Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1314 del 19/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.19/01/2017),  n. 1314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20125-2011 proposto da:

P.E., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

DOMENICO PETRACCA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LUCA MASSIMO FAILLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ENRICO MITTONI, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO

MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

INTESA SAN PAOLO S.P.A., C.F. (OMISSIS), già SAN PAOLO IMI S.P.A.;

CASSA PREVIDENZA INTEGRATIVA PERSONALE ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO DI

TORINO;

FONDO PENSIONI GRUPPO SAN PAOLO IMI;

– intimati –

Nonchè da:

INTESA SAN PAOLO S.P.A. C.F. (OMISSIS), già SAN PAOLO IMI S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio

dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAOLO TOSI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

DOMENICO PETRACCA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LUCA MASSIMO FAILLA, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

CASSA PREVIDENZA INTEGRATIVA PERSONALE ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO DI

TORINO;

FONDO PENSIONI GRUPPO SAN PAOLO IMI;

– intimati –

e contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ENRICO MITTONI, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO

MARITATO, giusta delega in calce alla copia notificato del

controricorso e ricorso incidentale;

– resistente –

avverso la sentenza n. 65/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/02/2011 R.G.N. 536/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato SOLFANELLI ANDREA per delega Avvocato PETRACCA

NICOLA DOMENICO;

udito l’Avvocato UBERTI ANDREA per delega Avvocato TOSI PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo

del ricorso principale e rigetto incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.E. conveniva in giudizio Intesa San Paolo s.p.a. dinanzi al Tribunale di Torino, esponendo: di essere dipendente della convenuta dal 1979, inizialmente inquadrata come impiegata di 1 categoria, successivamente come quadro super, funzionario di 4 categoria, funzionario di 3° categoria, funzionario di 2 categoria e quadro direttivo di 4 livello; di essere stata assegnata fin dal 1985 ai Servizi Ispettivi e di aver effettuato molteplici interventi ispettivi presso filiali estere, tutti con contenuto altamente specialistico in relazione al controllo delle attività svolte dalle sale cambi delle filiali in questione, nonchè all’elevato grado di autonomia gestionale presso filiali estere, avendo sempre funzionari come interlocutori; di essersi vista riconoscere a far tempo dal 1 febbraio 1990, in aggiunta allo stipendio, un assegno di sede estera non incluso negli accantonamenti annuali ai fini del TFR, nè considerato a fini contributivi, sia di natura pubblica obbligatoria, sia previdenziale aziendale; di essere stata inquadrata sempre come funzionaria, nonostante lo svolgimento di incarichi connotati da ampia autonomia decisionale per i quali, a parità di funzioni, ad altri colleghi era stato riconosciuto l’inquadramento come dirigenti; di essere rientrata a Torino nel marzo 2000 e assegnata alla Direzione Internal Auditing – società controllate – Auditing di Gruppo San Paolo Imi SpA, con mansione di Auditor, di contenuto professionale palesemente inferiore ai precedenti, permanendo in detta situazione fino all’inquadramento come quadro direttivo di 4° livello dal 1 gennaio 2001; di essere stata assegnata dal 1 giugno 2003 alla filiale di Amsterdam con incarico di sostituire, limitatamente ai casi di effettiva assenza dal servizio, il Direttore della Filiale; di essere stata assegnata dal 1 gennaio 2007 al Presidio Governance Amministrativo-Finanziario presso la sede di Torino, in qualità di referente di un gruppo di lavoro composto di sette risorse, oltre a due consulenti esterni. Ciò premesso, chiedeva, in via principale, anche in contraddittorio con Cassa di Previdenza Integrativa per il Personale dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino, con il Fondo Pensioni del Gruppo Sanpaolo IMI e con l’INPS, istituto Nazionale della Previdenza Sociale, nei cui confronti il Tribunale aveva disposto l’intervento in causa, a) di essere inquadrata nella categoria dirigenziale o, in subordine, quale funzionario di 1 categoria, dal 1/4/1992 o dal 1/4/1993 o dal 1/2/1996, con condanna del datore di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive con incidenza sul TFR, nonchè sulla retribuzione imponibile utile ai fini della contribuzione INPS, della Cassa Previdenza Integrativa per il personale dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino e del Fondo Pensioni del Gruppo San Paolo Imi; b) di dichiarare la computabilità dell’assegno di sede estera e del controvalore dell’alloggio assegnatole sul TFR, nonchè sulla retribuzione imponibile utile ai fini della contribuzione INPS, della Cassa Previdenza Integrativa per il Personale dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino e del Fondo Pensioni del Gruppo San Paolo Imi; c) di accertare la dequalificazione professionale patita dal marzo 2000 al maggio 2001, con condanna del datore al risarcimento del danno, da liquidare in via equitativa.

2. Il Tribunale, per quanto in questa sede interessa, in parziale accoglimento del ricorso, riteneva la computabilità dell’assegno estero sul TFR, condannando Intesa San Paolo al relativo accantonamento per tutti i periodi di distacco all’estero, nonchè la computabilità del medesimo sulla retribuzione imponibile ai fini della contribuzione del Fondo Pensioni con riferimento al distacco ad Amsterdam (accolta l’eccezione di prescrizione formulata dalla convenuta in relazione ai periodi pregressi), condannando Intesa San Paolo s.p.a. a versare la relativa contribuzione al predetto Fondo, oltre che ai fini della contribuzione INPS (in relazione a tale domanda era dichiarata la cessazione della materia del contendere, salva la verifica della correttezza dei versamenti effettuati e accreditati). Riconosceva, altresì, la dequalificazione professionale patita dal marzo 2000 al maggio 2001, condannando Intesa San Paolo a corrispondere il risarcimento, respingendo le ulteriori domande.

3. La Corte d’appello di Torino, a seguito di appello interposto dalla P. e da Intesa San Paolo s.p.a., in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava i due motivi di appello proposti dalla P. e diretti a contestare il mancato riconoscimento della qualifica dirigenziale e, in subordine, della qualifica di funzionario di prima categoria. Osservava che non vi era corrispondenza tra le prestazioni lavorative e le funzioni attribuite e in concreto esercitate dalla lavoratrice, secondo le allegazioni contenute nel ricorso e le definizioni delle categorie professionali di dirigente e di funzionario di 1 livello rispettivamente contenute nel Regolamento e nel Contratto Integrativo Aziendale, nonchè nei CCNL di categoria. Precisava che non era ravvisabile il tratto caratteristico della figura di dirigente d’azienda costituito dall’autonomia e dalla discrezionalità delle scelte decisionali, nonchè dall’ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla condizione dell’intera azienda o di un suo ramo autonomo. Osservava che dalle stesse allegazioni della ricorrente non era dato trarre i requisiti qualificanti delle declaratorie contrattuali di livello nazionale che, per la loro migliore specificazione, rimandano alle contrattazioni aziendali. Rilevava, specificamente, che nessuno degli incarichi e/o prestazioni descritti dalla lavoratrice comportavano l’attribuzione di compiti e responsabilità tali da consentire di imprimere un indirizzo e un orientamento al governo complessivo dell’azienda o di un suo ramo autonomo. Affermava che non era comparabile, per ampiezza di attribuzioni e responsabilità gestionali e decisionali, la qualifica di responsabile del Servizio Centrale di Ispettorato, ricoperto con riguardo all’area spagnola, con quello di Dirigente Centrale presso la sede centrale della società, non potendo essere paragonato il ruolo predetto, di elevatissimo livello per autonomia e potere decisionale finalizzato alla realizzazione degli obiettivi dell’azienda, alla funzione ispettiva – per quanto specializzata e svolta in parziale autonomia – attribuita alla ricorrente presso le unità operative nell’ambito di una struttura di modeste dimensioni. Osservava che neppure con riferimento ai successivi distacchi erano state allegate funzioni riconducibili alla categoria professionale rivendicata. Soggiungeva che il quadro fattuale prospettato in ricorso aveva trovato conferma nell’interrogatorio libero della ricorrente e nella documentazione prodotta afferente alla professionalità in discussione, risultando dal quadro probatorio che la P. aveva sempre operato come subordinata del dirigente di turno e non già “in mancanza di una vera dipendenza gerarchica”. Rilevava che le allegazioni dell’appellante erano insufficienti per giustificare un approfondimento istruttorio sul ruolo organizzativo utile ai fini dell’inquadramento nella categoria rivendicata in via subordinata. In accoglimento dell’appello proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a., riduceva la computabilità dell’assegno estero sul TFR agli accantonamenti fino al 31/12/1998, rigettando la domanda avanzata dalla P. con riferimento al versamento della contribuzione in riferimento all’assegno di sede estera erogato nel periodo di distacco ad Amsterdam e confermando nel resto la sentenza.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la P. con cinque motivi. Si costituiscono L’INPS e Intesa San Paolo, quest’ultima proponendo ricorso incidentale con unico motivo, a sua volta resistito con controricorso dalla P. e dall’INPS. Cassa di previdenza Integrativa per il personale dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino e Fondo pensioni del gruppo San Paolo Imi non hanno svolto attività difensiva. Intesa San Paolo e P.E. hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla ritenuta mancata deduzione di mansioni proprie della qualifica dirigenziale. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 414 e 433 c.p.c. in relazione alla mancata ammissione delle istanze istruttorie regolarmente formulate dalla ricorrente poichè ammissibili e rilevanti. Osserva che la sentenza è errata per avere ingiustificatamente ritenuto che dalle allegazioni formulate riguardo alle mansioni effettivamente esercitate non si potessero trarre i requisiti propri della qualifica di dirigente o in subordine di funzionario di 1 categoria. Rileva che è mancata l’operazione, richiesta dalla giurisprudenza di legittimità, consistente nella identificazione della qualifica, nell’accertamento delle mansioni di fatto esercitate e nel successivo confronto della identificata categoria/qualifica con le mansioni svolte in concreto. Evidenzia l’apoditticità della motivazione in punto di mancato espletamento dell’istruttoria. Rileva che la sentenza non ha in alcun modo indicato quali sarebbero stati i fatti specifici e concreti che avrebbero condotto al convincimento del giudice, a fronte dell’enorme massa di materiale probatorio.

1.2. Il motivo non merita accoglimento. La ricorrente, in primo luogo, non indica le circostanze istruttorie che si assumono non ammesse, a fronte della corretta precisazione in sentenza degli elementi, individuati mediante accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità ove, come nella specie, congruamente motivato, ritenuti qualificanti della categoria dirigenziale (nonchè di quella invocata in via subordinata). Deve richiamarsi sul punto il principio enunciato da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5964 del 23/04/2001, Rv. 546251: “E’ devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonchè la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti”). In ordine al dedotto vizio di motivazione riguardo all’operazione di confronto fra le mansioni descritte e i profili professionali di riferimento, si rileva che la Corte d’appello risulta aver effettuato correttamente il giudizio richiesto, secondo lo schema trifasico enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (per tutte si veda Cass. Sez. L, Sentenza n. 28284 del 31/12/2009, Rv. 611136: Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. L’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla ritenuta mancata deduzione di mansioni proprie della qualifica di funzionario di 1 categoria. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 433 c.p.c. in relazione alla mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate dalla ricorrente. Rileva che la sentenza è errata per aver ingiustificatamente ritenuto che dalle allegazioni e deduzioni della ricorrente riguardo alle mansioni dalla stessa esercitate non si potessero trarre i requisiti propri della qualifica di funzionario di prima categoria, senza motivare adeguatamente sul punto e limitandosi a prendere in considerazione la mera declaratoria contrattuale.

2.2. Anche il secondo motivo è infondato. Ribadite sul punto le argomentazioni espresse con riferimento al motivo sub 1, è da osservare, inoltre, che la Corte ha evidenziato come nel Contratto Integrativo Aziendale siano indicati i criteri qualificanti la figura di funzionario di prima categoria, individuabili solo a fronte della preposizione a strutture con precise caratteristiche dimensionali e strutturali, che nella specie ha ritenuto non sussistenti. Tali profili della decisione risultano del tutto trascurati in ricorso e non assoggettati a specifica censura. Irrilevanti in relazione al thema decidendum appaiono, poi, le digressioni sulle conseguenze che avrebbe determinato il riconoscimento dell’inquadramento nella qualifica di funzionario di prima categoria ai fini della progressione in carriera.

3. La ricorrente deduce ancora art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1367, 1368, 1369, 1370 e371 c.c. e insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla mancata computabilità dell’assegno di sede estera sulla retribuzione imponibile ai fini dei versamenti contributivi alla Cassa Previdenza Integrativa. Rileva che la Corte d’appello ha respinto la censura della ricorrente avverso il rigetto della domanda di computabilità dell’assegno di sede estera ai fini della contribuzione Cassa Previdenza Integrativa, motivato in ragione del ritenuto corretto richiamo all’art. 23 dello Statuto della Cassa “essendo questa la norma disciplinante il calcolo della pensione diretta, che ha come punto di riferimento gli ultimi trenta giorni dell’attività di servizio” e ritenendo non rilevante il richiamo all’art. 9 del medesimo Statuto, che ha riguardo agli obblighi contributivi degli iscritti e dell’Istituto. Rileva che la Corte territoriale ha fatto confusione tra l’obbligo della banca convenuta di versamento contributivo alla Cassa di Previdenza integrativa con riferimento all’assegno di sede estera, percepito in via continuativa e fissa, e la prestazione previdenziale che spetta alla cessazione del rapporto lavorativo. La Corte d’appello, pertanto, avrebbe immotivatamente trascurato la portata dell’art. 9, erroneamente fondando la decisione sull’art. 24 dello Statuto.

3.2. a premesso che la censura appare generica, in difetto di indicazione dei canoni di ermeneutica che si assumono violati dalla Corte territoriale (non trattandosi nella specie di interpretazione di un contratto collettivo, il cui sindacato è rimesso al giudice dei legittimità, ma di interpretazione di norme statutarie, in quanto tale censurabile esclusivamente sotto il profilo della violazione delle regole di ermeneutica, in concreto non esplicitate). Ciò posto, va rilevato che, muovendo dal tenore della domanda di cui al ricorso introduttivo, riportata nel controricorso (“accertare e dichiarare il diritto della ricorrente alla computabilità dell’assegno di sede estera… nella retribuzione imponibile ai fini della contribuzione previdenziale alla Cassa di previdenza integrativa… per l’effetto condannare la convenuta a versare la corrispondente contribuzione previdenziale in favore della ricorrente alla Cassa di Previdenza Integrativa”), i giudici di primo e di secondo grado hanno ritenuto corretto il richiamo sul punto all’art. 24 dello Statuto della Cassa, in quanto norma disciplinante il calcolo della pensione diretta, che ha come punto di riferimento “gli ultimi trenta giorni dell’attività di servizio”, piuttosto che il richiamo all’art. 9, che ha riguardo agli obblighi contributivi degli iscritti e dell’Istituto e non prevede alcuna posizione giuridica attiva della ricorrente, bensì solo a favore della Cassa. Ricorre, pertanto, un’ipotesi di qualificazione della domanda ad opera dei giudici di merito, come tale incensurabile in questa sede (in proposito cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5876 del 11/03/2011, Rv. 617196: “L’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità e, pertanto, la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorchè il giudice di merito

abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine”).

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1367, 2368, 1369, 1370 e 1371 c.c. Insufficiente e contraddittoria motivazione in merito all’interpretazione dell’accordo aziendale del 7 novembre 1998. Rileva che la sentenza ha affermato che dal 1 gennaio 1999 l’assegno estero non era più voce utile ai fini del t.f.r., ciò traendosi dall’accordo aziendale 7/11/1998. Evidenzia che tra le voci di cui all’allegato 1 del predetto accordo compare la dicitura “assegni integrativi” nella quale va ricompreso l’assegno di sede estera. Tale voce generica, infatti era stata concordata per comprendervi qualsivoglia assegno che sarebbe andato a integrare la retribuzione del dipendente. Richiama la giurisprudenza di legittimità in forza della quale la deroga al criterio dell’onnicomprensività della retribuzione consentita alla contrattazione collettiva deve essere dichiarata espressamente in modo chiaro e univoco.

4.2. Anche la suddetta censura pecca di genericità, posto che non risultano indicati i canoni di ermeneutica che si assumono violati dalla Corte territoriale in materia sottratta al sindacato diretto del giudice, non trattandosi nella specie di interpretazione di un contratto collettivo ma di interpretazione di norme statutarie, in quanto tale censurabile esclusivamente sotto il profilo della violazione delle regole di ermeneutica, in concreto non esplicitate. E’ pacifico, poi, che sia consentita una deroga da parte dell’autonomia collettiva al principio di onnicomprensività della retribuzione.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 5, D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6, art. 2120 c.c., art. 48 TUIR, art. 53 e 55 CCNL 22 novembre 1990 e art. 59 CCNL 22 giugno 1995. Osserva che la sentenza aveva confermato il rigetto della domanda della ricorrente avente ad oggetto la computabilità del controvalore dell’alloggio nel t.f.r. e nella retribuzione imponibile ai fini della contribuzione INPS, Fondo Pensioni e Cassa Previdenza. Rileva che la Corte territoriale aveva motivato il rigetto sulla scorta della ritenuta natura risarcitoria della prestazione, risultando provato in atti che il costo dell’alloggio nelle sedi estere gravava sulla società all’esclusivo fine di rendere concretamente possibile la prestazione lavorativa, ma non costituiva un compenso per il disagio nè un incremento della retribuzione. Osserva in proposito che la motivazione è errata poichè il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6 ha armonizzato il concetto di imponibile contributivo e reddito, con la conseguenza che trova applicazione l’art. 48 TUIR che precisa che “il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. Da ciò il diritto della ricorrente al riconoscimento del controvalore dell’alloggio sulla retribuzione imponibile ai fini della contribuzione obbligatoria.

5.2. Anche l’ultimo motivo è infondato in ragione della natura risarcitoria attribuita dalla Corte d’appello all’emolumento in discussione sulla base di un accertamento in fatto incensurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo di vizi motivazionali, in concreto non specificamente dedotti. A fronte della suddetta qualificazione come credito risarcitorio, non scalfita dalle censure mosse, perde qualsiasi rilevanza il richiamo all’art. 48 del TUIR, il quale presuppone la diversa natura retributiva degli emolumenti.

6. Con unico motivo Intesa San Paolo s.p.a. deduce, in sede di ricorso incidentale, violazione e falsa applicazione degli artt. 50, 51, 53 e 69 CCNL 20/11/1990 ed artt. 54, 55, 57 e 73 CCNL 22/6/1995 nonchè degli artt. 1362 c.c. e ss. c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Osserva che la Corte d’Appello ha ritenuto computabile nel TFR l’assegno di sede estera percepito dalla lavoratrice alla luce del suo carattere continuativo. In tal modo ha erroneamente interpretato, in contrasto con i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., le clausole del CCNL 22/11/1990 (specificamente l’art. 69) che esprime la volontà delle parti di non computare nel TFR, oltre agli emolumenti di carattere eccezionale ed ai rimborsi spese, i trattamenti previsti dal medesimo contratto per trasferimenti e missioni e quelli comunque erogati con analoghe finalità al personale trasferito e in missione. Rileva che se le parti sociali avessero voluto ribadire la disciplina legislativa in materia di TFR escludendo dal computo i soli emolumenti eccezionali e i rimborsi spese, avrebbero escluso questi ultimi senza necessità di richiamare i trattamenti corrisposti ai sensi del capitolo 11^ (missioni e trasferimenti). Il contestuale ed espresso richiamo dei medesimi, pertanto, deve intendersi nel senso che essi possono anche non avere carattere eccezionale o risarcitorio.

6.2. Il ricorso incidentale è privo di fondamento alla luce della natura retributiva e non risarcitoria attribuita all’assegno in questione, in conformità alle indicazioni più volte ribadite dalla giurisprudenza di legittimità, secondo le quali esso rientra tra “tutti gli emolumenti costitutivi del trattamento economico aventi carattere continuativo” di cui all’art. 69 CCNL (in tal senso Cass. Sez. L, Sentenza n. 24875 del 25/11/2005, Rv. 585291: “All’assegno di sede estera va riconosciuta natura integralmente retributiva, tanto nel caso in cui abbia una funzione compensativa della maggiore gravosità e del disagio morale ed ambientale dell’attività lavorativa prestata all’estero, quanto nel caso in cui esso sia correlato all’insieme delle qualità e condizioni personali che concorrono a formare la professionalità eventualmente indispensabile per prestare lavoro in territorio straniero (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, con motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici, aveva ritenuto che l’art. 67 del CCNL per il personale direttivo delle aziende di credito 7 luglio 1983, e disposizioni dei successivi CCNL di identico contenuto, escludendo dalla retribuzione annua utile per il calcolo del tfr solo gli emolumenti di carattere eccezionale, i rimborsi spese ed i trattamenti di missione individuati contrattualmente, costituissero una maggiore specificazione del disposto dell’art. 2120 c.c., ai fini del computo dell’assegno di sede estera nel TFR”; ancora Cass. Sez. L, Sentenza n. 15217 del 22/07/2016, Rv. 640736: “Il trattamento estero ha natura retributiva, tanto in presenza di una funzione compensativa della maggiore gravosità del disagio morale e ambientale, quanto nel caso in cui sia correlato alle qualità e condizioni personali concorrenti a formare la professionalità indispensabile per prestare lavoro fuori dai confini nazionali, mentre ha natura riparatoria il rimborso spese per la permanenza all’estero, che costituisce la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale derivante da una spesa effettiva sopportata dal lavoratore nell’esclusivo interesse del datore, restando normalmente collegato ad una modalità della prestazione lavorativa richiesta per esigenze straordinarie, priva dei caratteri della continuità e determinatezza (o determinabilità) e fondata su una causa autonoma rispetto a quella retributiva”).

7. In base alle svolte argomentazioni devono essere rigettate tanto l’impugnazione principale, quanto quella incidentale. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara compensate tra le parti le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

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