Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13144 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2010, (ud. 12/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – rel. Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Immobiliare Nuova Residenziale s.r.l., in persona del legale

rappresentante p.t. Signor G.R., elettivamente domiciliato

in Roma, viale dell’Università, n. 11, presso gli Avvocati Ermetes

Augusto e Paolo Ermetes, che lo rappresentano e difendono per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., domiciliato in Roma,

via A. Catalani, n. 26, presso l’Avvocato Enrico D’Annibale,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Barone Edoardo per procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/44/07 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata il 31.5.2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 12 aprile 2010 dal relatore Cons. Dr. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità e, in

subordine, il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- La ditta Immobiliare Nuova Residenziale s.r.l. ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe che, accogliendo l’appello del comune di Napoli avverso la sentenza n. 332/34/2005 della commissione tributaria provinciale, con cui era stato accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro una cartella di pagamento dell’importo complessivo di Euro 169.766,60 per ICI 1997 e 1998, relative sanzioni ed interessi, dichiara tale atto legittimo, essendo stata eseguita l’iscrizione a ruolo in base ad avvisi di accertamento ritualmente notificati, diversamente da quanto sostenuto dalla parte, ma ne riduce l’importo, per tributo e sanzioni, in conformità alla richiesta dello stesso comune appellante.

1.2.- Resiste il comune di Napoli mediante controricorso.

2.- Contenuto della sentenza e motivi del ricorso.

2.1.- La società contribuente censura la sentenza impugnata:

2.1.1.- col primo motivo, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 57 e 23, dove il giudicante a quo afferma che il comune era regolarmente costituito davanti alla commissione provinciale con atto depositato il 22.11.2005, pur avendo premesso che la sentenza di primo grado era stata pubblicata il 21.11.2005; e per aver dato quindi ingresso a domande ed eccezioni non proposte nel giudizio di primo grado, al quale il comune non avrebbe affatto partecipato, ma dedotte soltanto, e inammissibilmente, per la prima volta in appello.

Formula quindi il seguente quesito:

2.1.1.1.- se possa “ritenersi regolarmente costituito in lite l’ufficio resistente che:

abbia depositato l’atto di controdeduzione presso la segreteria della commissione provinciale successivamente al deposito della sentenza di primo grado, con la conseguenza che i fatti e le circostanze dedotti con tale inesistente costituzione non possono essere posti a fondamento dell’appello, senza violare il divieto dello ius novorum, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57”;

2.1.2.- col secondo motivo, per motivazione contraddittoria, laddove la commissione regionale ritiene inammissibile, perchè dedotta da essa contribuente per la prima volta in appello, l’eccezione di nullità della notifica degli avvisi di accertamento, eseguita ad indirizzo non più attuale, ignorando che tale eccezione era stata resa necessaria e possibile dalla tardiva produzione, da parte del comune, degli avvisi notificati, documenti peraltro inammissibilmente depositati solo in appello;

2.1.3.- col terzo motivo, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 4, e per difetto di motivazione, sempre relativamente alla notifica degli avvisi di accertamento, in quanto la commissione regionale la considera utilmente eseguita all’indirizzo precedente, il cui mutamento non sarebbe stato provato dalla società, non risultando dagli atti l’avvenuta trascrizione di tale mutamento nel registro delle imprese; senza tener conto del fatto che il comune non aveva contestato la circostanza, mentre il giudicante aveva omesso l’uso dei poteri officiosi d’indagine.

Espone, al termine, il seguente quesito:

2.1.3.1.- se “A fronte della deduzione, da parte della contribuente società, di aver trasferito la sede sociale in vista della notificazione degli atti ai sensi dell’art. 145 c.p.c., provata con il deposito del verbale d’assemblea straordinaria, la commissione tributaria non può disattendere la prova esibita adducendo la mancata dimostrazione anche della pubblicità impressa alla modificazione statutaria, nella duplice assenza sia di specifica contestazione dell’ente impositore, cui spetta il potere dovere d’acquisire prove in senso contrario; sia omettendo di motivare la mancata acquisizione d’ufficio della documentazione da essa stessa ritenuta probante ai fini del decidere”;

2.1.4.- col quarto motivo, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e dell’art. 100 c.p.c., per avere deciso in ordine al quantum del tributo e delle sanzioni, in mancanza di domanda della parte, peraltro non proponibile in relazione ad una cartella di pagamento, impugnabile per vizi propri, ma solo in relazione all’avviso di accertamento o di liquidazione; col seguente quesito:

2.1.4.1.- se “in sede di giudizio avente ad oggetto la legittimità dell’iscrizione a ruolo di somme da liquidare con separato avviso d’accertamento non notificato e non impugnato, il giudice d’appello possa pronunciare sul quantum debeatur, soprattutto in assenza di una siffatta domanda nel ricorso di primo grado, ma proposta perfino dall’ente impositore per la prima volta in appello, e nonostante la carenza d’interesse verso una tale pronuncia da parte dell’appellante”.

3.- Decisione.

3.1.- Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le ragioni di seguito espresse. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

4. Motivi della decisione.

4.1.- I primi due motivi di ricorso (par. 2.1.1 e 2.1.2), vertenti sulla stessa questione dell’ammissibilità di nuove eccezioni e di nuove prove nel giudizio tributario di secondo grado, debbono essere trattati congiuntamente.

4.1.1.- La mancata costituzione del comune nel giudizio di primo grado – essendo stato depositato l’atto difensivo, come si rileva dalla stessa sentenza impugnata, in data successiva a quella di deposito della sentenza conclusiva di tale giudizio – è irrilevante (e sotto questo profilo la censura è inammissibile) al fine di stabilire l’ammissibilità in appello di eccezioni hinc inde dedotte e di documenti (avvisi notificati) prodotti dal comune.

Infatti, nel processo tributario, è consentito alla parte rimasta contumace in primo grado di proporre in appello mere difese, dirette a confutare le ragioni poste a fondamento del ricorso della controparte, in quanto il divieto di proporre eccezioni nuove, stabilito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, riguarda unicamente le eccezioni in senso stretto, suscettibili di ampliare il thema decidendum della lite (Cass. nn. 14020/2007, 15646/2004,5895/2002).

4.1.2.- Nel caso di specie, poichè la parte aveva lamentato, col ricorso introduttivo della controversia, “la mancata notifica degli avvisi e la conseguente nullità dell’iscrizione a ruolo” (v. ricorso per cassazione, pag. 2), il comune, pur essendo rimasto contumace in primo grado, era certamente ammesso ad eccepire in appello, non esorbitando dal thema decidendum, che tale notifica era stata invece eseguita, e ad esibire i relativi documenti, la cui produzione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, non è vietata nè limitata – se non per quanto riguarda i tempi (Cass. nn. 1915/2007, 2787/2006) – nel giudizio tributario di secondo grado.

4.1.3.- Naturalmente, per le stesse ragioni, anche le difese della parte contribuente debbono considerarsi ammesse in appello, a fronte dell’eccezione del comune di aver notificato gli avvisi di accertamento. La diversa opinione manifestata in proposito dalla commissione regionale non è tuttavia suscettibile di censura – che dunque è inammissibile anche sotto questo profilo perchè in realtà, dopo avere meramente enunciato a pretesa causa d’inammissibilità (per avere la contribuente eccepito l’avvenuto cambiamento di sede solo in appello), il giudicante a quo ha comunque affrontato il merito della questione, ritenendola non provata con diffusa motivazione.

4.2.- A tale giudizio di merito si riferisce, appunto, il terzo motivo (par. 2.1.3) che, per le ragioni di seguito espresse, deve essere rigettato.

4.2.1.- La ricorrente lamenta essenzialmente, come si ricava soprattutto dal quesito (par. 2.1.3.1), che la commissione regionale abbia ritenuto ritualmente effettuata la notifica degli avvisi di accertamento al vecchio indirizzo, non essendo stata fornita dalla società la prova dell’avvenuto cambiamento di sede, e nonostante che il comune non avesse eccepito la mancata conoscenza di tale circostanza.

4.2.2.- E’ infondata, innanzitutto, quest’ultima affermazione: il comune, in realtà, aveva eccepito di aver regolarmente notificato gli avvisi per posta ed aveva esibito le ricevute, come la stessa contribuente ammette a pag. 2 del presente ricorso per cassazione.

Tale eccezione implica necessariamente quella di mancata conoscenza della nuova sede, come ha bene inteso il giudicante a quo.

4.2.3.- E’ infondato e, per un certo aspetto, inammissibile, anche l’altro profilo di censura, concernente la prova del cambiamento di sede. Non è in discussione, infatti, la prova processuale di tale cambiamento, che può essere acquisita anche mediante semplice dichiarazione della parte, bensì a prova del compimento delle attività necessarie per renderlo opponibile ai terzi.

La commissione regionale assume “che le modifiche dell’atto costitutivo sono opponibili ai terzi … ai sensi art. 2300 c.c., solo se sono state iscritte nel registro delle imprese e, naturalmente, a far data dall’iscrizione”; aggiunge che “Tale elemento non risulta agli arti”. In altre parole, secondo la sentenza impugnata, non sarebbe in atti la prova che, al momento della notifica degli avvisi, il cambiamento di sede sociale fosse stato pubblicizzato nelle forme di legge (attualmente, dopo la riforma contenuta nel D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, e con riferimento alla s.r.l., v. artt. 2480, 2436 c.c.), e che pertanto fosse opponibile ai terzi, fra cui il comune.

La ricorrente non censura affatto questa ratio – necessità dell’iscrizione nel registro delle imprese, al fine di rendere opponibile ai terzi il cambiamento di sede – ; sicchè, sotto questo aspetto, il motivo è inammissibile.

4.2.4.- Quanto al mancato uso dei poteri officiosi d’indagine, la censura è infondata: l’onere della contribuente di provare l’inefficacia dei fatti (nella specie, avvenuta notifica degli avvisi di accertamento) posti da controparte (comune) a fondamento della pretesa (tributaria) grava normalmente sulla contribuente medesima (art. 2697 c.c., comma 2); cosicchè, nel contenzioso tributario, non può sopperire al mancato assolvimento del relativo onere l’acquisizione d’ufficio dei documenti necessari per la decisione;

l’esercizio, da parte del giudice tributario di merito, della facoltà eccezionale concessagli dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, è infatti discrezionale e non può intendersi, comunque, in senso sostitutivo di una difettosa attività probatoria della parte stessa (Cass. nn. 4617/2008, 18976/ 2007, 24464/ 2006); nè il mancato uso di tale facoltà deve essere motivato.

4.3.- Il quarto motivo (par. 2.1.4) è infondato.

4.3.1.- Si premette che, come risulta dalla parte narrativa della sentenza impugnata, la ricorrente già nell’atto introduttivo aveva lamentato, fra l’altro, sia l’eccessivo importo preteso, dato che una parte degli immobili, come da allegato elenco, era stata venduta”, sia “l’illegittimità delle sanzioni irrogate”. La domanda, implicita e logicamente subordinata, di riduzione della pretesa fiscale, era peraltro astrattamente ammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, poichè la società sosteneva di non aver ricevuto rituale notifica dell’atto presupposto (avviso di accertamento e liquidazione dell’imposta), sicchè l’impugnazione era teoricamente proponibile tanto per vizi propri della cartella esattoriale o della procedura, quanto per infondatezza totale o parziale della pretesa (S.U. n. 5791/2008).

4.3.2.- In ogni caso, anche nel processo tributario le parti conservano la disponibilità dei diritti in contestazione; di modo che, qualora l’ente impositore si avveda, in corso di causa, che è corretta e da accogliere un’eccezione del contribuente relativa al calcolo erroneo dell’imposta, non è tenuto necessariamente a rinnovare la procedura di accertamento, previo annullamento dell’atto contenente la richiesta eccessiva, ma ha il potere-dovere, in via di autotutela, di ridurre la domanda originaria. Tale riduzione della domanda, non equivalendo a diverso e autonomo accertamento, è ammissibile anche se operata per la prima volta in grado d’appello, con conseguente dovere del giudice di valutare la pretesa fiscale residua (Cass. n. 11265/2003).

4.3.3.- In tal modo ha operato, correttamente, la commissione regionale, affermando “che il potere di autotutela della Pubblica Amministrazione è sempre esercitabile, con l’unico limite, si ritiene, costituito da una sentenza già passata in giudicato”; anche perchè “lo Statuto del Contribuente impone alla Pubblica Amministrazione buona fede nei rapporti tributari”.

4.4.- Segue la decisione, nei termini indicati al par. 3.1.

5. Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), di cui Euro 4.000,00 (quattromila) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 12 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

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