Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13139 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2010, (ud. 09/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.M., elettivamente domiciliata in Sondrio, via C.

Alessi 16, nello studio dell’avv. Gianoli Renzo, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Comune di Sondrio;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano

n. 78/4/05 del 14/4 – 30/6/2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9/4/2010 dal Relatore Cons. Dott. TIRELLI Francesco.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che con avviso di liquidazione n. 702/2003, il Comune di Sondrio ha contestato a F.M. di non aver provveduto, nell’anno 1999, al pagamento dell’ICI dovuta in relazione ad alcune unita’ immobiliari;

che la contribuente si e’ rivolta alla Commissione Tributaria Provinciale, sostenendo che l’imposta da lei dovuta era gia’ stata versata dalla madre C.I., comproprietaria dei beni, e che tale pagamento aveva estinto ogni suo debito ai sensi dell’art. 5 del Regolamento Comunale, secondo il quale doveva riconoscersi la validita’ dei versamenti effettuati da uno dei contitolari anche per gli altri; che il Comune di Sondrio si e’ costituito, depositando nel corso del giudizio documentazione relativa ai versamenti effettuati dalla C., che contrariamente a quanto affermato dalla figlia, aveva versato soltanto un modesto importo in supero del dovuto;

che il giudice adito ha rigettato il ricorso con sentenza poi confermata dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale ha rilevato al riguardo che trattandosi di una disposizione entrata in vigore in epoca posteriore a quella di cui si discuteva, non poteva farsi applicazione dell’art. 5 sopra indicato, ma del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10 in base al quale ciascun titolare era tenuto al pagamento pro quota dell’ICI, che nel caso di specie non era stata affatto integralmente saldata dalla C., rimasta a credito soltanto per una piccola somma insufficiente a coprire il debito della F.;

che quest’ultima ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo con il primo motivo la violazone del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 bis della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2 in quanto il giudice a quo avrebbe dovuto dichiarare la nullita’ dell’atto imnpositivo perche’ la documentazione prodotta in giudizio dal Comune per dimostrarne la fondatezza non era mai stata da lei conosciuta o ricevuta perche’ non allegata, ne’ richiamata o riprodotta nell’avviso notificato;

che con il secondo motivo la ricorrente ha invece dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del Regolamento Comunale, in quanto la Commissione Regionale avrebbe dovuto riconoscerne l’applicabilita’ retroatttiva e, per l’effetto, assegnare al Comune soltanto la eventuale differenza fra l’ICI complessivamente dovuta e quella globalmente incassata;

che con il terzo motivo la F. ha infine i dedotto l’omessa pronuncia sulla questione concernente la mancata, attivazione, da parte del Comune, delle procedure di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 1 in forza del quale l’ente locale avrebbe potuto emettere avviso di liquidazione soltanto se dal controllo incrociato dei versamenti effettuati da tutti gli obbligati fosse emerso che l’ICI complessivamente dovuta non era stata integralmente saldata, circostanza, questa, non predicabile nel caso di specie in cui, come dimostrato in giudizio, i pagamenti eseguiti dagli altri avevano estinto anche il suo debito che, oltretutto, non arrivava assolutamente alla cifra indicata dal Comune perche’ sulla quota di sua pertinenza gravava un usufrutto ed un diritto di abitazione a favore della nonna F.O.; che cosi’ riassunte le doglianze della ricorrente, cui il Comune non ha resistito con controricorso, osserva il Collegio che il primo motivo e’ infondato perche’ per contestare alla F. il mancato pagamento della imposta, il Comune di Sondrio non doveva far altro che richiamarsi all’assenza di qualsiasi versamento a suo nome, a fronte della quale la successiva produzione documentale riguardante la C. non ha rappresentato nessuna giustificazione od innovazione dell’originaria pretesa, ma soltanto la confutazione delle difese della contribuente, che il Comune poteva validamente produrre in corso di causa a maggior riprova della legittimita’ del proprio operato;

che ugualmente infondata e’ anche l’ulteriore questione preliminare di cui al terzo motivo del ricorso, perche’ una volta verificata la mancata esecuzione di versamenti a nome della F., il Comune non era tenuto a compiere altri controlli o verifiche, toccando semmai alla contribuente l’onere di fornire la prova dell’avvenuta estinzione del debito;

che per quanto riguarda infine il problema posto dal secondo motivo del ricorso, devesi rilevare che il rapporto fiscale si colora di connotazioni anche morali – tali che se da un lato comportano per il contribuente il fondamentale dovere di pagare, dall’altro escludono che l’ente impositore possa pretendere due volte la medesima imposta o, comunque, piu’ di quanto gli e’ dovuto approfittando, magari, di eventuali errori dello stesso o di altri contribuenti;

che indipendentemente dall’esistenza o dalla efficacia di un’apposita norma regolamentare in tal senso, deve quindi affermarsi che il comproprietario cui sia stato intimato di provvedere al saldo dell’ICI da lui dovuta e non versata, puo’ dimostrare che la medesima imposta e’ gia’ stata in tutto o in parte corrisposta da un diverso comproprietario e sottrarsi al pagamento invocando a suo favore quello eseguito dall’altro che, ben s’intende, vi acconsenta;

che, come si e’ visto, la Commissione Regionale ha invece negato la possibilita’ di tener conto dei maggiori versamenti della C., a proposito dei quali ha in ogni caso aggiunto che gli stessi non avevano comunque superato, se non di poco, la quota dovuta dalla loro autrice, mostrando cosi’ di aderire anche sul punto alla tesi del Comune, che aveva indicato in appena L. 30.000 l’eccedenza pagata dalla madre;

che la prima delle predette affermazioni non e’ conforme a diritto, in quanto la F. poteva richiedere di tener conto delle predette L. 30.000 ai fini della rideterminazione del suo debito per imposta ed accessori;

che non varrebbe in contrario replicare che la C. non aveva a suo tempo dichiarato di voler imputare la somma versata in eccesso alla quota della figlia, perche’ quello che conta e’ che il Comune sia comunque riuscito a realizzare in tutto o in parte la sua entrata, essendo al riguardo ininfluente che l’autore del pagamento abbia fin dall’inizio precisato di voler destinare l’eccedenza al soddisfacimento del debito altrui o vi abbia acconsentito solo in seguito ed, eventualmente, dopo la notificazione di un avviso di liquidazione all’obbligato;

che la posteriorita’ del consenso (che in base ai principi puo’ essere espresso, come nella specie, anche dall’erede), non puo’ infatti rilevare ai fini della computabilita’ del versamento, ma soltanto a quelli del rimborso delle spese eventualmente affrontate dal Comune per agire contro l’obbligato; che tanto puntualizzato, rimane soltanto da aggiungere che la F. ha contestato anche la seconda delle suindicate affermazioni della Commissione Regionale, sostenendo di avere documentalmente dimostrato che l’ICI a suo carico era stata integralmente saldata;

che cosi’ come formulata, la censura e’ pero’ inammissibile perche’ generica, in quanto in base al principio di autosufficienza del ricorso, la F. su cui, come si e’ detto, gravava l’onere di provare che l’ICI da lei dovuta era stata ugualmente assolta nonostante la mancata esecuzione di versamenti da parte sua, non avrebbe potuto limitarsi a sostenere di aver fornito la predetta prova liberatoria, ma avrebbe dovuto specificare l’ammontare dell’intera imposta relativa agli immobili, la quota di sua pertinenza e quella a carico della C., indicando con precisione le somme da quest’ultima corrisposte ed i relativi documenti giustificativi, di cui avrebbe dovuto riportare il contenuto nel ricorso al fine di consentire alla Corte di valutare la fondatezza della doglianza senza necessita’ di passare all’esame diretto degli atti;

che non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito mediante cassazione della decisione impugnata unicamente nella parte in cui pur avendo riconosciuto che la C. aveva versato un sia pur esiguo importo in piu’ del dovuto, non lo ha decurtato dal debito della figlia ed erede F.M.; che in considerazione dell’esito della lite, stimasi congruo compensare le spese dell’intero giudizio fra le parti.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie parzialmente il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e, decidendo nel merito, dichiara il diritto della F. a detrarre dal suo debito la maggior somma versata dalla madre; compensa le spese dell’intero giudizio fra le parti.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

 

 

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