Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13159 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1295/2016 proposto da:

B.A., B.C., B.F., B.T. in proprio e

nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della

(OMISSIS) Srl”, elettivamente domiciliati in Roma, Viale Parioli 63,

presso lo studio dell’avvocato Foti Giovanni, rappresentati e difesi

dagli avvocati Polchi Rodolfo, giusta procura in atti, Starvaggi

Paolo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M.C., nella qualità di Curatore Fallimentare della

Società (OMISSIS) Srl, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Giosuè Borsi 4, presso lo studio dell’avvocato Scafarelli Federica,

rappresentata e difesa dall’avvocato D’Anna Guglielmo, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

Mi.Ca., elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte Santo

16, presso lo studio dell’avvocato Gerbino Fabio, rappresentato e

difeso dall’avvocato Fabio Massimiliano, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 630/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 03/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/01/2020 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Il Tribunale di Patti, adito su ricorso di Mi.Ca., con sentenza pubblicata il 13.7.2015, dichiarava il fallimento di (OMISSIS)srl.

2) Con reclamo proposto ai sensi della L. Fall., art. 18, B.T., in proprio e quale legale rappresentante di (OMISSIS) s.r.l., nonchè B.A. e F. e F.C., quali soci della fallita, deducevano la mancanza, in capo al Mi., della legittimazione attiva a presentare l’istanza di fallimento e la insussistenza dello stato di insolvenza della società, lamentando la mancata valutazione da parte del tribunale della effettiva situazione della medesima, quale desumibile, tra l’altro, dai bilanci e dalla documentazione acquisita in atti.

La curatela fallimentare resisteva.

Pure il Mi., costituitosi alla prima udienza di comparizione, si opponeva al reclamo e negava, in particolare, che fosse mai intervenuto un pagamento integrale del proprio credito idoneo a determinare la sua desistenza o rinuncia.

La Corte d’Appello di Messina, con la sentenza n. 630/2015, disattesa l’eccezione sulla tardiva costituzione del Mi., rigettava il reclamo, confermando la pronuncia dichiarativa del fallimento.

Avverso detta sentenza i soccombenti propongono ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi. Resistono, con separati controricorsi, Mi.Ca. e la curatela del fallimento della (OMISSIS).

In prossimità dell’odierna adunanza i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c., corredata da documenti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1) Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità della produzione documentale effettuata dai ricorrenti unitamente alla memoria ex art. 380 bis 1.c.p.c., dovendo ribadirsi che nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso, ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c. o art. 380 bis. 1.c.p.c. (in tal senso, Cass. 28991/2018).

2) Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 18, commi 7 e 8, lamentando la tardiva costituzione del Mi., quale creditore istante, nel giudizio di appello e censurando, conseguentemente, la sentenza impugnata che ha tenuto conto delle sue difese.

Il motivo è inammissibile.

Nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, quale disciplinato dalla L. Fall., art. 18 (nel testo novellato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), il termine per la costituzione della parte è perentorio, anche in mancanza di un’espressa dichiarazione normativa, senza che tuttavia il suo mancato rispetto implichi decadenza della parte che vi sia incorsa dal diritto di opporsi al predetto reclamo, potendo dunque essa intervenire nel relativo procedimento con le limitazioni che la tardività determina per la formulazione di determinate difese (Cass. n. 12986 del 2009).

Orbene nel caso di specie i ricorrenti si sono limitati a lamentare la tardiva costituzione del creditore istante ma non hanno dedotto che la sentenza sia fondata su nuove eccezioni o nuovi documenti prodotti per la prima volta dal creditore medesimo in sede di reclamo; da ciò l’inammissibilità del motivo per difetto di specificità.

3) Il secondo, articolato, motivo denuncia violazione di legge, in relazione alla statuizione che ha ritenuto sussistente la legittimazione del Mi.; si lamenta, in primo luogo, che la corte territoriale sia pervenuta a tale accertamento senza valutare le contestazioni svolte da (OMISSIS) in ordine alla sussistenza del credito azionato (le medesime che avevano formato oggetto dell’appello proposto contro la sentenza del tribunale del lavoro su cui si fondava l’istanza di fallimento), tenendo invece conto della sentenza della sez. lavoro della Corte d’appello di Messina, n. 235/15, di rigetto del gravame, depositata irritualmente dall’istante in via telematica, dopo che il tribunale fallimentare si era già riservato la decisione.

I ricorrenti, inoltre, lamentano che il giudice a quo non abbia rilevato che il credito si era estinto per mora credendi, in ragione dell’offerta formale di pagamento, effettuata dapprima dinanzi al Tribunale di Patti, nel corso di un procedimento per revocazione e cautelare, e successivamente in sede di reclamo mediante il deposito banco iudicis di assegni circolari per Euro 217.500,00 emessi dai soci reclamanti; ad avviso dei ricorrenti, la corte del merito avrebbe illegittimamente non consentito la materiale corresponsione della somma ed erroneamente affermato che il termine ultimo per ottenere la desistenza fosse quello della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento.

Il motivo non ha pregio.

Conviene premettere l’inammissibilità della censura riguardante la tardiva produzione, in primo grado, della sentenza del giudice del lavoro.

Ed invero, considerato che il giudice del reclamo non ha pronunciato sul punto, avrebbe dovuto essere dedotto il vizio di omessa pronuncia.

Quanto alla censura con cui si lamenta che la corte d’appello non abbia tenuto conto delle contestazioni in ordine alla sussistenza del credito, è sufficiente osservare che la L. Fall., art. 6, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass. Sez. U. n. 1521/2013; Cass. 30827 del 2018); nel caso di specie, peraltro, tale accertamento era stato già compiuto dal giudice del lavoro, sicchè la corte territoriale ha correttamente ritenuto che il creditore fosse legittimato a presentare l’istanza per il solo fatto di essere munito di un titolo esecutivo giudiziale, ancorchè non definitivo, a fronte del quale (OMISSIS) era obbligata al pagamento. Pure infondate le censure che riguardano l’offerta banco iudicis. L’offerta banco iudicis, siccome non effettuata secondo le modalità previste dall’art. 1209 c.c., comma 1 e art. 73 disp. att., non può mai dar luogo a mora credendi ed a maggior ragione a liberazione coattiva del debitore, che consegue, com’è noto, all’accettazione del deposito ovvero alla sentenza di convalida del deposito ex art. 1210 c.c..

Nel caso di specie, peraltro, nel procedimento L. Fall., ex art. 15, secondo quanto si ricava dalla lettura della sentenza, il difensore di (OMISSIS) si è limitato a dichiarare che la cliente era disponibile a versare la somma di Euro 100.000 a titolo transattivo dietro garanzia o deposito da parte del Mi. di una polizza fideiussoria e pertanto, correttamente, la Corte territoriale ha ritenuto l’offerta transattiva e condizionata irrilevante al fine di escludere la legittimazione del creditore, che aveva pieno diritto di rifiutarla.

Del pari infondata la censura con la quale si contesta che il giudice non abbia “consentito” il pagamento, posto che non esiste alcun dovere, nè un potere del giudice in tal senso.

Va infine dichiarata inammissibile, per difetto di interesse, la censura avverso la statuizione della corte territoriale secondo cui la desistenza non può intervenire dopo la sentenza di fallimento, posto che nel caso di specie non risulta essere stata depositata alcuna desistenza.

Il rigetto del secondo motivo assorbe l’esame del terzo e quarto motivo, laddove ripropongono le censure avverso la mancata considerazione dell’offerta banco iudicis e che vanno esaminati nella sola parte in cui deducono che l’offerta suddetta proverebbe l’insussistenza dello stato di insolvenza della debitrice.

E’ al riguardo sufficiente osservare che il fallito (spossessato del suo patrimonio) non può evidentemente più provvedere al pagamento ed il fatto che, dopo che la sentenza è stata pronunciata, il pagamento sia offerto con provvista (necessariamente) proveniente da terzi (nella specie i soci) è del tutto ininfluente ai fini della revoca del fallimento per difetto del presupposto oggettivo, potendo tutt’al più determinare (ove il pagamento venga effettivamente eseguito e non siano proposte altre istanze di ammissione al passivo) la chiusura della procedura L. Fall., ex art. 118, n. 1).

Gli ultimi quattro motivi denunciano la violazione della L. Fall., art. 5 e plurimi vizi di motivazione della sentenza impugnata in relazione all’accertamento dello stato di insolvenza.

4) I motivi, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili.

La corte territoriale è pervenuta all’accertamento dello stato di insolvenza di (OMISSIS) anzitutto evidenziando la rilevante situazione debitoria della società, quale desumibile dalle risultanze di bilancio al 31.12.2013, che a fronte di un attivo circolante pari a 752.000,00 Euro e di una disponibilità liquida di 58.991,00 Euro, esponevano debitra breve” per 1.840.246,00 Euro e ad un anno per 5.260.381,00 Euro; il giudice di appello ha inoltre messo in evidenza che tali debiti si riferivano significativamente, per una parte rilevante, a cartelle esattoriali (dal 2008 al 2010) ed ha dato rilievo agli infruttuosi tentativi di esecuzione individuale posti in essere dal creditore istante, giungendo pertanto alla conclusione dell’incapacità della debitrice a far fronte con regolarità alle proprie obbligazioni.

Ciò premesso, va rilevato che i motivi in esame, ancorchè rubricati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (quest’ultimo anche nella sua vecchia formulazione, laddove si deduce un vizio di carenza motivazionale che non può più formare oggetto di censura) tendono unicamente ad ottenere una nuova valutazione nel merito delle risultanze processuali, difforme da quella, non sindacabile nella presente sede di legittimità, operata dal giudice a quo.

Si imputa infatti alla corte territoriale: di avere travisato le risultanze dei bilanci; di non aver tenuto conto che la maggior parte dei debiti non erano scaduti ed erano stati contratti nei confronti di altra società del gruppo; di non aver considerato che l’erario aveva consentito la rateizzazione del debito tributario; di aver dichiarato il fallimento in presenza di un solo inadempimento, nonostante il credito rimasto inadempiuto fosse contestato; di aver ritenuto che l’intervenuta cessione da parte di (OMISSIS) alla Costruzioni B.T. s.p.a. dei propri crediti da canoni di locazione, anzichè integrare una forma di finanziamento volta ad ottenere la liquidità necessaria all’estinzione del debito contratto dalla fallita verso Fideuram, provasse il frequente ricorso della società ad operazioni di giro comportanti la privazione di liquidità certa, contabilmente negative e potenzialmente lesive della par condicio.

In conclusione, risulta evidente che i motivi non solo non deducono l’errata interpretazione, da parte della corte del merito, dell’astratta fattispecie normativa disciplinata dalla L. Fall., art. 5, ma neppure individuano il fatto storico controverso, di cui la corte avrebbe omesso l’esame, che, ove valutato, avrebbe condotto alla revoca della sentenza dichiarativa.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi 10.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge, in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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