Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13128 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. II, 28/05/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5309-2005 proposto da:

R.A. (OMISSIS), D.S.L.

(OMISSIS), quali eredi di D.S.E.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 62, presso lo

studio dell’avvocato GRISANTI FRANCESCO, rappresentati e difesi dagli

avvocati MORGESE MARIANO, ANTONELLI CAMPOSARCUNO PAOLO;

– ricorrenti –

contro

S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ISOLE EOLIE 3, presso lo studio dell’avvocato GAMBERALE

PAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato D’ONOFRIO UGO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2004 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 14/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato RENDINA Simona, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MORGESE Mariano, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato D’ONOFRIO Ugo, difensore del resistente che ha

chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 4-9-2002 il Presidente di sezione del Tribunale di Campobasso in funzione di giudice unico, in accoglimento della domanda proposta da D.S.E., ordinava a S. G. di rimuovere le tubazioni poste a distanza minore di quella minima di cui all’art. 889 c.c., comma 2 rispetto al solaio interpiano, tubazioni destinate a servizio di un secondo bagnetto realizzato dal convenuto nel proprio appartamento (sovrastante l’appartamento dell’attore) sito nel palazzo condominiale di via (OMISSIS), e dichiarava inammissibile o comunque respingeva ogni altra domanda.

Proposta impugnazione da parte dello S., nella contumacia di R.A. e D.S.L. quali eredi di D.S.E. nel frattempo deceduto, la Corte di Appello di Campobasso con sentenza del 14-1-2004 ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata e, in accoglimento del gravame, ha rigettato l’originaria domanda introdotta da D.S.E..

Avverso tale sentenza R.A. e D.S.L. nella suddetta qualità hanno proposto un ricorso articolato in quattro motivi illustrato successivamente da una memoria cui lo S. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione del controricorrente d’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3 per omessa descrizione del contenuto della sentenza impugnata.

L’eccezione è manifestamente infondata, considerato anzitutto che nel ricorso in oggetto è riscontrabile una esauriente esposizione dei fatti di causa, e che per altro verso in esso è stata trascritta integralmente la sentenza di secondo grado.

Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.L. 4 novembre 2002, n. 245, art. 4 conv. in L. 27 dicembre 2002, n. 285, O.P.C.M. 10 aprile 2003. n. 3279, art. 8, artt. 101, 163 bis, 164, 291, 342 e 350 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost. nonchè omessa motivazione.

Essi rilevano che nel procedimento d’appello vi è stata violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa degli appellati, essendosi il processo svolto in assenza di questi ultimi i quali, privati del termine minimo a comparire (attesa la sospensione dei termini processuali dal 31-10-2002 al 31-3-2003 disposta con la normativa sopra richiamata e poi prorogata fino al 30-6-2003 con la suddetta ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri nella regione Molise per i soggetti residenti a seguito del sisma ivi verificatosi nell’ottobre – novembre 2002), non erano stati in grado di difendersi; invero tra la data di notifica dell’atto di appello del 23-10-2002 e la sospensione dei suddetti termini – decorrente dal 31-10-2002 – erano intercorsi appena otto giorni liberi, posto che sia l’udienza indicata nell’atto di appello (8-1-2003) sia quella di prima trattazione dinanzi al Collegio (22-1-2003) ricadevano nel periodo di sospensione, così come anche la successiva udienza dell’8- 4-2003 fissata ai fini della decisione sulla istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado, considerato che la sospensione dei termini processuali era stata prorogata fino al 30-6-2003; successivamente la causa in oggetto, dopo l’accoglimento della sospensiva, era stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 24-9-2003 e poi d’ufficio all’udienza dell’8-10-2003 dove la Corte di Appello di Roma, dichiarata la contumacia degli appellati, aveva trattenuto la causa in decisione concedendo il termine di 60 giorni per il deposito della comparsa conclusionale.

La R. ed il D.S. quindi rilevano la nullità dell’intero procedimento di appello e della sentenza impugnata per mancato rispetto del termine minimo a comparire e per non essere stata disposta la rinnovazione della citazione.

La censura è fondata.

Premesso lo svolgimento del giudizio di appello nei termini sopra enunciati ed avuto riguardo alla normativa sopra richiamata in ordine alla sospensione dei termini processuali nella Regione Molise nel periodo di tempo intercorrente dal 31-10-2002 al 30-6-2003, si rileva che in base all’art. 359 c.p.c. (che prescrive l’osservanza nel procedimento d’appello, in quanto applicabili, delle norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale, se non sono incompatibili con le norme del capo che regola specificatamente il processo d’appello) trova applicazione anche nel giudizio di appello l’art. 163 bis c.p.c. secondo cui tra il giorno della notifica della citazione e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di giorni sessanta se il luogo della notificazione si trova in Italia, come nella fattispecie; pertanto è evidente che tra la notifica dell’atto di appello, avvenuta il 23 10 2002, e l’udienza di comparizione fissata nell’atto stesso dell’8-1- 2003, per effetto del periodo di sospensione “ex lege” decorrente dal 31-10-2003, erano decorsi soltanto sette giorni liberi con conseguente nullità della citazione ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 1; conseguentemente avrebbe dovuto essere applicato il comma 2 dell’art. ora citato secondo cui, se il convenuto non si costituisce in giudizio il giudice, rilevata la nullità della citazione, ne dispone la rinnovazione entro un termine perentorio.

A tal riguardo si osserva che lo S. nel controricorso, senza nulla eccepire in ordine alla applicabilità nella fattispecie della normativa sopra richiamata relativamente alla sospensione dei termini processuali nella Regione Molise, sostiene che i ricorrenti non avrebbero assolutamente prospettato alcun pregiudizio subito dal mancato rispetto della sospensione dei termini processuali nel periodo intercorrente tra la data di notifica dell’atto di citazione e l’udienza di comparizione ivi fissata; inoltre egli assume che le controparti ben avrebbero potuto costituirsi all’udienza dell’8-10- 2003 (posto che in relazione a tale data il termine libero a comparire era stato rispettato) e chiedere una eventuale rimessione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c..

Tali argomentazioni sono infondate.

Sotto un primo profilo è agevole osservare che l’art. 350 c.p.c. prevede espressamente che nel processo di appello il giudice nella prima udienza verifichi la regolare instaurazione del giudizio e, quando occorra, disponga la rinnovazione della notificazione dell’atto di appello, evidentemente anche in relazione al rispetto del principio del contraddittorio sancito dall’art. 101 c.p.c.;

pertanto l’interesse primario tutelato da queste norme è quello alla corretta introduzione del giudizio ed al rispetto del diritto di difesa delle parti, interesse così essenziale che deve essere salvaguardato d’ufficio dal giudice; pertanto non si vede quale ulteriore specifica deduzione avrebbero dovuto effettuare i ricorrenti nel motivo in esame oltre la puntuale denuncia della violazione delle norme sopra indicate.

Quanto poi alla eventuale possibilità di costituzione della R. e del D.S. all’udienza dell’8-10-2003, si rileva che a quella data ovviamente l’evidenziata nullità dell’atto di citazione in appello si era già verificata, cosicchè la loro costituzione in giudizio in occasione della suddetta udienza e la richiesta di rimessione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c. configurava una loro mera facoltà che, non essendo stata esercitata, non comportava certo la legittimità della declaratoria di contumacia degli appellati, come invece erroneamente disposto dalla Corte territoriale.

Dalle considerazioni che precedono consegue la declaratoria di nullità dell’intero processo di appello e quindi della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 50 ter, 132 e 281 quater c.p.c., R.D. n. 12 del 1941, art. 48 come modificato dal D.Lgs. n. 51 del 1998, art. 14 nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver dichiarato la nullità della sentenza di primo grado perchè pronunciata dal Presidente del Tribunale invece che dal Tribunale.

Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 889 e 1102 c.c. nonchè vizio di motivazione, assumono che erroneamente il giudice di appello ha escluso nella fattispecie l’operatività delle norme sulle distanze legali.

Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 889 e 1102 c.c. e vizio di motivazione, assumono che la sentenza impugnata ha deciso la controversia senza minimamente accertare la necessità del nuovo bagno installato dallo S. nel suo appartamento.

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Campobasso.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

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