Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1315 del 19/01/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 1315 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: VENEGONI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso 24799-2014 proposto da:
SIA SOCIETA’ ITALIANA AUTOSERVIZI in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA OVIDIO 32, presso lo studio
dell’avvocato MASSIMO MALENA, che lo rappresenta e
difende giusta delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 19/01/2018

- controricorrente nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BRESCIA
l;
– intimata –

avverso

la

sentenza

n.

1265/2014

della

di

BRESCIA,

depositata

1’11/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/10/2017 dal Consigliere Dott. ANDREA
VENEGONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato MALENA che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DAMIANI che
ha chiesto il rigetto.

huoi (MIthAte5A4
COMM.TRIB.REGjSEZ.DIST.

I
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

la società esponeva di avere presentato istanza di rimborso irap per euro 169.404 in
relazione all’anno 2008, adducendo di avere diritto all’applicazione dell’agevolazione di
cui all’art. 1, comma 266, legge 296 del 2006 che ha previsto la deduzione dalla base
imponibile irap del cuneo fiscale, con esclusione, però, dal beneficio delle imprese
operanti in concessione e a tariffa nei pubblici servizi , e di avere quindi impugnato il
silenzio rifiuto relativo all’istanza di rimborso davanti alla CTP di Brescia che accoglieva
il ricorso;
la CTR Lombardia, con la sentenza impugnata, accogliendo l’appello dell’ufficio ed in
riforma della CTP, riteneva, invece, che la società non avesse i requisiti per godere
dell’agevolazione, operando in regime di concessione e a tariffa;
contro tale sentenza ricorre la S.I.A. sulla base di sette motivi, ripercorrendo, in via
preliminare, l’antefatto del ricorso, ed in particolare le vicende giuridiche della
agevolazione suddetta, che, in quanto possibile aiuto di Stato, era stata oggetto di
attenzione da parte della Commissione Europea, che la aveva infine autorizzata, previ
chiarimenti da parte dello Stato italiano.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
La società ricorrente ha depositato memoria datata 18.10.2017.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 53 d. Ivo 546 del 1992 in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., affermando che la CTR ha errato nel non
accogliere la proposta eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia per omessa
specificazione dei motivi di gravame.
Il motivo è infondato.
In relazione alle caratteristiche dell’appello, questa Corte ha avuto modo di affermare
che il requisito di ammissibilità relativo alla specificità dei motivi del mezzo di
impugnazione non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una
determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone
al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum
appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della
sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando,
sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo
giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della
decisione censurata (Sez. VI – 2, n. 21336 del 2017).
Anche con riferimento specifico al processo tributario, questa Corte ha affermato che
“la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai
sensi dell’art. 53, comma primo, dei D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, determinano
l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora l’atto di appello …
benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione e questa non possa

Proc. n. 24799/2014 est dott. Andrea Venegoni

Con ricorso notificato il 28.10.2014 la S.I.A. – Società Italiana Autoservizi, con sede in
Brescia, esercente attività di trasporto pubblico locale di passeggeri, impugnava la
sentenza n. 1265/67/2014 della CTR Lombardia, depositata in data 11.3.2014;

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ritenersi “assolutamente” incerta, essendo interpretabile, anche alla luce delle
conclusioni formulate, in modo non equivoco” (Cass. 6473/2002) ed, inoltre, “non
essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i
motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca,
dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse
in fatto, le parte espositiva e le conclusioni” (Cass.1224/2007)”(Sez. VI – 5, n. 20379
del 2017).

Con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., consistente nel fatto che lo stesso Stato
italiano, nei chiarimenti alla Commissione Europea sulla natura della agevolazione in
questione, aveva precisato che la stessa si applicava solo alle concessioni traslative,
quale non è quella di specie;
Il motivo è inammissibile.
Premesso che la norma applicabile è l’art. 360 n. 5) c.p.c. nella “nuova” versione, anche
nel processo tributario (Sez. Un., n. 8053 del 2014), atteso che la stessa opera per i
ricorsi relativi a sentenze depositate dopo 1’11.9.2012, e, nella specie, la sentenza
impugnata è stata depositata nel marzo 2014, le stesse Sezioni Unite sopra citate hanno
affermato in tale sentenza, tra l’altro, che l’omissione deve riguardare un “fatto storico”,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo
Ora, premesso che il fatto denunciato come omesso dalla CTR appare, in ricorso, come
quello della interpretazione della norma che lo Stato italiano ha fornito alla Commissione
Europea nel corso dell’istruttoria aperta da quest’ultima per verificare la compatibilità
della misura con l’ordinamento dell’Unione (cioè per verificare se la stessa non si
configurasse come aiuto di Stato), mentre nella memoria del 18.10.2017 lo stesso è
indicato nella interpretazione da parte della Commissione stessa della misura per
escludere la sussistenza di un aiuto di Stato, si deve affermare che l'”interpretazione”
di una norma non è comunque un fatto storico ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Oltretutto, la CTR non ha ignorato che la agevolazione fosse applicabile alle imprese che
non operavano in concessione e a tariffa, ma ha semplicemente ritenuto che, sulla base
delle clausole del contratto specifico, non ricorressero nel caso concreto i requisiti per
la stessa.
L’interpretazione della norma, sia quella fornita dallo Stato italiano alla Commissione,
sia quella adottata da quest’ultima non si riferiva certo al caso concreto ma era,
ovviamente, di carattere generale e lasciava libero l’interprete di valutare la ricorrenza
dei requisiti della agevolazione nel caso singolo, come la CTR ha fatto.

Con il terzo e quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 11 d. Ivo 446 del 1997, al d. Ivo 422 del 1997
ed ai principi giuridici distintivi tra concessione e appalto di servizio, nonché omesso
esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
in relazione a clausole del contratto che avrebbero escluso la natura concessoria del
rapporto in questione

Proc. n. 24799/2014 est dott. Andrea Venegoni

L’interpretazione data dalla CTR non è, quindi, censurabile.

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I motivi sono infondati.

Tale valutazione, di mero fatto, avrebbe potuto essere contestata solo adducendo un
errore nei criteri interpretativi del contratto ai sensi degli artt 1362 e ss c.c., asserendo,
per esempio, che una data espressione di una clausola del contratto non doveva avere
il significato ad esso attribuito dalla CTR in violazione di tali canoni interpretativi, ma
non adducendo un errore sulla interpretazione del contenuto delle singole clausole o
nell’addotto omesso esame di alcune di esse.
Così facendo si richiede, in sostanza, a questa Corte di riesaminare in concreto il
contratto e di compiere anch’essa, quindi, una valutazione di mero fatto, inammissibile
in questa sede.
Con il quinto e sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme, indicato
come ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., ed in particolare dell’art. 11 d. Ivo 446
del 1997 e d. Ivo 42 del 1997 sui presupposti della tariffa remuneratoria e la differenza
tra corrispettivo e tariffa, ed omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
I motivi sono infondati per le stesse ragioni esposte in relazione ai motivi terzo e quarto.
Anche in questo caso la CTR ha ravvisato la natura tariffaria del rapporto sulla base
della specifica analisi delle clausole del contratto, senza dare valore determinante né
alle risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate né ai principi generali in base ai quali si
potrebbe distinguere tra le due figure. Resta però preclusa, in questa sede, l’analisi sulla
correttezza della interpretazione data dalla CTR alle specifiche clausole del contratto,
salvo addentrarsi in un inammissibile giudizio di fatto, così come l’analisi della
circostanza, dedotta dalla ricorrente, ma anch’essa di puro fatto, secondo cui nella
specie il servizio di trasporto pubblico locale era stato affidato alla stessa previa
partecipazione ad una selezione pubblica. Dalla sentenza della CTR emerge che tutti
questi elementi sono superati, nella valutazione complessiva, dalla considerazione della
prevalenza data all’analisi concreta delle singole clausole del contratto; pertanto, in
mancanza di una contestazione sui criteri ermeneutici del contratto adottati dalla CTR,
di cui all’art 1362 c.c., addurre una diversa interpretazione delle specifiche clausole
contrattuali si tramuta nella richiesta di revisione di un giudizio di mero fatto, come già
detto inammissibile in questa sede.
Con il settimo motivo di ricorso deduce motivazione illogica, contraddittoria ed
insufficiente della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Il motivo è infondato.
La contraddittorietà della motivazione deve, infatti, riguardare elementi intrinseci della
stessa, e non le affermazioni in essa contenute con le conseguenze da esse derivabili,
estranee alla sentenza.

Proc. n. 24799/2014 est dott. Andrea Venegoni

La sentenza della CTR, infatti, ha valutato, sulla base dell’analisi specifica del contratto
intercorso tra le parti, che nel caso di specie si fosse in presenza di una concessione,
che non dà diritto all’agevolazione in questione. Ogni altra analisi dei principi sulla
distinzione tra concessione ed appalto, che sia derivante da normativa, da documenti
dello Stato italiano o da giurisprudenza amministrativa, è, in realtà, nell’economia della
sentenza, non determinante, perché, al di là di ogni valutazione, nella sostanza la CTR
ha deciso in base a meri elementi di fatto, e cioè il contenuto concreto del contratto
specifico intervenuto tra le parti.

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In realtà, però, come già detto, la CTR ha preso a base della sua analisi norme specifiche
del contratto, rilevando, tra l’altro, che dal potere di revoca dell’affidamento del servizio
da parte dell’ente pubblico o dalle tipologie di controlli che quest’ultimo si è riservato
sulle modalità di effettuazione del servizio, si dovesse ritenere che il rapporto fosse di
natura concessoria: quanto al sistema di remunerazione del servizio la CTR, sempre
dalla analisi specifica del contratto, ha rilevato che lo stesso prevede un corrispettivo
soggetto a rideterminazione sulla base delle risorse regionali disponibili e una minuziosa
disciplina delle tariffe di contenuto antitetico a quello di libera determinazione dei prezzi,
concludendo nel senso che, tali specifiche clausole, indicassero la natura tariffaria della
remunerazione.
Come si ripete, si tratta di una valutazione di fatto, che di per sé non può essere tacciata
di contraddittorietà, illogicità o insufficienza. Ogni motivo di ricorso che tenda ad una
rivalutazione del contenuto delle clausole è pertanto non accoglibile in questa sede.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico della ricorrente e si
liquidano in euro 5.000.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater dpr 115 del 2002, sussistono i presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta i motivi primo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo perché infondati.
Dichiara inammissibile il secondo motivo.
Pone a carico del ricorrente le spese processuali di questa fase, liquidate in euro 5.000
e l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale, a norma del comma 1-bis e quater dell’art. 13 dpr 115 del 2002.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 ottobre 2017

Nella specie, infatti, la ricorrente lamenta che, a prender per buone le considerazioni
della CTR secondo cui la stessa opera in regime di concessione e a tariffa, per cui non
avrebbe diritto all’agevolazione, si dovrebbe trarre la conclusione per cui la stessa opera
in un mercato protetto; questo però contrasterebbe con il mancato accertamento della
remuneratività della tariffa.

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