Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13153 del 24/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/06/2016, (ud. 27/03/2016, dep. 24/06/2016), n.13153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma V.le

Mazzini n. 134, presso lo studio dell’avv. Luigi Fiorillo, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.S.;

– intimato –

avverso la sentenza 5593/2009 della CORTE D’APPELLO di Napoli

depositata il 16/11/2009 R.G.N. 7765/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2016 dal Consigliere Dott. BRONZINI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale FIORILLO

LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 6.11.2009 la Corte di Appello di Napoli in riforma della sentenza di primo grado dichiarava l’inefficacia del termine posto al contratto stipulato tra le Poste e P.G. dal 10.5.2002 al 30.6.2002 per “per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di ristrutturazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti e servizi nonchè all’attuazione delle previsioni degli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13.2.2002 e 17.4.2002” e condannava le Poste al pagamento delle retribuzioni non percepite dalla notifica del ricorso introduttivo.

La Corte territoriale rilevava, in sintesi, l’illegittimità della clausola di apposizione del termine al contratto stipulato con l’appellata nel periodo predetto in quanto il detto contratto aveva richiamato una serie di Accordi di riorganizzazione aziendale ma senza specificare le ricadute di simili Accordi in ordine alle esigenze di assunzione a termine nell’Ufficio ove aveva lavorato l’appellante, articolando sul punto una prova del tutto generica. La retribuzioni spettavano dal momento della messa in mora delle Poste che non poteva essere individuata in atti precedenti la notifica del ricorso di primo grado.

Per la cassazione di tale pronunzia propone ricorso la società Poste Italiane con cinque motivi; controparte è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 1362 c.c. e art. 1325 c.c. e ss.

La sussistenza delle ragioni, tecniche, organizzative produttive o sostitutive di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 poteva essere ricostruita indirettamente in base all’indicazione nel contratto degli Accordi che disciplinano i processi di ristrutturazione aziendale delle Poste e il D.Lgs. n. 368 del 2001, non implica una prova qualificata in termini di nesso di causalità tra la causale e l’assunzione medesima, che in ogni caso era stata dimostrata.

Con il secondo motivo si allega l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Corte non aveva adeguatamente esaminato il contenuto degli Accordi prima ricordati.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., art. 1115 c.p.c., artt. 244 e 421 c.p.c..

Non spettava al datore di lavoro provare la sussistenza dei motivi obiettivi legittimante l’assunzione, ma al lavoratore comprovare la pretestuosità dell’assunzione.

Con il quarto motivo si allega l’omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La prova espletata avrebbe dimostrato che in base agli accordi richiamati in contratto sussistevano le esigenze richiamate nel contratto.

I quattro motivi che vanno esaminati congiuntamente essendo connessi appaiono infondati. Questa Corte ha infatti affermato che In tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificablità delle stesse nel corso del rapporto; tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso “per relationem” ad altri testi scritti accessibili alle parti. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale – in controversia promossa da taluni lavoratori assunti dalle Poste Italiane S.p.A. con contratto a termine non aveva adeguatamente valutato, al fine di verificare la sussistenza delle “specificate ragioni” dell’assunzione, la rilevanza degli accordi collettivi richiamati dallo stesso contratto individuale)” (Cass. n. 2279/2010).

La specificità richiesta dalla legge, come ha costantemente precisato la Corte di legittimità è funzionale all’eventuale accertamento in sede giudiziaria della veridicità delle ragioni addotte. La Corte di appello però ha escluso che tale veridicità sia stata provata dal datore di lavoro cui incombeva il relativo onere in quanto i capitoli di prova richiesti erano del tutto generici e non consentivano di collegare in modo chiaro ed univoco le esigenze di ristrutturazione di cui parlavano in via generale gli Accordi richiamati nel contratto alle specifica situazione organizzativa ove era stata impiegata la parte intimata.

Le censure sul punto sono di merito come tali inammissibili in questa sede posto che una valutazione sul contenuto a monte degli Accordi e sulla prova richiesta è stata già effettuata dalla Corte territoriale con motivazione congrua e logicamente coerente.

Con il quinto motivo si denunzia la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1233, 2094 e 2099 c.c., il ricorrente aveva diritto alle retribuzioni comunque solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio in quanto il diritto alla retribuzione postula l’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.

Inammissibile appare il motivo: dalla stessa giurisprudenza citata dalle Poste (cass. n. 15331/2004, cass. n. 13136/2000) ormai consolidata emerge che spetta il diritto aria retribuzioni dal momento in cui è stata offerta la prestazione, il che la Corte territoriale ha accertato essere avvenuto con la messa in mora del 18.9.2003. La lettera prima indicata non viene in alcun modo considerata al motivo che svolge considerazioni del tutto astratte e contesta il valore di messa in mora del documento senza produrlo nè riprodurlo e senza spiegare le ragioni per le quali non costituirebbe un’offerta della prestazione in chiara violazione del principio di autosufficienza del ricorso in cessazione.

Non può procedersi all’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Va, infatti, premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Casa. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie in quanto il motivo concernente la quantificazione del danno è inammissibile per quanto sopra detto, benchè, con sentenza della Corte Cost. n. 303 del 2011, siano state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, sollevate, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102 e 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

Si deve quindi rigettare il proposto ricorso; nulle sulle spese essendo la parte intimata rimasta tale.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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