Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13156 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. II, 30/06/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26328/2016 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE 104,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e

difeso dall’avvocato BENEDETTO BALLERO;

– ricorrente –

contro

FINANCO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE FAEDDA e domiciliato

presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

e contro

P.S.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 580/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 25/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 6.8.2008 F.G. evocava in giudizio Financo S.r.l. e P.S.R. innanzi il Tribunale di Cagliari per sentir dichiarare l’intervenuta usucapione, in proprio favore, della piena proprietà di un immobile sito in territorio del Comune di (OMISSIS) ovvero, in subordine, la declaratoria della simulazione del contratto di permuta sottoscritto dal convenuto P.S. con S.S. e F.G.. L’attrice esponeva che detti ultimi soggetti, già comproprietari di un intero stabile sito in (OMISSIS), avevano concluso con il P.S. un contratto di permuta orale con cui gli avevano ceduto la proprietà di uno degli immobili compresi nel predetto fabbricato, in cambio della proprietà del cespite in (OMISSIS) oggetto di causa. Esponeva poi che i medesimi S. e F. avevano ceduto il bene in (OMISSIS), con altro contratto orale, a C.V., madre del F.G., alla cui morte -avvenuta il 16.11.1998 – quest’ultimo era subentrato nel possesso del cespite; alla morte del F., avvenuta il (OMISSIS), la relazione di fatto si era trasferita alla figlia F.G., la quale era rimasta nel possesso del bene. Infine, esponeva che in data 20.5.1992 la Financo S.r.l. aveva acquistato il bene in (OMISSIS) da certa società Vigna Americana Centro Residenziale S.r.l. in violazione del diritto di proprietà ormai consolidatosi in capo ad essa attrice.

Si costituivano in giudizio i convenuti, resistendo alla domanda e sostenendo di aver acquistato sia l’appartamento in (OMISSIS) che l’immobile in (OMISSIS) da soggetti diversi dall’attrice e dai suoi remoti danti causa.

Con sentenza n. 1150/2010 il Tribunale rigettava la domanda principale, ritenendo che a F. non avesse dimostrato che suo padre, F.G., fosse erede della C., o che comunque l’immobile di cui è causa gli fosse stato trasferito dalla C. per via di legato, e che comunque non avesse dimostrato il possesso ultraventennale del bene in contestazione. Rigettava del pari la domanda subordinata in quanto il F.G. era stato parte dell’accordo trilaterale de quale l’attrice assumeva la natura simulata, e di conseguenza dovevano ritenersi applicabili in danno della F. i limiti alla prova della simulazione previsti dall’art. 1417 c.c..

Interponeva appello F.G., rappresentata mediante procura speciale da Se.Pi.. Si costituivano in seconde cure i due appellati Financo S.r.l. e P.S.R. resistendo al gravarne.

Con la sentenza impugnata, n. 580/16, la Corte di Appello di Cagliari rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della predetta decisione F.G. affidandosi a sei motivi.

Resistono con separati controricorsi, con il ministero del medesimo procuratore, Financo S.r.l. e P.S.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 189 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la decadenza della F. dall’ammissione dei mezzi di prova per non aver insistito nella relativa domanda all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza considerare che la stessa aveva espressamente contestato l’ordinanza di rigetto della prova, così insistendo implicitamente per la sua ammissione.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 2735 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di ammettere il documento prodotto all’udienza del 1.2.2013, nonostante fosse decisivo per il giudizio.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate. La Corte di Appello ha infatti ritenuto che la richiesta di ammissione della prova non fosse stata reiterata dalla F. nelle conclusioni rassegnate in prime cure, considerando che la mera contestazione dell’ordinanza con cui dette prove non erano state ammesse, seguita dalla conferma delle conclusioni rassegnate con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 (che non conteneva alcuna istanza istruttoria) non implicasse la reiterazione di quelle istanze non ammesse. In ogni caso, il giudice di seconde cure ha esaminato il contenuto dei capitoli di prova, ritenendoli inidonei ai fini della dimostrazione della fondatezza della domanda, posto che con essi si intendeva chiedere ai testimoni di confermare il possesso dell’immobile in capo alla F. a partire dal 1988, e quindi per una durata comunque non idonea ai fini dell’acquisto ad usucapionem.

Del pari infondata è la doglianza relativa alla mancata ammissione del documento prodotto dalla F. all’udienza del 1.2.2013, poichè la Corte isolana ha ritenuto che l’odierna ricorrente non avesse dimostrato di non averne avuto la disponibilità prima della scadenza dei termini per le deduzioni istruttorie in prima istanza. Ed anche in questo caso ha comunque esaminato il documento, ritenendolo comunque non idoneo a dimostrare l’acquisto per usucapione o l’acquisto in capo al F.G. per effetto della permuta orale dedotta dall’odierna ricorrente.

Tale motivazione non viene adeguatamente contrastata dalla F., la quale non chiarisce neppure quale fosse il contenuto delle istanze di prova non ammesse dal giudice di merito, nè specifica quale fosse il contenuto del documento ritenuto inammissibile e perchè esso sarebbe rilevante ai fini della decisione; nè, infine, dimostra che esso, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di merito, sarebbe stato rinvenuto solo in epoca successiva rispetto alla scadenza dei termini per le deduzioni istruttorie in prime cure.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte cagliaritana avrebbe ritenuto non provate circostanze di fatto che non erano mai state contestate dalla difesa delle parti appellate.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1141 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, perchè la Corte isolana avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con il quale la F. aveva lamentato l’illecita inversione dell’onere della prova operata dal giudice di prime cure, in quanto il soggetto nei cui confronti era stata svolta la domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione avrebbe dovuto fornire la prova della condizione di mera detenzione qualificata in capo all’attrice, pretesa possidente, del bene di cui è causa.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate. La Corte di Appello, condividendo il giudizio del Tribunale, ha ritenuto in primo luogo che la F. non avesse dimostrato che il proprio padre, F.G., era erede o legatario di C.V., non avendo depositato in atti di causa il testamento di detta remota dante causa. Subito dopo, ha aggiunto che l’appellante, odierna ricorrente, non aveva comunque fornito la prova certa del proprio possesso ultraventennale del bene immobile di cui è causa.

Tale motivazione non viene adeguatamente attinta dalle quattro censure in esame, con le quali la ricorrente si limita a censurare l’operato del giudice di merito, senza tuttavia dimostrare di aver depositato in atto il testamento della C., ovvero dimostrato in altro modo il passaggio della proprietà e del possesso del cespite immobiliare di cui è causa da quest’ultima al proprio genitore F.G.; nè, per altro verso, indica in quale momento processuale ed in qual modo sarebbe stata offerta la prova del proprio possesso ultraventennale del bene, necessario ad usucapionem.

Al riguardo, la ricorrente non può ricorrere al principio di non contestazione, posto che l’onere del convenuto (previsto dall’art. 416 c.p.c., per il rito del lavoro e dall’art. 167 c.p.c., per il rito ordinario) di prendere posizione sui fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda è soddisfatto, per quanto attiene agli elementi costitutivi della stessa, anche dalla semplice negazione della pretesa fatta valere, non essendo necessario l’uso di formule sacramentali nè richiesta la contestazione specifica di ogni singola deduzione, ma dovendosi piuttosto ritenere contestati tutti i fatti la cui verità viene, anche implicitamente, negata o comunque posta in dubbio per effetto delle difese proposte dal convenuto. Poichè nel caso di specie ambedue i convenuti si erano costituiti, in prime cure come in appello, per resistere alla pretesa della F., spettava a costei la dimostrazione degli elementi costitutivi della sua pretesa, e quindi innanzitutto del possesso ultraventennale utile ad usucapionem.

Peraltro il giudice di seconde cure espressamente afferma, a pag. 17 della sentenza impugnata, che “… in ogni caso, anche a voler ritenere pacifica la sua qualità, rileva comunque la mancanza di prova dell’avvenuto esercizio di un possesso utile ad usucapionem…”: il che significa che la Corte territoriale ha comunque ritenuto ininfluente l’eventuale configurazione di una mancata contestazione circa la qualità di erede della C. in capo al dante causa diretto della F., poichè quest’ultima non aveva comunque dimostrato il possesso ultraventennale del bene del quale pretendeva l’usucapione. La stessa aveva infatti fornito, con l’atto di impugnazione, “… solo alcune indicazioni specifiche sul possesso della C. ma non su quello di F.G. e della figlia” (cfr. pag. 18 della sentenza impugnata). I richiamati passaggi della motivazione non risultano neppure attinti dalle due censure in esame, che pertanto appaiono anche carenti della necessaria specificità.

Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140,1141,1158,1159,1164 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che la F., avendo dimostrato il possesso iniziale del bene in capo alla C., non aveva l’onere di provare anche il possesso intermedio.

La censura è infondata. La presunzione di possesso intermedio prevista dall’art. 1142 c.c., opera infatti nel caso in cui l’attuale possessore abbia fornito la prova di aver posseduto in remoto, essendo in tal caso onerato il convenuto della dimostrazione che tale possesso sia mancato, per un tempo più o meno lungo, nel periodo intermedio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3517 del 09/02/2017, Rv. 642865). Nel caso di specie, tuttavia, la Corte di Appello non ha affatto affermato che la F. avesse provato di aver posseduto in remoto, ma solo ritenuto che nell’atto di impugnazione vi fossero “… solo alcune indicazioni specifiche sul possesso della C. ma non su quello di F.G. e della figlia”(cfr. pag. 18 della sentenza impugnata). Nè potrebbe la F. giovarsi della presunzione di cui all’art. 1142 c.c., facendo valere il possesso remoto del proprio dante causa, poichè la Corte isolana ha ritenuto che la mancata produzione in atti del giudizio di merito del testamento della C. impedisse di ritenere provata la continuità dei trasferimenti necessaria per poter configurare la successione nel possesso della res. Sul punto, la Corte cagliaritana ha – peraltro – fatto corretta applicazione degli insegnamenti di questa Corte, posto che “… ove il difetto della continuità del possesso risulti ex actis dalla produzione della parte che quella continuità invochi, il giudice, anche se l’interruzione non sia stata dedotta dalla controparte e pur in contumacia della stessa, deve rigettare la domanda o l’eccezione, giacchè, in tal caso, non giudica ultrapetita in violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevando un fatto che avrebbe dovuto essere eccepito ad iniziativa della controparte, bensì si limita a constatare il difetto, risultante dagli atti del giudizio fornitogli dalla parte interessata, di una delle condizioni necessarie all’accoglimento della domanda o dell’eccezione” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17322 del 23/07/2010, Rv. 614232).

Infine, con il sesto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte sarda avrebbe ingiustamente duplicato la condanna alle spese, nonostante le due parti appellate fossero rappresentate dal medesimo procuratore.

La censura è infondata. Ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, “Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti”. Il successivo comma 4, prevede che “Nell’ipotesi in cui, ferma l’identità di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l’esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto è di regola ridotto del 30 per cento”. Ambedue le variazioni, in aumento e diminuzione, sono facoltative, onde il giudice può decidere di applicarle o meno in ragione dello specifico atteggiarsi della singola fattispecie processuale, laddove configuri il presupposto dell’identità della posizione processuale delle parti assistite dal medesimo difensore. Ove invece non ritenga di configurare quest’ultima condizione, il giudice può operare autonome liquidazioni delle spese del grado per ciascuna delle parti assistita dallo stesso avvocato, senza alcun onere di fornire specifica motivazione, dovendosi ritenere l’esclusione dell’identità della posizione processuale implicita nella liquidazione autonoma delle spese del grado.

Nella contestazione della scelta operata dal giudice di merito il ricorrente è tenuto a specificare la ragione per cui sussisteva l’identità di posizione processuale che, con la liquidazione autonoma delle spese del grado, è stata implicitamente esclusa dal giudice di merito. Il motivo in esame, però, non contiene alcuna indicazione al riguardo, nè contesta la mancata esplicitazione, da parte del giudice di merito, delle ragioni per cui questi ha ritenuto di liquidare le spese per ciascuna parte appellata, anzichè calcolare un compenso unico sul quale operare, eventualmente, le variazioni in aumento e diminuzione di cui del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, commi 2 e 4.

Peraltro dal fascicolo processuale, il cui esame è consentito al collegio ogni qualvolta viene in rilievo un vizio di natura processuale, risulta che non v’è identità tra le difese svolte in grado di appello dall’avv. Faedda nell’interesse di Financo S.r.l. e di P.S.R..

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. In considerazione della sostanziale identità del contenuto dei controricorsi, rispettivamente notificati da Finarco S.r.l. e da P.S.R., si ritiene opportuno procedere alla liquidazione unitaria delle spese relative al presente giudizio di legittimità, senza riconoscimento della maggiorazione di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei due controricorrenti, in solido tra loro, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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