Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13136 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. I, 14/05/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 14/05/2021), n.13136

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17734/2019 R.G. proposto da:

J.A., rappresentato e difeso dall’avv. Clementina Di

Rosa, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Napoli, via

G. Porzio, centro direzionale, is. G1;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli, n. 4176/2019, depositato

il 14 maggio 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 febbraio

2021 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– J.A. propone ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Napoli, depositato il 14 maggio 2019, di reiezione dell’opposizione dal medesimo proposta avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta, che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o, comunque, della protezione umanitaria;

– dall’esame del decreto impugnato emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era cittadino nigeriano (Edo State) e che si era determinato a lasciare il paese in quanto si era rifiutato di succedere al padre in pratiche religiose, consistenti nell’adorazione di un idolo, in quanto contrarie alla sua fede musulmana e, per tale ragione, temeva di essere ucciso per sacrificio, in caso di rimpatrio;

– il giudice ha disatteso l’opposizione evidenziando che non sussistevano delle condizioni per il riconoscimento delle protezioni internazionale e umanitaria richieste;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– il Ministero dell’Interno non spiega alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo del ricorso il ricorrente la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6, 7, 8 e 14, per aver il decreto impugnato escluso sia il riconoscimento dello status di rifugiato, sia la protezione sussidiaria, benchè dal suo racconto, nonchè dal contenuto delle Country of Origin Information prodotte in atti) emergesse la sussistenza di un pericolo concreto e attuale di subire ulteriori violenze, oltre che trattamenti degradanti e disumani o, comunque, di una minaccia grave e individuale alla vita derivante da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale;

– il motivo è inammissibile;

– le doglianze si rivolgono, in parte, in una generica contestazione della valutazione del Tribunale in ordine alla credibilità del richiedente, esclusa in – ragione di una pluralità di elementi di inverosimiglianza, puntualmente indicati nel provvedimento;

– non considera il ricorrente l’articolato giudizio di non credibilità offerto dal collegio di merito al fine di escludere la verosimiglianza delle circostanze di fatto poste a base della domanda presentata;

– la proposizione di una doglianza priva di censure specifiche avvero il decisum del provvedimento impugnato è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), con la conseguente inammissibilità della stessa (cfr. Cass., ord., 7 settembre 2017, n. 20910);

– dall’altro lato, le censure vertono sulla valutazione, asseritamente errata, della situazione del Paese di origine, quale risultante dalle Country of Origin Information aggiornate;

– anche sotto questo diverso profilo, l’esame delle critiche non può trovare ingresso, atteso, da un lato, che le stesse sono estremamente generiche, e, dall’altro, che la decisione del Tribunale è motivata con riferimento ad aggiornate e autorevoli fonti internazionali, da cui emerge l’insussistenza di atti di persecuzione rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o del grave danno idoneo all’ammissione alla protezione sussidiaria, anche in considerazione dell’ambito circoscritto del fenomeno dei sacrifici umani dedotto dal richiedente, peraltro sanzionato dal codice penale e represso in modo attento dalle forze di polizia;

– con particolare riferimento all’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, il giudicante, sulla base dei report internazionali consultati, ha escluso che la regione di provenienza del richiedente sia interessata da situazione di instabilità rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 2007, art. 14, lett. c);

– con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, per aver il Tribunale negato il permesso di soggiorno per motivi umanitari senza aver adeguatamente apprezzato la condizione di peculiare vulnerabilità;

– evidenzia, in proposito, la “condizione di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, determinata dalla giovane età, dall’assenza di legami sociali attuali” e la critica situazione socio-politica del Paese di provenienza, oltre che delle violenza subite nel Paese di transito, tale da esporlo a compressione di diritti umani e gravi pregiudizi in caso di rimpatrio;

– con l’ultimo motivo si duole dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo del giudizio, nella parte in cui, con riferimento alla domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, ha omesso di prendere in esame elementi di vulnerabilità soggettiva e oggettiva del richiedente, quali la giovane età, le violenza subite, l’assenza di legami sociali nel paese di origine, il clima di diffusa insicurezza in tale paese e il grado di integrazione nel territorio nazionale, dimostrato dalla vigenza di un contratto di lavoro subordinato;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;

– in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (così, Cass., ord., 21 novembre 2017, n. 27568);

– in relazione alle circostanze di fatto indicate nel ricorso e asseritamente non tenute in debita considerazione dal Tribunale, parte ricorrente non ha assolto ad un siffatto obbligo;

– sul punto, si osserva che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza;

– la mancata deduzione di specifici elementi relativi alla situazione del richiedente con riferimento al paese d’origine non consente di poter sindacare la valutazione espressa sul punto dal Tribunale;

– sotto altro aspetto, l’accertato inserimento lavorativo dello straniero in Italia non può assumere rilevanza quale fattore esclusivo ai fini del riconoscimento di un titolo di soggiorno (cfr. Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455);

– con riferimento al prospettato vizio motivazionale, lo stesso è privo del necessario requisito di specificità, avendo il ricorrente omesso di indicare in quale atto i fatti asseritamente non esaminati sarebbero stati allegati;

– con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, per aver il decreto impugnato omesso di compiere un’esatta e compiuta disamina dell’attuale quadro socio-politico di riferimento, così come risultante dalla più autorevoli Country of Origin information;

– il motivo è inammissibile, in quanto, come rilevato in precedenza, il Tribunale, diversamente da quanto posto dal ricorrente a fondamento della doglianza, ha effettuato un siffatto esame, attribuendo rilevanza a diverse e autorevoli fonti internazionali;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in

assenza di attività difensiva della parte vittoriosa.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

 

 

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