Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13145 del 25/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 25/05/2017, (ud. 16/02/2017, dep.25/05/2017),  n. 13145

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20934/2014 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA

67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA MORLOTTI giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.G., NI.GI., N.C.,

F.A.M., elettivamente domiciliati in ROMA, V. CALDERINI 68, presso

lo studio dell’avvocato GAIA MAZZONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato SERGIO MAZZONE giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 536/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/02/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

– con la sentenza qui impugnata la Corte d’Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da B.F. avverso la sentenza del Tribunale di Pavia pubblicata in data 6 agosto 2009. Questa aveva rigettato l’opposizione del B. contro il decreto ingiuntivo fattogli notificare da N.M. per il pagamento della somma di Euro 44.156,00, in forza di assegno bancario emesso senza data;

– la Corte d’appello ha confermato la decisione del primo giudice, secondo cui non è configurabile la nullità del patto di garanzia sottostante all’emissione dell’assegno, poichè il B. non prestò alcuna garanzia in favore di terzi, ma si obbligò “direttamente e personalmente” nei confronti del N.; ha quindi considerato l’assegno come rilasciato dall’opponente a garanzia del proprio debito di pagamento del prezzo (relativo all’acquisto di due aziende commerciali – l’una, per attività di bar, nella titolarità dello stesso N.; l’altra, per commercio al minuto, di pertinenza della moglie di quest’ultimo, F.A.M., intestataria dell’annessa licenza di commercio di generi di monopolio) nascente da due contratti preliminari di compravendita stipulati dal B. per sè o per persona da nominare (poi indicata, per uno dei contratti definitivi, nella società All Pub di B.F. e C. s.a.s.); ha ritenuto il titolo di credito valido come promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c.; ha infine reputato che il prezzo indicato nei contratti definitivi fosse simulato e che il corrispettivo complessivo fosse, invece, quello maggiore indicato nei contratti preliminari; ha accertato che questo non era stato ancora integralmente pagato al momento dell’ingiunzione;

– la Corte territoriale, rigettato il gravame, ha condannato l’appellante alle spese del grado;

– il ricorso è proposto da B.F. con quattro motivi;

– F.A.M., N.G., Ni.Gi. e N.C., quali eredi di N.M., si difendono con controricorso;

– fissata la trattazione del ricorso in Camera di consiglio ai sensi dall’art. 375 c.p.c., comma 2, il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

– col primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1937 c.c. e del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 1 e 2, perchè, secondo il ricorrente, egli, con i contratti preliminari, avrebbe assunto soltanto l’obbligazione di stipulare i contratti definitivi, non anche quella di pagare il prezzo convenuto per le cessioni di azienda. Con la conseguenza che questa obbligazione sarebbe sorta soltanto al momento della stipulazione dei contratti definitivi, facenti capo a soggetti diversi, in quanto acquirente dell’azienda esercente l’attività di bar era stata la società All Pub s.a.s. e venditrice dell’azienda esercente l’attività di commercio al minuto era stata F.A.M.; che perciò -come riconosciuto anche dal N. nelle fasi di merito – il B. avrebbe rilasciato l’assegno a garanzia del debito altrui; che questo patto di garanzia, accedendo ad un assegno irregolare perchè privo di data, sarebbe nullo; che avrebbe errato la Corte a rigettare il motivo di appello con cui era fatta valere questa nullità, con violazione dell’art. 1937 c.c.;

il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile;

– è inammissibile nella parte in cui sostiene che con i contratti preliminari il B. si sarebbe impegnato soltanto alla stipulazione dei definitivi: si prospetta così un’interpretazione dei contratti preliminari difforme da quella ritenuta dal giudice di merito, senza che sia denunciata la violazione da parte di quest’ultimo di regole di ermeneutica contrattuale;

– ne consegue che va tenuta ferma detta interpretazione, per la quale la causa sottostante la promessa di pagamento risultante, ai sensi dell’art. 1988 c.c., dall’assegno privo di data era costituita dall’obbligazione di pagare il prezzo delle due cessioni di azienda, così come quantificato nei contratti preliminari da lui sottoscritti, assunta in proprio dal B.;

– dato ciò, il motivo è infondato perchè risulta non pertinente l’orientamento giurisprudenziale ivi richiamato, secondo cui “l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute nel R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 1 e 2 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 c.c.. Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c., il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c.” (così Cass. n. 4368/1995; cfr., nello stesso senso, di recente, Cass. n. 10710/16);

– ed invero, nel caso di specie, il giudice di merito ha escluso – con accertamento, come detto, non più censurabile – che il rapporto sottostante il titolo di credito fosse una fideiussione o altro rapporto di garanzia prestata per un debito altrui, ritenendo piuttosto che l’assegno privo di data fosse stato consegnato dal B. “a garanzia” di un debito proprio nei confronti di N.M. (anche quale mandatario della moglie);

– ne deriva che dalle parti è stata attribuita al titolo di credito, non utilizzabile come tale per la mancanza di data, la funzione di mera promessa di pagamento, con conseguente astrazione dal rapporto causale e connessa agevolazione probatoria ai sensi dell’art. 1988 c.c.;

– si tratta di una funzione riconosciuta come valida anche dalla giurisprudenza su richiamata;

– a prescindere quindi dalla conferma o meno dell’affermazione circa la nullità del patto di garanzia per un debito altrui che acceda ad un assegno privo di data o postdatato (contenuta nei citati precedenti, su cui non è qui il caso di intrattenersi, pur trattandosi di questione astrattamente meritevole di approfondimento), la sentenza è conforme a diritto quanto all’interpretazione ed all’applicazione dell’art. 1988 c.c.;

– in proposito non può che essere ribadito che l’assegno bancario privo di data è da considerarsi – nei rapporti tra traente e prenditore – come una promessa di pagamento (ai sensi dell’art. 1988 c.c.), con la conseguente configurabilità della presunzione iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante. Pertanto, il destinatario della promessa di pagamento è dispensato dall’onere di provare la sussistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria, con l’effetto che, in base al negozio di riconoscimento, il creditore è legittimato a pretendere il pagamento dell’intera obbligazione, quale nascente dal riconoscimento, mentre è il debitore, il quale intenda resistere all’azione di adempimento, che deve provare o l’inesistenza o l’invalidità dello stesso rapporto fondamentale, ovvero la sua estinzione (così Cass. n. 4804/06, nonchè di recente Cass. n. 20449/16);

– dato che il giudice di merito ha ben applicato questi principi, il primo motivo di ricorso va rigettato;

col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1941 c.c., perchè la Corte d’Appello ha ritenuto non estinto il debito complessivo del B. per il pagamento del prezzo dei due contratti di cessione, senza considerare – a detta del ricorrente – una serie di elementi fattuali (indicati alle pagine 10 e 11 del ricorso), da cui si sarebbe dovuto desumere che ad aprile 2006 (quando N.M. rilasciò la dichiarazione sottoscritta su cui si è basato il giudice d’appello) l’importo dovuto dalla All Pub s.a.s. sarebbe stato pagato integralmente ovvero, tutt’al più, sarebbe residuata una parte del prezzo relativo alla seconda cessione, inferiore all’importo indicato nell’assegno;

col terzo motivo – da esaminarsi congiuntamente al secondo perchè connesso – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., perchè, secondo il ricorrente, col documento in data 10 aprile 2006, egli avrebbe dato prova di quanto sopra, a superamento della ricognizione di debito di cui all’assegno; si aggiunge che, anche a voler ritenere che quella dichiarazione fosse riferita ad entrambe le cessioni, la Corte territoriale da detti elementi fattuali avrebbe dovuto desumere come ancora dovuto, al momento dell’ingiunzione, tutt’al più, l’importo di Euro 24.798,96, non quello maggiore (pari ad Euro 44.156,00) portato dall’assegno bancario;

i motivi sono inammissibili perchè, pur denunciando violazioni di legge, la parte ricorrente si limita a fornire una ricostruzione dei fatti diversa da quella accertata nella sentenza impugnata, o comunque censura l’apprezzamento ed il convincimento del giudice di merito, difforme da quello auspicato, così mirando ad un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 3881/06, n. 828/07, n. 7972/07, n. 25332/14 ed altre); senza peraltro che sia stato denunciato, nè che sia astrattamente configurabile, il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè tutti i fatti indicati come decisivi dal ricorrente (in particolare il contenuto della dichiarazione sottoscritta dal N., anche in qualità di mandatario della moglie) sono stati valutati dal giudice di merito, che ne ha tratto una ricostruzione coerente, perciò immune da censure ammissibili in sede di legittimità;

– col quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 101 c.p.c. e art. 111 Cost., perchè, secondo il ricorrente, i giudici d’appello avrebbero accertato la simulazione del prezzo indicato nei contratti definitivi, senza integrare il contraddittorio nei confronti delle parti di questi contratti (la società All Pub s.a.s. e F.A.M.), che invece sarebbero litisconsorti necessari;

– il motivo è privo di pregio, poichè la sentenza non contiene alcuna dichiarazione di simulazione relativa dei contratti definitivi, che abbia efficacia di giudicato. Piuttosto, come detto, i giudici hanno pronunciato su un’obbligazione assunta in prima persona dal B. nei confronti di N.M. in forza di quanto convenuto con i contratti preliminari e “garantito” con la promessa di pagamento risultante dall’assegno bancario; l’accertamento relativo all’importo dell’obbligazione del primo in favore del secondo presuppone l’accertamento della simulazione del prezzo indicato nei contratti definitivi, che tuttavia si pone come meramente incidentale. Poichè privo di effetti di giudicato, l’accertamento non avrebbe dovuto essere compiuto necessariamente (anche) nei confronti della società All Pub s.a.s. e della F. che furono parti dei contratti relativamente simulati;

– infatti, va applicata la regola per la quale la fattispecie della simulazione, sia essa assoluta o relativa, integra una ipotesi di litisconsorzio necessario tra le parti del contratto solo nel caso in cui il relativo accertamento risulti proposto in via principale (cfr. Cass. n. 4901/07; cfr. anche Cass. n. 4917/11 e n. 2701/17), con la conseguenza che il contraddittorio nel giudizio tra tutti i partecipanti, od i loro eredi, all’atto impugnato per simulazione è necessario quando la nullità che ne deriva all’atto venga posta a fondamento dell’azione e non quando il suo accertamento formi oggetto di una mera eccezione e debba essere effettuato in via incidentale e senza efficacia di giudicato (Cass. n. 3474/08);

– il ricorso va perciò rigettato, con le statuizioni consequenziali di cui al dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2017

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