Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13156 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/05/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 14/05/2021), n.13156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10438-2019 proposto da:

R.R., rappresentata e difesa dagli avvocati MICHELE PELLITTERI

e FILIPPO PELLITTERI e domiciliata presso la cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

C.M., C.V., C.F., CA.FR.,

C.A. e C.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE MAZZINI n. 55, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

SINESIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GAETANO CAPONNETTO;

– controricorrenti –

e contro

S.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 696/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso per denuncia di nuova opera del 28.9.1985 B.C. e R.R., possessori di un immobile sito in San Biagio Platani, evocavano in giudizio C.S. innanzi il Pretore di Casteltermini, deducendo che il resistente si era impossessato di un’area demaniale a confine tra il suo fabbricato e quello occupato dai ricorrenti e vi aveva intrapreso la costruzione di un manufatto da erigere in aderenza a quello dei ricorrenti.

Dopo l’emissione di ordinanza di sospensione dei lavori, si costituiva in giudizio il C., eccependo l’esistenza di precedente giudicato, che aveva escluso la configurabilità di un diritto di veduta a vantaggio del fondo occupato dai ricorrenti.

All’esito di sopralluogo e dopo l’espletamento della CTU sullo stato dei luoghi, il giudizio perveniva alla sezione stralcio del Tribunale di Agrigento, dinanzi la quale, dopo una lunga serie di rinvii, veniva assunta la prova testimoniale.

Infine, la domanda veniva accolta con sentenza n. 1042/2012 del predetto Tribunale di Agrigento, resa nei confronti degli eredi del C., medio tempore deceduto.

Interponevano appello questi ultimi e si costituivano in seconde cure B.C. e R.R., per resistere al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 696/2018, la Corte di Appello di Palermo accoglieva l’impugnazione, rigettando la domanda originariamente proposta dagli appellati.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione R.R., anche come unica erede di B.C., affidandosi ad un solo motivo.

Resistono con controricorso C.F., A., M., V., C. e Fr..

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 900,905,907 e 2729 c.c., dell’art. 12 preleggi e dell’art. 132 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi e la nullità della sentenza per motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’apertura esistente nell’immobile occupato dagli originari ricorrenti e prospiciente sull’area demaniale oggetto di causa non costituisse veduta. Ad avviso della ricorrente, infatti, le risultanze dell’ispezione e della CTU svolte in prime cure dimostrerebbero che l’apertura consentisse l’inspectio e la prospectio nel fondo vicino e che il parapetto del cd. “balcone alla romana” esistente in corrispondenza dell’apertura di cui é causa presentasse un’altezza idonea a rendere possibile l’esercizio della veduta senza tema di cadere nel vuoto, anche tenuto conto della natura non aggettante del detto balcone e, quindi, della possibilità di affacciarsi in sicurezza direttamente dall’interno dell’edificio.

La censura é infondata.

Si deve invero premettere che “Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, é necessario che le cd. “inspectio et prospectio in alienum”, vale a dire le possibilità di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3043 del 10/02/2020, Rv. 657095; negli stessi termini Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18910 del 05/11/2012, Rv. 624113, che ha escluso la sufficienza, ai fini dell’esercizio della veduta in condizioni di sicurezza, di un parapetto alto novanta centimetri, altezza corrispondente a quella non del “petto” ma del “basso ventre” di una persona di ordinaria statura; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7267 del 12/05/2003, Rv. 562925; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4453 del 24/04/1991, Rv. 471816; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4015 del 09/07/1984, Rv. 435985; ed infine Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10167 del 09/05/2011, Rv. 617935, secondo la quale la valutazione dell’idoneità del parapetto a consentire di guardare nell’altrui fondo si risolve in un accertamento di fatto da svolgere caso per caso).

Nel caso di specie la Corte di Appello ha considerato le risultanze istruttorie ed ha ritenuto che il parapetto esistente non fosse idoneo ad assicurare la prospectio in condizioni di sicurezza (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata). Sulla scorta di tale accertamento in fatto, il giudice di merito ha escluso la sussistenza della veduta e del correlato diritto ed é pervenuto al rigetto della domanda.

La ricorrente, nel censurare la decisione della Corte distrettuale, finisce per attingere direttamente il predetto giudizio di merito del quale, dunque, invoca una revisione, al fine di conseguire una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né é ammissibile una doglianza con la quale si proponga una lettura ed una ricostruzione alternativa delle risultanze della prova, rispetto a quella scelta dal giudice di merito, laddove risultino dalla decisione impugnata – come nel caso di specie – le ragioni del convincimento del giudice di merito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della sesta sezione civile, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

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