Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13149 del 27/05/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Ord. Sez. 6 Num. 13149 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: CURZIO PIETRO

ORDINANZA
sul ricorso 30289-2010 proposto da:
POSTE

ITALIANE SPA 97103880585

in persona del

Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta
e difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro

CASU IVANA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato MANCA
BITTI DANIELE, rappresentata e difesa dall’avvocato
LUCIANO GIOVANNI BATTISTA, giusta delega a margine del
controricorso;

Data pubblicazione: 27/05/2013

- controricorrente

avverso la sentenza n. 676/2009 della CORTE D’APPELLO
di CAGLIARI – Sezione Distaccata di SASSARI del
2.12.09, depositata il 28/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

PIETRO CURZIO.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del
Dott. IGNAZIO PATRONE.

consiglio del 04/04/2013 dal Consigliere Relatore Dott.

Poste italiane chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Sassari,
pubblicata il 28 dicembre 2009, che, respingendo il ricorso della società ha
confermato, sebbene con motivazione in parte diversa, la sentenza di primo grado di
accoglimento del ricorso di Ivana Casu, con la quale era stata dichiarata la nullità del
termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato tra le parti con decorrenza
17 febbraio 2000 per ‘esigenze eccezionali’, con i provvedimenti consequenziali.
Poste italiane propone un ricorso articolato in quattro motivi, concernenti i primi due
il mancato accoglimento dell’eccezione di mutuo consenso, il terzo ed il quarto la
legittimità della apposizione del termine in base a quanto previsto dalla contrattazione
collettiva.
Non vengono formulati motivi di ricorso in ordine alla materia del risarcimento del
danno. La società si limita a chiedere, nelle conclusioni dell’atto, l’applicazione
dell’art. 32 della legge 183 del 2010.
La lavoratrice si difende con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria.
I motivi, concernenti il mancato accoglimento dell’eccezione di mutuo consenso alla
estinzione del contratto, sono privi di fondamento. In effetti, come questa Corte ha
costantemente rilevato, il giudizio sulla sussistenza di un accordo per facta
concludentia, sulla estinzione del contratto, viene devoluto al giudice di merito, la cui
valutazione si sottrae a censure in sede di controllo di legittimità della decisione, se la
motivazione non presenta i vizi indicati dall’art. 360, n. 5 (tra le molte e tra le ultime,
cfr. Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279, cui si rinvia per ulteriori richiami).
Nel caso in esame la motivazione sussiste, è sufficientemente articolata ed è priva di
contraddizioni. Le critiche della società non integrano uno di questi vizi, i soli idonei
a comportare l’annullamento della decisioni ai sensi dell’art. 360, n. 5 cpc, ma
propongono una diversa valutazione nel merito, il che non è possibile in sede di
legittimità.
Deve anche sottolinearsi che se è vero che in un inciso la Corte afferma che non vi è
traccia di rinvenimento di altro lavoro (mentre dall’interrogatorio risulta il contrario),
tuttavia la motivazione risulta comunque logicamente coerente perché si assume che
tale rinvenimento ove sussistente non proverebbe la volontà di estinguere il rapporto
con Poste italiane spa.
Adunanza del 4 aprile 2013
Pietro Curzio, este

1

Ordinanza

Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di altre decisioni
ricordano che l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, nel demandare alla
contrattazione collettiva la possibilità di individuare -oltre le fattispecie
tassativamente previste dall’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 e successive
modifiche nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, convertito con
modificazioni dalla legge 15 marzo 1983 n. 79- nuove ipotesi di apposizione di un
termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in
bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è vincolata all’individuazione
di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge
(principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo
2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti collettive
hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato
accordo integrativo del 25 settembre 1997.
Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver ribadito la
legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in
particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate
le decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura meramente
ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante
degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere
a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono
discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di
quella secondo cui .. per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad
assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al
30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio
secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto
comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si
deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e,
quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i
quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il
contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass.
n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).
La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di
una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale,
nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui
possano avere qualche effetto, anziché in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed
infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti
Adunanza del 4 aprile 2013
Pietro Curzio, est 1)
3e
2

J

Quanto al problema posto con gli altri motivi, la posizione articolata da Poste italiane
non è conforme alla giurisprudenza costante di questa Corte in controversie del tipo
di quella in esame: contratto a termine, stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del
25 settembre 1997, dopo la data del 30 aprile 1998.

Quanto infine all’applicazione dell’art. 32 della legge 183 del 2010, a parte la
considerazione formale sulla non qualificabilità come motivo di ricorso per
cassazione di una mera richiesta di applicazione della legge sopravvenuta, deve
rilevarsi la mancanza di uno specifico motivo di appello nei confronti della
sentenza di primo grado che aveva specificamente statuito sul punto, il che
implica il passaggio in giudicato di questo capo della decisione del Tribunale.
Il ricorso deve quindi essere rigettato con le conseguenze di legge in ordine alle
spese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in 50,00 euro, nonché 3.000,00 euro per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sesta sezione civile del 4 aprile
2013

temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la
conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza
senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).
La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n.
18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti
come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio
2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e
cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le
parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti,
con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la
suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris
dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere
che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento
dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro
pubblico, secondo la disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare
retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto
della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA