Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13153 del 16/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/06/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 16/06/2011), n.13153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 96,

presso lo studio dell’avvocato SEVERINI FABIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALINAS FRANCESCO PAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ STUDI PALERMO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 682/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/07/2008 R.G.N. 2069/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

è presente l’Avvocato SEVERINI FABIO per delega Avv. PIETRO LUPO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Palermo, L.P., ex dipendente di ruolo A.T.A. (Amministrativi, Tecnici ed Ausiliari) dell’Università di Palermo, esponeva che gli erano stati conferiti, in forma scritta e ad opera del soggetto competente, dall’Università incarichi di alta professionalità, in forza dei quali aveva concluso un accordo transattivo, concretizzatosi nel processo di conciliazione n. 9 del 4 aprile 2000, ove gli veniva riconosciuta la nona qualifica funzionale con profilo professionale di vice dirigente, a far data dal 1 aprile 2002.

Che il medesimo processo verbale di conciliazione era stato reso esecutivo con decreto del Presidente della sezione lavoro del Tribunale di Palermo, in data 14 giugno 2000.

Che l’Università dava attuazione a siffatto decreto con riserva, chiedendo parere all’Avvocatura dello Stato in merito alla legittimità dello stesso.

A seguito del richiesto parere, l’Amministrazione aveva annullato gli effetti della transazione unilateralmente, con provvedimento n. 235 del 6 agosto 2001 del direttore amministrativo dell’Università.

Con provvedimento n. 242 del 7 agosto 2001 gli veniva altresì revocato l’incarico di preposto al servizio con le relazioni pubbliche e sindacali.

Ritenuta l’illegittimità della dequalificazione subita, l’odierno ricorrente recedeva dal contratto di lavoro per giusta causa in data 27 agosto 2001.

Chiedeva quindi dichiararsi l’illegittimità del provvedimento n. 235 del 6 agosto 2001 con il quale era stato annullato in autotutela il decreto n. 757 del 19 maggio 2000, con cui il ricorrente era stato inquadrato nella 9^ qualifica funzionale con il profilo professionale di vice dirigente, nonchè del decreto n. 242 del 7 agosto 2001 con il quale gli era stato revocato l’incarico di preposto del Servizio per le relazioni Pubbliche e sindacali. Chiedeva inoltre dichiararsi che il recesso dal rapporto di lavoro da parte del ricorrente, attuato con nota del 27 agosto 2001, era avvenuto per giusta causa, essendo dipeso dall’illecita dequalificazione subita in violazione di quanto convenuto tra le parti in sede di conciliazione, con condanna del l’Università di Palermo al pagamento delle differenze retributive, pari ad Euro 681.723,10, e dell’indennità di posizione pari ad Euro 25.822,84, nonchè della somma di Euro 258.228,44 a titolo di risarcimento dei danni subiti per l’illecita dequalificazione, il tutto oltre accessori di legge.

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 22 aprile 2005, respingeva le domande.

Proponeva appello il L., resisteva l’Università degli Studi.

La Corte d’appello di Palermo respingeva il gravame.

Propone ricorso per cassazione il L., affidato a cinque motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste l’Università degli Studi di Palermo con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1966 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che la particolare tutela assicurata al lavoratore dall’ordinamento, e segnatamente per quanto interessava la presente controversia, l’art. 2113 c.c., escludevano l’applicabilità della disposizione denunciata, dovendo piuttosto applicarsi il principio per cui era l’Università che avrebbe semmai dovuto impugnare la detta transazione nel termine di sei mesi.

Ad illustrazione del motivo formulava il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

Il motivo risulta inammissibile, non risultando proposta dal L. tale eccezione di decadenza nei precedenti gradi del giudizio, nè questi riproduce o allega, in contrasto col principio dell’autosufficienza, gli eventuali relativi atti.

2. -Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendone la natura non imperativa in quanto “non concepita per tutelare l’interesse generale”.

Ad illustrazione del motivo formulava il quesito di diritto ex art. 366 bic c.p.c. Il motivo è infondato.

Basterà al riguardo rammentare quanto da ultimo chiarito da questa Corte (Cass. 5 maggio 2010 n. 10829), e cioè che il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e poi confluito nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 ha elevato a principio fondamentale, ai sensi dell’art. 117 Cost., il divieto di avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore nel pubblico impiego contrattualizzato in conseguenza dello svolgimento di mansioni superiori.

3. -Con il terzo motivo il L. denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nonchè “violazione o falsa applicazione di norme dei c.c.n.l. di categoria, in relazione all’art. 24 del c.c.n.l. del comparto Università del 9 agosto 2000”.

Lamentava il ricorrente che il citato art. 52 escludeva il diritto alla qualifica superiore sino all’entrata in vigore dei contratti collettivi applicabili alla categoria. Che l’art. 24 del c.c.n.l. 9 agosto 2000 prevedeva la disapplicazione dell’art. 52, comma 6.

Il motivo risulta infondato in base alle stesse deduzioni del ricorrente, essendo il riconoscimento della superiore qualifica avvenuto con atto del 4 aprile 2000, e dunque precedentemente alla stipula del c.c.n.l. 9 agosto 2000. Osserva peraltro la Corte, che può esaminare il relativo testo indipendentemente dalla produzione ad opera della parte (Cass. sez. un. 4 novembre 2009 n. 23329), che l’art. 24 del c.c.n.l. del comparto Università del 9 agosto 2000, secondo cui “il conferimento temporaneo di mansioni superiori può avvenire solo nelle ipotesi previste dallo stesso art. 56, comma 2”, stabilisce, al comma 5, che “In caso di affidamento formale di mansioni superiori ovvero nel caso previsto dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 5 al lavoratore è corrisposta (solo) la differenza di trattamento economico con la categoria superiore”.

L’art. 24, comma 7 (“Alle mansioni superiori conferite antecedentemente alla data di sottoscrizione definitiva del presente CCNL con atto scritto e formale del soggetto competente secondo l’ordinamento proprio di ciascuna Amministrazione e in corso alla predetta data non si applica la disciplina di cui al comma 6”), si limita a stabilire l’irretroattività della disciplina sulle mansioni superiori di cui al comma 6 (“La disciplina sulle mansioni superiori, dettata dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 come integrata dal presente articolo, entra in vigore dalla data di sottoscrizione definitiva del presente CCNL”). La censura risulta dunque infondata.

4. -Con il quarto motivo il L. denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), ravvisato nella qualificazione dello svolgimento di mansioni superiori, da ritenersi nella specie non meramente di fatto ma conseguente uno specifico provvedimento del competente direttore amministrativo ed antecedentemente alla data di sottoscrizione del contratto collettivo, così come previsto dall’art. 24, comma 7, del c.c.n.l.

del 1998.

Anche tale motivo risulta infondato, oltre che per le considerazioni svolte al precedente punto 3, per la ragione che lo svolgimento di mansioni superiori, sia esso di fatto che derivante da un atto dell’amministrazione, non da in alcun caso il diritto al superiore inquadramento ma solo alle relative differenze retributive. Il principio è chiaramente enunciato al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1, ultimo periodo, da ultimo modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 secondo cui “l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione”, in uno col comma 4 – inerente il caso di adibizione formale a mansioni corrispondenti ad una superiore qualifica- che stabilisce unicamente il diritto del lavoratore al trattamento economico previsto per la qualifica superiore. Debbono al riguardo richiamarsi le considerazioni svolte sub) 2, ed al principio enunciato da ultimo da Cass. 5 maggio 2010 n. 10829.

5. -Con il quinto motivo il L. denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la corte territoriale minimamente esaminato la domanda inerente la sussistenza di una giusta causa di dimissioni alla luce del provvedimento n. 242 del 7 agosto 2001, col quale gli era stato revocato l’incarico di preposto del Servizio per le relazioni pubbliche e sindacali, ma unicamente in base alla ritenuta inderogabilità del citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

Evidenziava che, essendo illegittimo il provvedimento dirigenziale in questione, le sue dimissioni risultavano assistite da giusta causa.

Il motivo è inammissibile, venendo denunciata come omessa motivazione l’omessa pronuncia sulla domanda in questione, e dunque la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato concretante un error in procedendo da far valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per il quale manca il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. (Cass. 22 novembre 2006 n. 24856; Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755; Cass. 26 gennaio 2006 n. 1702).

6.- Il ricorsola pertanto respinto.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.540,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2011

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