Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13138 del 24/06/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13138 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 4097-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

CENTRO DENTISTICO MB DI MONDINO FRANCA ROSA &
C. SNC;
– intimata –

avverso la sentenza n. 23/31/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di TORINO del 24/05/2012,
depositata il 14/06/2012;

Data pubblicazione: 24/06/2015

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
udito l’Avvocato Federico Di Matteo difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Ric. 2013 n. 04097 sez. MT – ud. 07-05-2015
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La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

osserva:
La CTR di Torino ha respinto l’appello dell’Agenzia, appello proposto contro la
sentenza n.6-16-2011 della CTP di Torino che —in causa avente ad oggetto
“disconoscimento dell’esenzione IVA ex art.10 comma 1 n.18 del DPR n.633/1972”,
siccome l’attività “dentistica” svolta dalla parte contribuente era stata in concreto
esercitata da soggetti non legalmente abilitati, oltre al recupero dell’IRAP sul
maggior imponibile non dichiarato, imposte riferite all’anno 2007- aveva accolto il
ricorso proposto dalla “Centro dentistico M.B. di Mondino Franca Rosa e C. snc”
avverso il relativo avviso di accertamento.
La predetta CTR —dopo avere premesso che l’Ufficio muoveva dal presupposto che
l’intervento del direttore sanitario dott. Cipriani era stato “solo formale e sporadico”,
sicchè non vi era stata attività diretta alle cure del paziente né la qualità di operatore
sanitario di chi l’aveva posta in essere- argomentava che “spetta all’ufficio dimostrare
se ed in quale misura le prestazioni odontoiatriche sono state rese abusivamente”
ovvero di fatto rese da un odontotecnico: in assenza di tale prova la pretesa non
risultava dimostrata. D’altronde, era anche “inammissibile la distinzione tra attività
lecitamente ed illecitamente esercitate ai fini della concessione dell’esenzione IVA”.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte contribuente non si è difesa.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.10 del
DPR n.633/1972, in combinato disposto con gli art.2697 comma 1 cpc e 51 comma 2
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letti gli atti depositati,

n.2 DPR n.633/1972, da esaminarsi preliminarmente perché di più agevole soluzione
e perché dirimente in ipotesi di rigetto, siccome riferito ad una delle due autonome
rationes decidendi su cui si regge la decisione impugnata) la parte ricorrente —dopo
avere premesso che nessuno dei soci nella società contribuente è in possesso
dell’abilitazione all’esercizio dell’odontoiatria e che nella struttura venivano prestate

altri soci)- ha evidenziato di avere ritenuto non esentabili da IVA le (complessive?)
prestazioni rese all’interno di quest’ultima, sul presupposto che non risultavano
effettuate da soggetti abilitati all’esercizio della professione sanitaria. Ciò posto, la
ricorrente si è doluta dell’applicazione fatta dal giudicante della regola in tema di
onere della prova, così violando il principio secondo il quale “in materia tributaria è il
contribuente a dover provare i presupposti di fatto e di diritto legittimanti l’adozione
di qualsiasi regime derogatorio all’imposizione ordinaria”. D’altronde, al giudicante
sarebbe bastato considerare l’art.51 comma 2 del DPR n.63311972 per desumere dalle
“riscontrate irregolarità nella tenuta della contabilità” una presunzione contraria al
contribuente idonea a determinare l’inversione su quest’ultimo dell’onere della prova.
Il motivo appare inammissibilmente formulato, prima ancora che infondato.
Esso appare più volte carente in termini di assolvimento dell’onere di autosufficienza
del ricorso per cassazione, sia per ciò che concerne l’assunto in ordine all’irregolare
tenuta della contabilità d’impresa (in ordine al quale nulla di specifico la parte
ricorrente ha allegato, se non un asserito “disordine” non meglio illustrato), sia per
ciò che concerne la natura delle prestazioni fatturate di cui pretende l’esclusione dal
regime di esonero (non solo in assoluto, ma anche in rispetto al complesso delle
attività esercitate dalla società, nel paragone con il quale soltanto si sarebbe potuto
apprezzare —alla luce del numero dei clienti, dell’impegno personale profuso dai soci,
del combinato rapporto tra prestazioni sanitarie e ausiliarie implicate da ciascun
genere di programma terapeutico- se vi fossero elementi presuntivi per supporre ciò
che l’Ufficio ha supposto, e cioè che l’organizzazione aziendale mascherasse una
forma di esercizio abusivo della professione sanitaria).
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contempo le attività odontoiatriche (dal Cipriani) e quelle odontoprotesiche (dagli

Nella totale carenza di indagini a proposito degli elementi di fatto donde desumere la
verisimiglianza di una siffatta ipotesi accertativa, non restava al giudice del merito se
non fare applicazione rigorosa del criterio dell’onus probandi che addossa a chi ha
interesse a prospettare l’esistenza di sistema abusivo volto a frodare la legge di
quantomeno allegare gli elementi presuntivi (se non gravi, precisi e concordanti,
almeno semplici) donde detto sistema possa apprezzarsi, onde consentire a chi ne è

Ed infatti, in analoga fattispecie codesta Suprema Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
25374 del 17/10/2008) ha avuto modo di insegnare che:”In tema di IVA, le pratiche
abusive consistenti nell’impiego di una forma giuridica o di un regolamento
contrattuale al fine di realizzare quale scopo principale (seppur non esclusivo) un
risparmio di imposta, anche se allo stesso si accompagnino secondarie finalità di
contenuto economico, consistono in abusi di diritti fondamentali garantiti
dall’ordinamento comunitario e pertanto assumono rilievo normativo primario in tale
ordinamento, indipendentemente dalla presenza di una clausola generale antielusiva
nell’ordinamento fiscale italiano. L’individuazione dell’impiego abusivo di una forma
giuridica incombe sull’amministrazione finanziaria, la quale non potrà limitarsi ad
una mera e generica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gli aspetti e le
particolarità che fanno ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico
diverso dal risparmio di imposta. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto
costituisse abuso del diritto il frazionamento di un contratto di leasing in una pluralità
di contratti distinti, conclusi con soggetti diversi ed aventi ad oggetto rispettivamente
la concessione in uso del bene ed i servizi di finanziamento e di assicurazione contro
la perdita del bene o il deterioramento del bene, al fine principale di considerare
imponibile soltanto il corrispettivo per l’uso del bene, con esenzione degli altri
servizi, ai sensi dell’art. 10 n. 1, 2 e 9 del d.P.R. n. 633 del 1972)”.
Non guasta invece evidenziare che il diverso indirizzo giurisprudenziale valorizzato
dalla parte ricorrente a sostegno della propria tesi (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28946
del 10/12/2008, la cui massima tradisce alquanto la effettiva ratio decidendi) ripete le

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imputato di difendersi da specifiche contestazioni.

sue ragioni d’essere da tutt’altra situazione di fatto, caratterizzata dalla necessità di
distinguere versamenti effettuati sui conti correnti bancari di un lavoratore autonomo,
che non trovavano corrispondenza nella contabilità, in base alla presunzione prevista
dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, (in forza della quale i movimenti
bancari si intendono relativi ad operazioni imponibili e, quindi, “sono posti a base

se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si
riferiscono ad operazioni imponibili”). Di siffatta presunzione anche la parte qui
ricorrente ha tentato —argutamente- di giovarsi, onde rimediare al difetto
nell’assolvimento dell’onere che le incombe, senza che ve ne fossero i presupposti
processuali e fattuali.
Il rigetto del motivo dianzi esaminato rende frustraneo l’esame di quello che precede,
per le ragioni di già evidenziate.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità.
Roma, 30 luglio 2014

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa con la quale (anche
richiamando significativi stralci del PVC) ha inteso emendare —ma ormai
tardivamente- il difetto della compiuta allegazione dei presupposti fattuali
indispensabili, per come identificati nella relazione, onde consentire alla Corte di
intendere se sussistessero i presupposti di quell’inversione probatoria in ragione dei
quali si assume che il giudice del merito abbia violato le norme invocate, presupposti
nel difetto dei quali resta comunque assodato che nella fattispecie in esame non
possono ritenersi (in astratto) carenti “i requisiti professionali previsti dalla legge”,
siccome la società contribuente del tutto legittimamente si avvaleva, nello
svolgimento della sua attività, di un direttore sanitario abilitato all’esercizio della
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delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55

professione medica specialistica;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa
non si è costituita.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma il 7 maggio 2015

DEPOSW”CW4541.4‘

P.Q.M.

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