusionali della curatela e della creditrice istante, risulta formato il 19.1.2016, allorchè erano già scaduti i termini di costituzione delle parti nel giudizio di reclamo e si era già tenuta l’udienza di discussione (9.12.2015), e non avrebbe potuto essere depositato anteriormente.

Quanto alla terza censura (quand’anche non assorbita dal rigetto delle precedenti), è sufficiente rilevarne il difetto di specificità, non avendo i ricorrenti allegato al ricorso il predetto verbale, il cui contenuto non è richiamato neppure per sommi capi, nè indicato l’esatta sede processuale in cui risulta prodotto: resta pertanto precluso a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, di verificare se effettivamente (e contrariamente a quanto si desume dalla sentenza impugnata) esso riferisca di violazioni in materia ambientale poste in essere in data successiva alla dichiarazione di fallimento e perciò irrilevanti ai fini dell’accertamento dell’insolvenza.

3) Il terzo motivo denuncia violazione dei principi della c.d. parità delle armi e del contraddittorio, per avere la corte d’appello riservato un diverso trattamento ai documenti prodotti dalle parti reclamanti e dalle parti resistenti unitamente alle rispettive comparse conclusionali.

In particolare, i ricorrenti rilevano che, mentre la documentazione allegata dal curatore e da AIA era del tutto nuova, gli accordi di ristrutturazione dei debiti allegati da (OMISSIS) erano stati già prodotti nel corso del procedimento L. Fall., ex art. 15 e lamentano che il giudice del reclamo abbia rifiutato di esaminarli, escludendo erroneamente di poter acquisire d’ufficio il fascicolo dell’istruttoria prefallimentare.

Il motivo, laddove non assorbito dal rigetto del precedente, è inammissibile.

E’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato “error in procedendo”, con conseguente onere per l’impugnante di indicare il danno effettivamente arrecatogli dall’invocata nullità processuale (Cass. nn. 2626 del 2018, 15676 del 2014, 18635 del 2011).

Nella specie, pertanto, i ricorrenti non potevano limitarsi a dedurre la violazione da parte della corte del merito della regola, comune peraltro anche al giudizio di cognizione ordinaria, che le imponeva di tener conto della documentazione prodotta nel fascicolo d’ufficio del procedimento di primo grado, ma avrebbero dovuto chiarire perchè l’omesso esame da parte del giudice del reclamo degli accordi di ristrutturazione stipulati da (OMISSIS) con altri creditori avesse precluso alla società di dimostrare la propria solvibilità.

La generica formulazione del motivo non consente, invece, di apprezzare la rilevanza dei documenti in questione: pur prescindendo dal fatto che i ricorrenti non hanno indicato il nominativo dei creditori stipulanti, non hanno specificato quale fosse l’ammontare delle rispettive pretese e quali le previste modalità di loro soddisfacimento) e non hanno neppure riportato il contenuto della relazione del professionista sull’attuabilità dell’accordo e sulla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranee va al riguardo rilevato che – secondo l’accertamento in fatto, non impugnato, della corte d’appello – sono state presentate domande di ammissione allo stato passivo del Fallimento di (OMISSIS) per un ammontare complessivo di crediti di Euro 32.520.069,80 (di cui Euro 6.543.426,12 ammessi e per il resto, in buona parte, controversi in sede di opposizione L. Fall., ex art. 98) oltre ad ulteriori domande tardive per Euro 3.195.255,31.

In assenza della specifica indicazione delle deduzioni difensive poste negli atti di reclamo a sostegno dell’invocata decisività dell’accordo, nonchè di qualsivoglia chiarimento in ordine alle ragioni per le quali, nonostante la sua omologazione, (OMISSIS) risultasse ancora esposta per importi così rilevanti, le risultanze dello stato passivo appaiono dunque di per sè idonee a smentire l’assunto secondo cui alla data della dichiarazione di fallimento la società aveva pagato tutti i suoi debiti (ad eccezione di quello verso AIA, in quanto contestato) e valgono ad escludere che l’omessa acquisizione dei documenti di cui si discute abbia pregiudicato il diritto di difesa degli odierni ricorrenti.

4)Il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza per omesso esame delle istanze istruttorie (ammissione di ctu volta ad accertare la capacità finanziaria e la solvibilità di (OMISSIS) alla data del fallimento; ordine di esibizione al curatore dell’inventario e dei verbali di consegna della cassa e degli assegni, nonchè del libro verbali delle assemblee dei soci) formulate in sede di reclamo, con conseguente violazione del diritto alla prova.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in un sindacato sul potere di apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito: non può, in questa sede, darsi rilievo alla difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 6064/2008).

Nel caso di specie, la Corte ha messo in rilievo le ragioni in forza delle quali, confermando la valutazione del primo giudice, ha ritenuto sussistente lo stato di insolvenza della debitrice, evidenziando come, sulla base delle acquisizioni in atti, risultasse del tutto superflua una consulenza contabile.

Non risulta, peraltro, che l’insolvenza di (OMISSIS) sia stata desunta dalla consulenza contabile prodotta dalla creditrice AIA, cui è stata espressamente riconosciuta natura di atto difensivo di parte e mero valore indiziario.

Per contro, la corte del merito ha fondato il proprio accertamento su plurimi ed oggettivi dati di fatto, quali l’ingente esposizione debitoria della società, desumibile dalle risultanze dello stato passivo (che, come già rilevato, non sono state contestate dai ricorrenti), la sua inoperatività, la sua mancanza di liquidità, nonchè la perdita di 500.000 Euro emergente dal bilancio di esercizio al 31.12.2014, riclassificato ed epurato dalle rivalutazioni impropriamente confluite tra gli utili.

5) I motivi che vanno dal quinto all’undicesimo sono diretti a censurare il capo della decisione che ha ritenuto (OMISSIS) soggetta a fallimento in quanto non avente natura di società “in house”.

I motivi che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili per difetto di interesse dei ricorrenti al contrario accertamento, posto che sul punto la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme a diritto, deve essere corretta.

Si osserva infatti che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, una società di capitali che, come nel caso di specie (OMISSIS) s.p.a., sia in tutto o in parte partecipata da enti pubblici, è sempre assoggettabile a fallimento ai sensi della L. Fall., art. 1, comma 1.

La posizione dell’ente pubblico all’interno della società è infatti unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito di influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici; nè la natura privatistica della società è incisa dall’eventualità del cd. “controllo analogo”, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla stessa, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica che, tuttavia, non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra Pubblica Amministrazione ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante (Cass. 5346 del 2019).

Come questa Corte ha già avuto occasione di evidenziare, la L. Fall., art. 1, esclude dall’area della concorsualità unicamente gli enti pubblici, non anche le società pubbliche, per le quali trovano applicazione le norme del codice civile, nonchè quelle sul fallimento, concordato preventivo ed amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, onde non hanno fondamento le suggestioni dirette alla compenetrazione sostanzialistica tra tipi societari e qualificazioni pubblicistiche, al di fuori della riserva di legge di cui alla L. n. 70 del 1975, art. 4, che vieta la istituzione di enti pubblici se non in forza di un atto normativo (Cass. n. 3196 del 2017).

Anche di recente il legislatore ha confermato la volontà di ritenere applicabile alle società a partecipazione pubblica la disciplina codicistica e segnatamente l’art. 2221 c.c., che detta la regola generale della fallibilità di tutti gli imprenditori che esercitano attività commerciale.

Ed invero il D.L. n. 95 del 2012, art. 4, comma 13, convertito dalla L. n. 135 del 2012, ha stabilito che “le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali” e successivamente la medesima disposizione è stata ribadita dal D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 1, comma 3 (T.U. in materia di società a partecipazione pubblica), prevedendo espressamente all’art. 14, come novellato dal D.Lgs. n. 100 del 2017, che “le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonchè, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al D.Lgs. n. 270 del 199 e al D.L. n. 347 del 2003, conv. con modificazioni dalla L. n. 39 del 2004.

In tema di fallibilità, è dunque ormai del tutto irrilevante ogni indagine in ordine alla natura “in house” o meno della società che sia in mano pubblica, poichè la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali – e dunque di perseguire l’interesse pubblico mediante lo strumento privatistico – comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con essi entrano in rapporto anche avuto riguardo al necessario rispetto delle regole della concorrenza, che impongono parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e modalità (Cass. 22209 del 2013; 3196 del 2017).

6) Il dodicesimo motivo denuncia nell’ordine: violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la corte territoriale affermato che l’inattività di (OMISSIS) – posta a fondamento della sentenza dichiarativa – costituiva un fatto notorio rilevabile d’ufficio dal primo giudice; omesso esame del fatto decisivo costituito dalla contraria circostanza che la società aveva ripreso la propria attività a pieno regime; omessa pronuncia sull’eccezione di nullità della sentenza di primo grado in quanto, per l’appunto, fondata su un fatto non allegato dalle parti e frutto della scienza privata del giudice.

Le censure sono in parte infondate e in parte inammissibili.

Si osserva, anzitutto, che non è ravvisabile alcun vizio di omessa pronuncia, posto che – come del resto contraddittoriamente dedotto nello stesso motivo – la corte territoriale ha espressamente rigettato la sollevata eccezione di nullità della sentenza di primo grado.

Il giudice d’appello, inoltre, ha specificamente affermato che la sostanziale inattività di (OMISSIS) risultava dai documenti acquisiti nel corso dell’istruttoria prefallimentare, riconducendo solo ad abundantiam la rilevabilità di tale evento anche al notorio.

In ogni caso, la censura attiene ad una circostanza priva di decisività, atteso che il giudice del reclamo, come già il tribunale, ha accertato l’insolvenza di (OMISSIS) “indipendentemente dalla sua inattività”.

7) Il tredicesimo motivo denuncia l’omesso esame di fatti decisivi. I ricorrenti lamentano, in particolare, che la corte territoriale si sia arrestata all’esame delle risultanze dello stato passivo, senza considerare nè che alla data della dichiarazione di fallimento (OMISSIS) disponeva di risorse finanziarie immediate per oltre 3 milioni di Euro, destinate ad incrementarsi per effetto della ripresa dell’attività, “oggetto di specifica prova documentale, oltre che di conferma da parte di CSA”, nè che AIA avesse pignorato, per un ammontare pari al credito preteso, i crediti vantati da (OMISSIS) nei confronti di CSA, ottenendone l’assegnazione, fatto di per sè idoneo ad escludere l’insolvenza della debitrice.

Il motivo deve essere respinto.

La prima delle censure in cui esso si articola si risolve, per un verso, nella inammissibile pretesa di una lettura dei dati del bilancio di esercizio di (OMISSIS) al 31.12.2014 diversa da quella compiuta dal giudice d’appello, senza che sia neppure contestato l’accertamento secondo cui detto bilancio evidenziava una perdita di oltre 500.000,00 Euro; per altro verso la censura difetta totalmente di specificità, in quanto non precisa nè quali siano i documenti (non allegati al ricorso) atti a provare il fatto storico dell’esistenza di disponibilità finanziarie, nè in quale esatta sede processuale essi siano stati prodotti.

L’assegnazione ad AIA del credito vantato dalla debitrice nei confronti di CSA costituisce invece circostanza che è stata puntualmente esaminata dalla corte territoriale, la quale ha escluso la sua idoneità sia a determinare il difetto di legittimazione della creditrice istante (che, per effetto della sospensione dell’esecutività del decreto di assegnazione, disposta dal G.E. su ricorso della terza pignorata, non era stata pagata) sia a dimostrare la mancanza di insolvenza di (OMISSIS), comunque desumibile dal complessivo ammontare dei crediti ammessi al passivo e dalle ulteriori risultanze istruttorie di cui è dato conto in sentenza.

14) Il quattordicesimo motivo denuncia la violazione della L. Fall., art. 5, per avere la corte d’appello considerato anomali, ed indici ulteriori dello stato di insolvenza, i pagamenti eseguiti da CSA in favore dei creditori di (OMISSIS) per effetto della convenzione di accollo.

Il motivo è inammissibile in quanto volto a contestare un passo della motivazione che, ancorchè posto dal giudice del merito, ad abundantiam, a sostegno della pronuncia, non integra un’autonoma ratio decidendi suscettibile di impugnazione.

La reiezione del ricorso principale assorbe il ricorso incidentale condizionato di DECO.

Le spese del presente giudizio, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, in solido, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale proposto da DECO spa.

Condanna i ricorrenti principali, in via fra loro solidale, alla refusione delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore della curatela del fallimento di (OMISSIS) spa e di DECO spa, che liquida in favore di ciascuno dei controricorrenti in complessivi 15.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, in solido, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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