Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13149 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. II, 30/06/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 30/06/2020), n.13149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24085/2015 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO,

2, presso lo studio dell’avvocato MARCO LORENZANI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI DELLA COLLETTA;

– ricorrente –

contro

TECNOEDILE SAS DI G.O. & C., incorporante di IMPRESA

EDILE PILLER PUICHER DI G.O. & C. SAS, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 13, presso lo studio

dell’avvocato MARIO ETTORE VERINO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANO BENZI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1835/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 4 agosto 2014 la Corte d’appello di Trieste ha accolto l’appello principale proposto dall’Impresa edile Piller Puicher di G.O. & C. s.a.s. e rigettato l’appello incidentale di P.P. nei confronti della decisione di primo grado che, parzialmente accogliendo la domanda di quest’ultima, aveva condannato la società a demolire la canna fumaria eretta in aderenza al fabbricato della P..

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) con riferimento all’appello principale, che erroneamente il giudice di primo grado aveva qualificato la torretta contenente la canna fumaria come costruzione, dal momento che la prima aveva una mera funzione ornamentale e non incideva, in termini ampliativi, sulla struttura o la funzione dell’edificio; b) che, peraltro, siffatta torretta, per la sua posizione e consistenza, neppure incideva, in maniera apprezzabile, sull’estensione e qualità della veduta, in quanto collocata sull’estremo laterale della linea di orizzonte; c) con riguardo all’appello incidentale, che a ragione il Tribunale aveva escluso che l’innalzamento delle spessore del tetto, per la posa di materiale coibente, costituisse una nuova costruzione, dal momento che, secondo quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio, il volume interno del fabbricato non aveva subito modifica alcuna; d) che, d’altra parte, l’innalzamento di trenta centimetri neppure aveva inciso in modo apprezzabile sulla possibilità di veduta; e) che l’apertura collocata sul tetto dell’immobile di proprietà della società era stata realizzata in velux, era non apribile e munita di vetro opacizzato, con la conseguenza che non era soggetta al disposto degli artt. 901 e 902 c.c..

3. Avverso tale sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi, al quale resiste con controricorso la Tecnoedile s.a.s di G.O. & C. – che ha incorporato l’Impresa edile Piller Puicher di G.O. & C. s.a.s. -, la quale ha proposto ricorso

incidentale affidato ad un unico motivo. Quest’ultima società ha depositato memoria. La P. ha depositato “memoria ex art. 378 c.p.c.”, in data 9 ottobre 2019, ossia fuori termine, alla luce dell’art. 380 bis.1, rispetto all’adunanza in camera di consiglio del 15 ottobre 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi del ricorso principale, prospettati congiuntamente dalla stessa parte impugnante, si lamentano, rispettivamente, violazione o falsa applicazione dell’art. 873 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rilevando che la sopraelevazione del tetto rispondeva alla nozione di costruzione e non poteva essere considerata un volume tecnico, in quanto, come sottolineato nella comparsa di costituzione con appello incidentale, il miglioramento della coibentazione termica poteva essere realizzato sacrificando parte del sottotetto che non era abitabile.

La doglianze sono infondate, dal momento che esattamente la sentenza impugnata ha valorizzato, al fine di escludere la qualificazione come costruzione dell’innalzamento di trenta centimetri dello spessore del tetto per la posa di materiale coibente, le ridotte dimensioni dell’intervento e l’accertata assenza di un incremento del volume interno del fabbricato.

Il criterio è in linea con le indicazioni della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 11 maggio 2016, n. 9646) ed è coerente con le linee direttrici che distinguono i volumi tecnici – peraltro non menzionati dalla Corte territoriale – dalle nuove costruzioni, avendo riguardo al fatto che in questi casi l’opera edilizia è priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi di una costruzione principale per esigenze tecnico funzionali dell’abitazione, che non possono essere ubicati nella stessa (Cass. 3 febbraio 2011, n. 2566).

Assertiva è poi la deduzione secondo la quale il sottotetto non sarebbe stato abitabile, dal momento che, a fronte del silenzio sul punto della sentenza impugnata, parte ricorrente non indica sulla base di quali dati processuali emergerebbe il dato.

2. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 907 c.c., rilevando, in aggiunta alle considerazioni sviluppate nei primi due motivi, che la sopraelevazione di trenta centimetri era superiore a quella massima consentita dall’art. 70 del regolamento edilizio del Comune di Belluno.

Secondo la ricorrente, la natura di costruzione della sopraelevazione comporta l’applicabilità dell’art. 907 c.c., che non consente alcun apprezzamento dell’incidenza della prima sulla fruibilità della veduta del vicino.

3. Con il quarto motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 907 c.c., sottolineando, con riguardo sia alla sopraelevazione del tetto che alla torretta contenente la canna fumaria, che la diversità di ratio ispiratrice della disciplina dettata rispettivamente dagli artt. 873 e 907 c.c., comporta l’autonomia della nozione di costruzione assunta come rilevante dalle due previsioni.

5. Con il quinto, sesto e settimo motivo, prospettati congiuntamente dalla stessa parte ricorrente, si lamentano, rispettivamente, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 900 c.c. e art. 907 c.c., comma 2, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e “vizio di motivazione quale vizio di violazione di legge”.

Rileva il ricorrente che la giurisprudenza, nel richiedere in taluni casi la valutazione che l’opera ostacoli in concreto il diritto di veduta, persegue una finalità ampliativa della protezione codicistica, in relazione ai manufatti che non posseggano le caratteristiche di fabbricati in senso proprio.

Si rileva: a) che la torretta contenente la canna fumaria, in quanto collocata, secondo la sentenza impugnata, sull’estremo laterale della linea d’orizzonte, si trova, rispetto alla veduta laterale proprio di fronte, rappresentando un ostacolo per la vista e per la luce; b) che la motivazione circa l’apprezzabile diminuzione della fruibilità della veduta è viziata sotto il profilo della irriducibile contrarietà con il dato storico, in relazione dell’art. 907 c.c., comma 2.

5. I motivi dal secondo al settimo possono essere trattati congiuntamente, per la loro stretta connessione logica.

Questa Corte, proprio con la decisione valorizzata da parte ricorrente (Cass. 27 marzo 2014, n. 7269), ha chiarito: a) che l’art. 907 c.c., che vieta di costruire a distanza inferiore di tre metri dalle vedute dirette aperte sulla costruzione del fondo finitimo, pone un divieto assoluto, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione è a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni valutazione in concreto se essa sia o meno idonea ad impedire o ad ostacolare l’esercizio della veduta; b) che la norma infatti enuclea in favore del titolare della veduta un diritto perfetto al rispetto della distanza legale da parte della costruzione del vicino, senza introdurre ulteriori condizioni; c) che non possono rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c., il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita; d) che non divergono da tale principio le pronunce di questa Corte che, in determinati casi, ai fini della tutela del diritto di veduta, richiedono una valutazione circa l’idoneità dell’opera del vicino ad ostacolarne l’esercizio, valorizzando, in tale prospettiva, la finalità della norma, che è indubbiamente quella di assicurare al titolare del diritto una quantità sufficiente di aria e di luce e di consentirgli la inspectio e la prospectio nel fondo altrui; e) che tale valutazione è ritenuta necessaria non in tutti i casi, ma soltanto laddove l’opera eseguita non integri un fabbricato in senso tecnico e proprio, ma un manufatto diverso (quale ad esempio una rete plastificata o una recinzione in telo), non costituente costruzione in senso tecnico, pur nell’accezione molto ampia accolta dalla giurisprudenza; f) che la valutazione che l’opera ostacoli in concreto il diritto del vicino è richiesta non già in funzione limitativa del relativo diritto di veduta, ma al fine di estenderne la tutela anche a quei manufatti non aventi la caratteristica di fabbricato in senso proprio.

Proprio tale possibilità di operare una valutazione concreta del pregiudizio al diritto di inspicere e prospicere può generare una diversa rilevanza di manufatti non qualificabili come costruzioni, ai fini degli artt. 873 e 907 c.c.. E ciò coerentemente con la diversità di natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo della disciplina sulla distanza delle costruzioni rispetto a quella in tema di veduta (Cass. 9 agosto 2016, n. 16808).

Ora, appunto, la Corte territoriale, nell’escludere la natura di costruzione della torretta e della minima sopraelevazione del tetto (a proposito della quale, nel terzo motivo si assume genericamente e assertivamente la contrarietà alle previsioni del regolamento edilizio del Comune di Belluno), ha affrontato, in termini ampliativi del diritto del ricorrente, il problema della idoneità delle stesse ad pregiudicare il diritto di veduta.

Deve, pertanto, escludersi la sussistenza dei vizi lamentati nella sentenza impugnata.

6. Con l’ottavo, il nono e il decimo motivo si lamentano, rispettivamente, violazione dell’art. 907 c.c., omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione, nonchè “vizio di motivazione quale vizio di violazione di legge”.

Si osserva che la valutazione condotta dalla Corte territoriale, quanto all’incidenza della sopraelevazione del tetto, si era concentrata sul fatto che la veduta continuasse, in verso il basso, ad investire un tetto, trascurando di considerare che la distanza prevista dall’art. 907 c.c., mira a salvaguardare anche l’interesse alla conservazione di aria, luce e riservatezza. In ogni caso, la sopraelevazione aveva innalzato la falda del tetto a pochi centimetri dalla finestra della ricorrente, giungendo ad impedire la chiusura dello scuro.

Le critiche sono inammissibili.

Posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 4 agosto 2014, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Nel caso di specie, parte ricorrente non individua fatti il cui esame sia stato omesso, ma critica inammissibilmente, per quanto sopra osservato, i risultati della attività valutativa della Corte territoriale.

7. Con l’undicesimo motivo si lamenta violazione degli art. 900,901 e 902 c.c., in relazione alla apertura in velux che, si osserva, non presenta caratteristiche analoghe a quelle del materiale impiegato per la costruzione del tetto e non assolve alla funzione di riparare l’edificio. La doglianza è infondata, dal momento che non possono considerarsi luci in senso tecnico, soggette alle limitazioni imposte dall’art. 901 c.c., le aperture praticate nel muro comune, quando ad esse siano applicati dei pannelli di vetrocemento che, pur consentendo l’ingresso della luce, presentino, tuttavia, caratteristiche analoghe alla struttura del muro stesso (Cass. 28 novembre 1984, n. 6192).

In tale contesto, la valutazione operata dalla Corte territoriale, quanto alle caratteristiche del materiale, ha carattere di merito e viene inammissibilmente censurata da parte ricorrente, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

8. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, si lamenta nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la sentenza impugnata, nell’accogliere l’appello principale della società e rigettare quello incidentale della P., giungendo in tal modo a respingere tutte le domande proposte da quest’ultima, omesso di pronunciare sulla richiesta di condanna dell’originaria attrice alla rifusione delle spese del primo grado del giudizio.

La doglianza è fondata, dal momento che, in tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di procedere anche d’ufficio (laddove nel caso di specie, l’appellante principale aveva anche formulato una specifica richiesta in tal senso) ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (v., ad es. Cass. 29 ottobre 2019, n. 27606).

Nel caso di specie, l’esito complessivo della lite, per effetto dell’accoglimento dell’appello principale proposto dall’odierna ricorrente incidentale, è completamente favorevole a quest’ultima.

Ne discende che la sentenza impugnata va cassata limitatamente a tale profilo, con decisione nel merito, nei termini di cui al dispositivo, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1.

9. La ricorrente principale va, inoltre, condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna P.P. al pagamento, in favore della Tecnoedile s.a.s di G.O. & C., delle spese del giudizio di primo grado che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 500,00 e alle spese di consulenza tecnica d’ufficio; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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