Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13150 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. II, 30/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 30/06/2020), n.13150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 18203/2016 R.G. proposto da:

M.G., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Modena, alla strada Nazionale

Canaletto Centro, n. 390, presso lo studio dell’avvocato professor

Sido Bonfatti che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato

Federica Nicolini lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale su foglio separato in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE NAZIONALE per le SOCIETA’ e la BORSA (“Consob”) – c.f.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente in virtù di

procura speciale su foglio separato in calce al controricorso dagli

avvocati Salvatore Providenti, Paolo Palmisano e Rocco Vampa ed

elettivamente domiciliata in Roma, alla via G. B. Martini, n. 3,

presso la propria sede.

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Firenze n. 96 dei

22.1/16.2.2016; udita la relazione della causa svolta all’udienza

pubblica del 31 ottobre 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso come da memoria

all’uopo depositata, ovvero per la declaratoria di inammissibilità

del secondo, del terzo, del quarto e del sesto motivo e del primo

profilo di censura del quinto motivo nonchè per il rigetto del

secondo profilo di censura del quinto motivo, in subordine per il

rigetto del secondo, del terzo, del quarto, del quinto e del sesto

motivo, in ogni caso per l’accoglimento del primo e del settimo

motivo;

udito l’avvocato Federica Nicolini per il ricorrente;

udito l’avvocato Paolo Palmisano per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con lettera in data 28.6.2013, notificata l’8.7.2013, la “Divisione Mercati” di “Consob” contestava ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies (t.u.f.) a M.G., presidente del consiglio di amministrazione della “Banca Monte dei Paschi di Siena” s.p.a., l’accertamento, in relazione all’operazione cosiddetta “(OMISSIS)”, di fatti e circostanze culminati, attraverso la pubblicazione della relazione semestrale al 30.6.2008, nella diffusione, in data 29.8.2008, di dati falsi circa la dimensione del patrimonio di base, del patrimonio supplementare e del patrimonio di vigilanza della “Banca Monte dei Paschi di Siena” nonchè di dati falsi circa i relativi coefficienti patrimoniali.

2. Con Delib. 18 giugno 2014, n. 18951, notificata il 27.6.2014, la “Consob” irrogava a M.G., per l’illecito – “manipolazione del mercato” – di cui all’art. 187 ter t.u.f., la sanzione pecuniaria di Euro 250.000,00, oltre a sanzione interdittiva accessoria.

3. Con ricorso in data 11.8.2014 M.G. proponeva opposizione innanzi alla corte d’appello di Firenze.

Chiedeva l’annullamento dell’impugnata Delib. ovvero, in subordine, la riduzione al minimo edittale della sanzione applicata.

3.1. Resisteva la “Consob”.

3.2. Con decreto in data 9.2.2015 il presidente della corte d’appello

disponeva procedersi secondo il rito del lavoro e fissava l’udienza del 27.3.2015.

4. Con sentenza depositata in data 16.2.2016, all’esito dell’udienza del 22.1.2016, l’adita corte rigettava l’opposizione e condannava l’opponente a rimborsare a controparte le spese di lite nonchè a pagare il doppio contributo.

5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.G.; ne ha chiesto sulla scorta di sette motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

5.1. La “Consob” ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

6.1. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 187 septies, commi 4, 6, 6 bis e 6 ter, t.u.f., L. n. 689 del 1981, art. 23,D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, quale aggiunto dalla L. n. 228 del 2012.

Deduce che ha errato la corte d’appello allorchè, respinta l’opposizione, lo ha condannato al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Deduce segnatamente che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ha ad oggetto i soli giudizi di impugnazione e non riguarda i giudizi di opposizione; che il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa non costituisce un giudizio di impugnazione ma un giudizio ordinario.

8. Il primo motivo di ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.

Effettivamente, in tema di sanzioni amministrative, l’opposizione all’ordinanza – ingiunzione non configura un’impugnazione dell’atto ed introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa (cfr. Cass. 2.4.2015, n. 6778).

Conseguentemente non può trovare applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che si riferisce all’ipotesi in cui sia stata respinta o dichiarata inammissibile o improcedibile l’impugnazione anche incidentale.

9. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 187 septies t.u.f. e della L. n. 689 del 1981, art. 14.

Deduce che l’illecito ascrittogli gli è stato contestato con lettera notificata in data 8.7.2013, allorchè – contrariamente all’assunto della corte di merito – era decorso il termine, di cui all’art. 187 septies, comma 1, t.u.f., di centottanta giorni a far data dall’accertamento.

Deduce che già in data 21.11.2012 la “Consob” era in possesso degli elementi tutti per far luogo all’accertamento della condotta sanzionabile.

Deduce che d’altronde la stessa “Consob” ha riconosciuto che le conclusioni in ordine all’accertamento della condotta sanzionabile erano state raggiunte in virtù della nota di “Banca d’Italia” del 28.11.2012 ricevuta il giorno successivo e che su tale nota le conclusioni erano fondate, sicchè – contrariamente all’assunto della corte distrettuale – nessun rilievo può essere attribuito alla successiva nota di “Banca d’Italia” del 27.2.2013.

Deduce che per i medesimi fatti la “Banca d’Italia” ha formulato la sua contestazione con lettera datata 27.12.2012.

10. Il secondo motivo di ricorso va respinto.

11. Si premette che il secondo mezzo si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si condivide in parte qua la prospettazione della controricorrente: cfr. controricorso, pag. 11).

Occorre tener conto, da un lato, che con il motivo in disamina M.G. censura il giudizio “di fatto” in virtù del quale la corte territoriale ha opinato per la tempestiva – nel rispetto del termine di centottanta giorni – contestazione degli addebiti (“la Corte di Appello di Firenze ha errato nel ritenere tempestiva la contestazione perchè fondata su atti di indagine che hanno concretato un’artificiosa protrazione dei compiti degli ispettori”: così ricorso, pag. 20).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

In tal guisa i vizi motivazionali che il motivo in esame veicola, rilevano, oltre che nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

12. In quest’ottica si evidenzia quanto segue.

Da un canto è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testè menzionata – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – possa scorgersi nelle motivazioni cui, in parte qua, la corte di Firenze ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte fiorentina ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (“la Consob ha documentato come successivamente al ricevimento (in data 29.11.2012) della nota di Banca d’Italia (…) furono compiuti altri atti di indagine (…) volti all’acquisizione di ulteriori elementi informativi utili alla ricostruzione dei fatti in funzione dell’accertamento della consumazione dell’illecito contestato (…)”: così sentenza impugnata, pag. 11; che “solo con le note pervenute in data 10.4 e 28.6.2013 la Procura della Repubblica di Siena autorizzò la Consob all’utilizzazione di determinati atti (coperti da segreto istruttorio) per la contestazione (…)”: così sentenza impugnata, pagg. 11 – 12).

D’altro canto la corte di toscana ha senz’altro disaminato i fatti decisivi caratterizzanti, in parte qua agitur, la res litigiosa ovvero il profilo concernente la tempestività della contestazione.

13. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte d’appello risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

13.1. Con riferimento al profilo della correttezza giuridica, del resto, questa Corte spiega che, in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della “Consob”, non deve essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, nè con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, nè con quello in cui è stata depositata la relazione dell’indagine, nè con quello in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame, poichè la “constatazione” dei fatti non comporta di per sè il loro “accertamento”; cosicchè, mentre la redazione della relazione ed il suo esame debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la “constatazione” avrebbe potuto essere tradotta in “accertamento”, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa (cfr. Cass. 2.12.2011, n. 25836; Cass. 16.4.2018, n. 9254; Cass. 18.4.2007, n. 9311, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, nel caso di mancata contestazione immediata della violazione, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita, sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione; e che compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile, completa conoscenza, individuando il “dies a quo” di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione).

13.2. Con riferimento al profilo della congruenza e della esaustività della motivazione, del resto, questa Corte spiega che il novello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (cfr. Cass. (ord.) 18.10.2018, n. 26305; Cass. 14.6.2017, n. 14802).

In fondo il mezzo di impugnazione in esame si risolve nella sollecitazione a questa Corte a riesaminare le valutazioni ed i convincimenti, in parte qua, del giudice di merito (“gli atti di indagine richiamati dalla corte fiorentina hanno riguardato circostanze non rilevanti per la contestazione (…) perchè (…) riguardanti dati ed elementi successivi all’agosto 2008, data di approvazione della semestrale per cui è sanzione”: così ricorso, pag. 7; “l’autorizzazione della Procura della Repubblica all’utilizzo dei documenti, intervenuta in data 10 aprile e 28 giugno 2013, (…) non riveste all’evidenza alcun rilievo nel caso di specie, considerato: (…)”: così ricorso, pag. 16).

E nondimeno, in tal guisa, il mezzo de quo si traduce nella richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul “fatto”, senz’altro inammissibile – così come si riconosceva già nel vigore dell’abrogato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – in quanto estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

13.3. Si badi che la diversa natura degli ulteriori illeciti per i quali M.G. era stato in precedenza sanzionato dalla “Consob” – e di cui si dirà in sede di disamina del quinto motivo – per nulla giustifica l’assunto del ricorrente secondo cui “questo vuole dire: che (…) la Consob (…) per la contestazione riguardante (…) la situazione patrimoniale al 30.6.2008 non abbisognava certo di elementi di indagine ulteriori” (così memoria del ricorrente, pag. 3).

14. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 187 ter t.u.f., L. n. 689 del 1981, artt. 1 e 3 e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il travisamento delle prove.

Deduce che ha errato la corte distrettuale ad opinare per la sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito ascrittogli.

Deduce che la corte di merito non ha considerato che la sanzione irrogata non concerne l’acquisizione di “Antonveneta”, ma i contenuti della relazione semestrale al 30.6.2008 approvata il 28.8.2008.

Deduce che la corte territoriale non ha considerato che, in dipendenza della disciplina dettata da “Banca d’Italia” in data 20.3.2008, in veste di presidente del consiglio di amministrazione non avrebbe potuto svolgere ruoli esecutivi; che dalla documentazione allegata si evince che nessun ruolo attivo ha avuto “in relazione all’operazione di aumento di capitale e alla redazione della semestrale al 30.6.2008” (così ricorso, pag. 22).

Deduce segnatamente che non ha mai esercitato il mandato conferitogli dal consiglio di amministrazione con delega datata 10.4.2008, così come si evince dai contratti e dalle dichiarazioni relative all’operazione con “JP Morgan”, nessuna delle quali reca la sua approvazione o sottoscrizione.

Deduce segnatamente che, per giunta, dalla documentazione prodotta si evince che in veste di presidente del c.d.a. giammai è stato informato dell’operazione con “JP Morgan”; che d’altronde “Banca d’Italia”, a sua volta, giammai lo ha sanzionato “per essere stato esecutivo” (così ricorso, pag. 29).

Deduce che dunque nessuna colpa gli può essere ascritta per aver, in qualità di legale rappresentante, su mandato del c.d.a., firmato la relazione semestrale approvata da parte del consiglio di amministrazione (cfr. ricorso, pag. 42).

15. Il terzo motivo di ricorso del pari va respinto.

16. Si premette che il terzo mezzo analogamente si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si condivide la prospettazione della “Consob”: cfr. controricorso, pag. 29).

Similmente invero con il motivo in disamina M.G. censura il giudizio “di fatto” in virtù del quale la corte di Firenze ha reputato che fosse da ascrivergli l’illecito contestato (“l’opponente ha indicato in ricorso e comprovato (…) documentalmente la sua estraneità ai fatti (…)”: così ricorso, pag. 38).

In tal guisa i vizi motivazionali che il motivo in esame veicola, rilevano, parimenti, oltre che nei limiti dell’art. 360 c.p.c., c.p.c., comma 1, n. 5, nel solco dell’insegnamento n. 8053/2014 delle sezioni unite di questa Corte.

17. In siffatta prospettiva si evidenzia quanto segue.

Da un canto è da negare che qualsivoglia ipotesi di “anomalia motivazionale” infici le motivazioni cui, in parte qua, la corte fiorentina ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente”, la corte toscana ha, pur in parte qua, compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (“la diffusione delle informazioni fuorvianti (…) è avvenuta tramite la reazione semestrale del 30.6.2008 che è stata sottoscritta dall’opponente quale Presidente del Consiglio di Amministrazione della Banca (…) (sicchè l’opponente ha) concorso ad integrare il fatto tipico sanzionato dalla norma”: così sentenza impugnata, pag. 13; in ordine all’elemento soggettivo, al di là del riferimento della L. n. 689 del 1981, art. 3, la corte d’appello ha specificato che, in dipendenza dell’approvazione, tra l’altro, della relazione al 30.6.2008, era “da escludere che l’opponente non fosse a conoscenza dei dati indicati nella relazione in ordine al patrimonio di vigilanza, avendo egli stesso certificato la genuinità e corrispondenza di tali dati alla effettiva situazione patrimoniale della banca”: così sentenza impugnata, pag. 14; che dagli elementi acquisiti emergeva il ruolo centrale ricoperto dall’opponente nell’operazione di rafforzamento patrimoniale di “B.M.P.S.”: cfr. sentenza impugnata, pag. 14; che “sarebbe stato comunque (…) obbligo (dell’opponente) verificare che le informazioni risultanti dalla relazione semestrale fossero effettivamente conformi alla reale condizione patrimoniale della banca”; così sentenza impugnata, pagg. 15 – 16).

D’altro canto la corte di merito ha senz’altro disaminato i fatti decisivi caratterizzanti, in parte qua agitur, la res litigiosa ovvero il profilo concernente l’ascrivibilità materiale e psicologica dell’illecito contestato a M.G..

18. L’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte distrettuale risulta comunque, anche con riguardo ai profili in disamina, in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

19. Con precipuo riferimento al profilo della correttezza giuridica si tenga conto di quanto segue.

20. Per un verso, in ordine all’operato riscontro del contributo materiale, nel quadro dell’insegnamento n. 20935 del 30.9.2009 delle sezioni unite di questa Corte (secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’illecito di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter (manipolazione del mercato), non richiedendo particolari qualificazioni soggettive, può essere integrato da chiunque, e non soltanto da un soggetto qualificato, di talchè l’illecito va ascritto, in via concorsuale, a tutti coloro che, a vario titolo, abbiano concorso alla diffusione delle informazioni, voci o notizie false o fuorvianti, previste dalla norma, vuoi in ragione della qualità personale rivestita in seno alla società, vuoi per il determinante apporto causale concretamente arrecato al processo di ideazione, gestazione, formazione e trasfusione di contenuti da soggetti che siano stati coinvolti da coloro che ricoprivano cariche sociali), M.G., presidente del consiglio di amministrazione di “B.P.M.S.”, ha senz’altro contribuito “in via commissiva” (sicchè neppure vi è necessità di evocare il paradigma di cui dell’art. 2392 c.c., comma 2) a che l’organo collegiale (il c.d.a.) di cui era presidente, “adottasse” (cfr. ricorso, pagg. 38 e 42), concorrendo dunque all’approvazione, la “semestrale” al 30.6.2008, siccome non risulta – nè in verità vi è deduzione in tal senso – che il ricorrente, “coamministratore”, si sia adoperato nelle forme postulate dell’art. 2392 c.c., comma 3 (“la responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che (…)”).

20.1. Si badi che la surriferita “materialità” della responsabilità rileva ex se e non è per nulla condizionata dalla circostanza che il “coamministratore” M.G. abbia altresì atteso ai compiti che gli competevano, verosimilmente in dipendenza della sua veste di presidente del c.d.a., in qualità di legale rappresentante della s.p.a. “B.M.P.S.”.

Del tutto ingiustificate perciò sono le prospettazioni difensive del ricorrente secondo cui, “per specifica normativa sopravvenuta il 20.3.2008, l’Avv. M. non poteva svolgere ruoli esecutivi” (così ricorso, pag. 22) e secondo cui “ha semplicemente svolto in modo corretto e puntuale quelle che erano le sue prerogative di rappresentante legale di BMPS e della volontà oggetto di Delib. del CdA” (così ricorso, pag. 38).

21. Per altro verso, in ordine all’operato riscontro del contributo psicologico, nel quadro, mutatis mutandis, dell’insegnamento di questa Corte n. 9546 del 18.4.2018 (secondo cui, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia, del D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 144, nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, il legislatore limita l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, sicchè, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza; cfr. altresì Cass. 22.1.2018, n. 1529, ove si specifica che la “presunzione di colpa” non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU e art. 27 Cost., anche nel caso la sanzione abbia natura sostanzialmente penale in quanto afflittiva), la “riforma societaria” del 2003 di certo ha espunto dall’incipit dell’art. 2392 c.c., comma 2, l’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione.

E nondimeno la prima parte dell’u.c. dell’art. 2381 c.c., dispone che “gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato”.

Al contempo siffatto potere – dovere, benchè destinato a “compiersi” in sede collegiale (“ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”: art. 2381 c.c., u.c., seconda parte), si qualifica teleologicamente, ex art. 2381 c.c., comma 3, u.p., nella valutazione – “sulla base della relazione degli organi delegati” – del generale andamento della gestione.

21.1. Su tale scorta, al cospetto della surriferita connotazione teleologica ex art. 2381 c.c., comma 3, u.p., a nulla vale addurre che dell’operazione riguardante “JPM” era stato “informato come un qualsiasi altro consigliere di amministrazione nelle sedute del CdA” (così ricorso, pag. 36) e che “alla data del 28.8.2008 non vi erano elementi dai quali (…) potesse rilevare la non conformità dei dati contenuti nella relazione approvata dal CdA” (così ricorso, pag. 42).

Spiega difatti questa Corte (seppur in tema di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 144) che il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6 e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacchè anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del “business” bancario ed, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega (cfr. Cass. 26.2.2019, n. 5606; Cass. 5.2.2013, n. 2737).

Cosicchè, al cospetto di un passaggio così significativo della “vita” di “B.M.P.S.” (il rafforzamento patrimoniale attraverso l’aumento di capitale riservato a “JP Morgan” in vista dell’acquisizione di “Antonveneta”) si risolve per certi versi in una sorta di ammissione di responsabilità la prospettazione del ricorrente secondo cui “non veniva mai informato” (così ricorso, pag. 25).

22. Con precipuo riferimento al profilo della congruenza e della esaustività della motivazione si tenga conto di quanto segue.

23. In fondo il mezzo di impugnazione in esame si traduce nella sollecitazione a questa Corte a riesaminare gli esiti istruttori e segnatamente le prove documentali (“i verbali di assunzione di sommarie informazioni (…) attestano che (…)”: così ricorso, pag. 29; la “documentazione prodotta (…) dimostra che gli incontri tecnici avvenuti in Banca d’Italia tra la fine del 2007 e la fine del 2008 non hanno visto la partecipazione dell’Avv. M.”: così ricorso, pag. 32).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

24. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 2727,2729 e 2733 c.c. e artt. 112,115,116 e 244 c.p.c..

Deduce che la corte territoriale non si è pronunciata sulla prova per testimoni all’uopo articolata e sulla richiesta di c.t.u.; che in tal guisa gli ha precluso il concreto esercizio del diritto di difesa.

25. Il quarto motivo di ricorso parimenti va respinto.

26. Si premette che, a rigore, la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce eventualmente in un vizio della motivazione della sentenza, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. sez. lav. 22.7.2004, n. 13730; Cass. sez. lav. 4.3.2000, n. 2446).

Più esattamente il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass. (ord.) 7.3.2017, n. 5654; Cass. (ord.) 17.6.2019, n. 16214).

26.1. In questi termini ed alla luce delle ragioni che hanno indotto alla reiezione del terzo motivo, è da escludere non solo e senza dubbio alcuno la rilevanza degli articolati capitoli di prova testimoniale, quali riprodotti a pagina 46 del ricorso, ma è da negare altresì e senza dubbio alcuno l’attitudine degli articolati capitoli di prova a dar riscontro di circostanze tali da infirmare la “ratio decidendi” dell’impugnato dictum.

Si tenga conto, al contempo, che la motivazione di rigetto di un’istanza di mezzi istruttori non deve essere necessariamente data in maniera espressa, potendo la stessa ratio decidendi, che ha risolto il merito della lite, valere – è il caso di specie – da implicita esclusione della rilevanza dei mezzi dedotti ovvero da implicita ragione del loro assorbimento in altri elementi acquisiti al processo (cfr. Cass. 16.6.1990, n. 6078).

26.2. D’altra parte la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile – siccome nel caso di cui al presente ricorso per cassazione – dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal medesimo giudice del merito (cfr. Cass. 5.7.2007, n. 15219).

27. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 6, par. 1, Convenzione E.D.U..

Premette che le sanzioni inflittegli dalla “Consob” hanno senz’altro natura penale.

Indi deduce, in primo luogo, che ha errato la corte di Firenze a disconoscere la violazione delle garanzie del “giusto processo”, segnatamente della garanzia della necessaria distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, con riferimento al procedimento sanzionatorio svoltosi innanzi alla “Consob”.

Indi deduce, in secondo luogo, che ha errato la corte di Firenze a disconoscere la violazione del principio del ne bis in idem.

Deduce in particolare che per lo stesso fatto materiale – “computabilità a core capitai dell’aumento di capitale riservato a JP Morgan” – dapprima gli è stata inflitta dalla “Banca d’Italia” una sanzione pecuniaria, pari ad 541.440,00, di natura senza dubbio penale, e poi gli sono state inflitte dalla “Consob” le sanzioni di cui alla Delib. n. 18951 del 2014, per cui è la presente controversia; che è del tutto irrilevante la diversità degli interessi protetti dalle norme del t.u.b. e del t.u.f..

Deduce in particolare che “le stesse considerazioni e la conclusione della violazione del principio del ne bis in idem valgono anche in relazione alle altre sanzioni già in precedenza (a lui) comminate dalla Consob” (così ricorso, pag. 56) con Delib. n. 18924 del 2014 e con Delib. n. 18886 del 2014.

28. Il quinto motivo di ricorso va rigettato.

29. E’ sufficiente, in ordine al profilo di censura in primo luogo addotto, il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della C.E.D.U., può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacchè la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (cfr. Cass. 13.1.2017, n. 770; la fattispecie delibata in tale occasione da questa Corte concerneva sanzioni applicate dalla Consob all’esito del procedimento amministrativo previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies; cfr. altresì Cass. 15.2.2018, n. 3734).

Si badi che nella fattispecie il ricorrente ha avuto ampia possibilità – in sede amministrativa – di far valere le sue ragioni (“successivamente alle controdeduzioni svolte dall’interessato, con Delib. n. 18951 (…)”: così ricorso pag. 2).

Sicchè soccorre l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative, previsto del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, postula solo che, prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; pertanto, non è violato il principio del contraddittorio nel caso di omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della Consob o di sua mancata audizione innanzi alla Commissione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo al procedimento giurisdizionale (cfr. Cass. 4.9.2014, n. 18683; Cass. 22.4.2016, n. 8210; Cass. sez. un. 30.9.2009, n. 20935).

30. In ordine al profilo di censura in secondo luogo addotto, inevitabile è il riferimento all’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, in tema di vigilanza sull’attività di intermediazione finanziaria, il principio del “ne bis in idem” non opera qualora vengano in rilievo più condotte illecite ricomprese in diverse norme sanzionatorie – è il caso di specie – applicate dalla “Banca d’Italia” e dalla “Consob” secondo le rispettive competenze (cfr. Cass. 6.8.2019, n. 21017).

Su tale scorta vanno appieno recepiti i rilievi della corte fiorentina, secondo cui, al di là dell’identico presupposto che li accomuna, l’illecito – de quo agitur – sanzionato dalla “Consob” si correla “a fenomeni di manipolazione del mercato attraverso la diffusione di notizie false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari” (così sentenza impugnata, pag. 8); secondo cui, viceversa, gli illeciti sanzionati dalla “Banca d’Italia” “hanno ad oggetto inadempimenti di altra natura e perseguono finalità del tutto diverse, riconducibili (al diverso) settore di vigilanza di competenza della stessa” (così sentenza impugnata, pag. 8).

Del resto la “Consob” ha puntualmente dato ragione della diversa natura – “mancate comunicazioni all’organo di vigilanza ed errate segnalazioni di vigilanza”; “mancato rispetto del requisito patrimoniale minimo complessivo a livello consolidato”; “inosservanza delle forme tecniche dei bilanci” – degli illeciti sanzionati dalla “Banca d’Italia”. Ed ha, in linea appieno condivisibile, soggiunto che “una cosa è l’adempimento degli obblighi prudenziali da parte di una Banca richiesti in base al t.u.b., altra cosa è, per contro, la divulgazione di notizie idonee a fuorviare gli investitori in merito al prezzo degli strumenti finanziari” (così controricorso, pag. 55).

31. Analogamente è in toto da recepire l’ulteriore affermazione della corte toscana, attinta dal rilievo finale veicolato dal motivo di ricorso in esame, secondo cui similmente non si configura violazione del principio del “ne bis in idem” in relazione agli ulteriori illeciti sanzionati dalla “Consob”, siccome illeciti “nei quali il fatto tipico considerato dalla norma e l’interesse protetto non sono affatto coincidenti con quello che caratterizza l’illecito oggetto di causa” (così sentenza impugnata, pagg. 8 – 9).

Del pari la “Consob” ha in modo puntuale dato ragione della diversa natura degli illeciti sanzionati con la Delib. n. 18885 del 2014, con la Delib. n. 18886 del 2014 e con la Delib. n. 18924 del 2014, illeciti tutti attinenti “al mancato corretto adempimento degli obblighi informativi nei Prospetti d’offerta pubblicati dalla BMPS in diverse occasioni” (cfr. controricorso, pagg. 59 e ss.).

32. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2 Cost. e dell’art. 1175 c.c..

Deduce che ha errato la corte d’appello a rigettare, assumendone la genericità, la censura concernente l’indebito frazionamento, in ben cinque, delle contestazioni formulate a suo carico dalla “Consob”, tutte riguardanti gli stessi fatti.

Deduce che invero aveva addotto con l’atto di opposizione che “la sanzione opposta era stata preceduta da altre 4 sanzioni riguardanti i medesimi fatti” (così ricorso, pag. 60).

33. Il sesto motivo di ricorso parimenti va rigettato.

Va premesso che, a censura del rilievo di genericità formulato dalla corte di merito con riferimento all’eccezione pregiudiziale sollevata dall’opponente per asserito “indebito frazionamento delle contestazioni”, il ricorrente – già opponente – ha in questa sede inteso chiarire che l’eccezione avrebbe dovuto esser correlata “al punto del ricorso in opposizione riguardante la censura del ne bis in idem lamentata in relazione alla presenza di altre, precedenti sanzioni Consob comminate (…) per gli stessi fatti e frutto (…) dei medesimi accertamenti” (così ricorso, pag. 60).

Evidentemente, alla luce del surriferito chiarimento, non possono che esplicare valenza, ai fini della reiezione del motivo in disamina, le argomentazioni già svolte in sede di esame del quinto motivo, più esattamente le argomentazioni svolte al paragrafo n. 31, ove sono stati condivisi i rilievi della “Consob” di cui alle pagine 59 e ss. del controricorso.

34. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 11 e del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 3.

Deduce che ha errato la corte distrettuale a non far luogo alla diminuzione dell’ammontare della sanzione.

Deduce in particolare che la riduzione si giustifica alla stregua del rilievo per cui, al più, gli è ascrivile la colpa e non il dolo ed in ogni caso che la sanzione è del tutto sproporzionata a fronte del difetto di qualsivoglia apporto causale.

Deduce per altro verso che la riduzione si giustifica alla stregua del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 3, ove è sancito che “alle sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, non si applica la L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 39, comma 3”; che l’applicazione retroattiva dell’art. 6, comma 3, cit. si impone in ossequio al principio del favor rei.

35. Il settimo motivo di ricorso va accolto nei termini che seguono.

E’ sufficiente dar atto – e tale rilievo ha valenza assorbente rispetto ogni ulteriore ragione di censura veicolata dal motivo in disamina – che con sentenza n. 63/2019 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso art. 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 bis; ha dichiarato, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso art. 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter.

Il giudice di rinvio pertanto riesaminerà il thema del quantum della sanzione alla stregua della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità.

36. In accoglimento del primo e del settimòmotivo di ricorso la sentenza n. 96/2016 della corte d’appello di Firenze, nei limiti dell’accoglimento dei medesimi motivi, va cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

37. In dipendenza dell’accoglimento del ricorso non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

PQM

La Corte accoglie il primo ed il settimo motivo di ricorso; rigetta gli ulteriori motivi di ricorso; cassa – nei limiti dei motivi accolti – la sentenza della corte d’appello di Firenze n. 96 dei 22.1/16.2.2016; rinvia ad altra sezione della stessa corte d’appello anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità; non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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