Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13140 del 24/06/2016

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 24/06/2016), n.13140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 25410/11 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliata in Roma, Via F. Confalonieri

n. 5, presso lo studio dell’Avv. Luigi Manzi, che la rappresenta e

difende, anche disgiuntamente con l’Avv. Giovanni Maccagnani,

giusta con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 114/21/10 della Commissione Tributaria

Regionale del Veneto sez. staccata di Verona, depositata il 14

ottobre 2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 8

giugno 2016 dal Consigliere Dott. Ernestino Bruschetta;

udito l’Avv. Carlo Albini, per la ricorrente, per delega;

udito l’Avv. dello Stato Paolo Gentili, per il controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

Con l’impugnata sentenza n. 114/21/10 depositata il 14 ottobre 2010 la Commissione Tributaria Regionale del Veneto sez. staccata di Verona, accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, in riforma della decisione n. 83/01/08 della Commissione Tributaria Provinciale di Verona, respingeva il ricorso promosso da G.L. contro l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS) con il quale veniva revocato il beneficio cosiddetto prima casa previsto dall’art. 1, Parte Prima, Nota 2 bis, Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, applicabile ratione temporis, perchè l’abitazione acquistata veniva dall’ufficio ritenuta di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, in quanto avente “superficie superiore a mq. 240”.

La CTR spiegava il rigetto del ricorso avverso l’avviso di liquidazione osservando che il nominato CTU aveva accertato che la contribuente aveva erroneamente misurato la superficie “al netto delle murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani porte e finestre”, che con riguardo alle soffitte erroneamente la contribuente non aveva compreso nella superficie quella “con altezza superiore a m. 2,40”, la quale era invece da calcolarsi in modo ridotto in base “al rapporto di aeroilluminazione”, che delle tre cantine quella “con altezza interna di m. 2,70 fornita di impianti e finiture idonee a vani abitabili” andava pure calcolata in misura ridotta in base “al rapporto di aeroilluminazione”, che perciò l’abitazione doveva ritenersi di lusso perchè avente una superficie “pari a mq. 251,91”, anche adottando l’estrema cautela adoperata dal consulente.

Contro la sentenza la contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui l’Ufficio resisteva con controricorso.

Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, con riferimento a quanto disposto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa insufficiente contraddittoria motivazione”, la contribuente sosteneva che la CTR avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’impugnato avviso di liquidazione per difetto di motivazione, mentre invece aveva omesso di farlo.

Il motivo è inammissibile non solo per difetto di autosufficienza, atteso che nel ricorso non viene trascritto il richiamato documento costituito dall’impugnato avviso di liquidazione (Cass. sez. 6, n. 16134 del 2015; Cass. sez. 3, n. 8569 del 2013), non solo perchè nel motivo si cumulano i contrapposti vizi di violazione di legge e di motivazione, lasciando alla Corte di scegliere quello più opportuno in violazione della regola contenuta nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che prescrive la specificità dei motivi (Cass. sez. 1, n. 21611 del 2013;: Cass. civ., sez. 1, n. 20355 del 2008), ma anche perchè ciò che si lamenta è un omessa pronuncia che la contribuente avrebbe perciò dovuto censurare al sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. sez. lav. n. 22759 del 2014; Cass. civ., sez. 3, n. 1196 del 2007).

2. Con il secondo motivo rubricato “Violazione ed erronea applicazione di quanto previsto dalla L. n. 408 del 1999 e del D.M. 2 agosto 1969 e D.M. Lavori Pubblici 10 maggio 1977, n. 801, art. 3, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR di Venezia calcolato la superficie utile dell’abitazione fornendo un’interpretazione erronea delle succitate norme di legge”, la contribuente contestava dapprima “l’addebito” che la CTR le avrebbe mosso, “di non aver correttamente indicato nell’atto di ragno le cantine quale unità autonoma”, secondo la contribuente difatti l’Ufficio non avrebbe dovuto “sindacare sulle caratteristiche e modalità di accatastamento di un immobile”; in secondo luogo, la contribuente sosteneva che l’Ufficio aveva interpretato l’art. 6 D.M. del 1969 cit. in maniera “palesemente forzata sul plano logico”, in particolare laddove nel “concetto di superficie utile” aveva ricompreso i muri perimetrali, le pareti divisorie interne ecc.;

infine, la contribuente affermava che siccome l’Ufficio non aveva sollevato “alcuna eccezione in merito alla perizia dell’arch.

B.”, doveva per questo ritenersi pacifico che con riferimento ai calcoli esposti dal perito di parte, “quanto statuito in primo grado doveva intendersi come passato in giudicato”.

In disparte l’inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza perchè nel ricorso non vengono trascritti i richiamati documenti, segnatamente il roglto, l’accatastamento, la “perizia dell’arch. B.” ecc., di cui nemmeno si indica il tempo e il luogo processuale della loro produzione, ciò che neanche permette di verificare il rispetto dell’art. 372 c.p.c.; in disparte l’ulteriore inammissibilità conseguente al fatto che la contribuente in realtà non censura la CTR per un’omessa o un’insufficiente o un’illogica spiegazione circa l’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto decisivo e controverso, bensì rimprovera alla CTR un’omessa o un’insufficiente o un’illogica motivazione giuridica circa il potere dell’Ufficio di accertare la natura dei vani ecc. prescindendo dai documenti catastali e circa l’interpretazione da dare alla locuzione “superficie utile complessiva” contenuta nell’art. 6 D.M. del 1969 cit., motivazione giuridica che come noto è irrilevante, tant’è vero che se la decisione è conforme a diritto, la Corte è semplicemente tenuta a correggere o a integrare la ridetta motivazione giuridica ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4 (Cass. sez. trib. n. 5123 del 2012;

Cass. sez. lav. n. 16640 del 2005); il motivo è infine comunque infondato laddove eccepisce il formarsi di un “giudicato interno” con riguardo alla superficie misurata da una perizia di parte, atteso che la misura delle superficie era proprio l’unica questione sub iudice e sulla quale non c’era stata alcuna definitiva statuizione.

3. Con il terzo motivo rubricato “Violazione del D.Lgs. n. 596 del 1992, art. 58, perchè controparte ha introdotto nuovi motivi di censura nonostante il divieto recato dal citato art. 58 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1”, la contribuente lamentava però un vizio in parte diverso, quest’ultimo consistente nell’avversaria “produzione in appello di una nuova prova documentale” costituita dalle planimetrie, le quali avrebbero poi “imposto” alla CRR “un nuovo thema decidendum”, cioè “l’esattezza e l’attendibilità della perizia dell’arch. B.”.

Deve rilevarsi l’infondatezza anche solo astratta del motivo, nella parte in cui la CTR viene criticata per aver consentito la produzione delle planimetrie, giacchè va ricordato che non esistono preclusioni a che documenti non prodotti in primo grado lo possano essere in secondo e questo in ragione della specialità del rito tributario e per cui non esistono le restrizioni di cui all’art. 345 c.p.c. (Cass. sez. trib. n. 20109 del 2012; Cass. sez. trib. n. 18907 del 2011);

oltrechè infondatezza del motivo nella parte in cui viene sostenuto che la CTR avrebbe deciso un nuovo thema decidendum, ciò in quanto la questione del superamento o meno della superficie massima stabilita dall’art. 6 D.M. del 1969 cit. era quella sulla quale era fondato l’impugnato avviso di liquidazione e quella in effetti decisa dalla CTR. 4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la contribuente a rimborsare all’Ufficio le spese processuali, liquidate in Euro 7.000 a titolo di compenso, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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