Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13126 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25653-2014 proposto da:

M.M., Z.G. E ZU.GA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L. SETTEMBRINI 28, presso lo

studio dell’avvocato ULPIANO MORCAVALLO, che 11 rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Francesco Miraglia del foro di

Modena;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 286/2013 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 16/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. MAURA CAPRIOLI.

Fatto

Ritenuto che:

Con sentenza nr 286/2013 la CTR di Roma accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia della CTP di Roma nr 197/2011, con cui era stato accolto il ricorso presentato da M.M., Z.G. e Zu.Ga. nei riguardi dell’avviso di liquidazione delle imposte complementari di successione ed Invim emesso dall’Ufficio sulla base dell’accertamento iure successionis divenuto definitivo.

Il Giudice di appello rilevava la correttezza dell’operato dell’Ufficio, il quale aveva atteso il passaggio in giudicato della sentenza del 2.4.2007 nr 39 resa da altra CTR del Lazio nell’ambito del contenzioso promosso dai contribuenti avverso l’avviso di rettifica dei valori dichiarati dai medesimi in sede di denuncia di successione.

Osservava che il provvedimento impugnato era stato adottato sulla base di una decisione ben individuata nei suoi estremi essenziali e conosciuta ai contribuenti, in quanto emessa in relazione ad una pretesa ad essi ben nota sicchè non poteva dirsi compromessa la loro attività difensiva.

Avverso tale sentenza M.M., Z.G. e Zu.Ga. propongono ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo illustrato da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

Considerato che:

i contribuenti denunciano,con un unico articolato motivo, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1,primo e secondo periodo nonchè della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, e successive modificazioni, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 345, art. 34, comma 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Criticano infatti la decisione nella parte in cui ha ritenuto che la mancata allegazione di copia della sentenza non abbia compromesso in alcun modo l’attività difensiva dei contribuenti, in quanto ben consapevoli del contenuto della pretesa dell’Ufficio e dell’obbligo di saldare il loro annoso debito contratto iure successionis con il Fisco.

Sostengono di non avere avuto alcuna conoscenza della predetta decisione, ignorando l’avvenuta instaurazione del giudizio di appello con cui era stato accolto il gravame dell’Ufficio e quindi ritenuto legittimo l’avviso di rettifica e la congruità dei valori ivi indicati.

Affermano che tale circostanza, non contestata dall’Agenzia delle Entrate e data per acquisita anche dalla CTR, sarebbe stata a torto ritenuta dal giudice del gravame non rilevante a fronte della supposta contezza, da parte degli stessi, del complessivo “contenuto della pretesa dell’Ufficio”.

Evidenziano che tale assunto si pone in contrasto con le norme richiamate in rubrica che prescrivono, con riferimento ad ogni atto impositivo, l’onere dell’Amministrazione di allegare l’originale o la copia dell’atto procedimentale o a maggior ragione extra-procedimentale,il quale sia posto a supporto della pretesa impositiva.

Principio questo, sempre secondo la prospettazione di parte ricorrente, desumibile dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, primo e secondo periodo, anche in relazione all’obbligo di compiuta motivazione dei provvedimenti amministrativi di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 3.

Il motivo è infondato.

La questione introdotta dai contribuenti investe il contenuto motivazionale dell’atto di liquidazione emesso sulla base di una decisione presupposta richiamata per relationem e che gli stessi assumono non conosciuta per la mancata partecipazione degli stessi al giudizio di appello.

In questa prospettiva occorre ricordare che l’obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicchè, nel caso in cui l’avviso sia stata emesso in seguito a liquidazione effettuata in base ad una sentenza resa in un giudizio di cui i contribuenti siano stati parti, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a detta pronuncia perchè, essendo il contribuente già a conoscenza della medesima, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa.

Nel caso in esame è incontestato che i contribuenti avessero presentato ricorso avverso l’avviso di rettifica del valore dichiarato dei beni mobili ed immobili ricompresi nell’asse ereditario, ricorso che è stato accolto dell’adita CTP di Roma, con sentenza n. 239/1991 poi riformata, a seguito di impugnativa dell’Agenzia delle Entrate, dalla CTR di Roma con pronuncia nr 39 del 2007 che è divenuta irrevocabile in conseguenza dell’ordinanza di inammissibilità emessa da questa Corte in data 28.10.2010 nr 22103.

A seguito della definitività del titolo giudiziale l’Ufficio ha pertanto provveduto a notificare in data 6/5/2010 l’avviso di liquidazione dell’imposta complementare di successione, e relativi accessori, oggetto della presente impugnativa.

Si tratta di un provvedimento di mera liquidazione operato sulla base dei valori già accertati in via definitiva, per il quale nessun onere di allegazione poteva gravare sull’Amministrazione finanziaria trattandosi di una sentenza già nota in quanto, come si è detto, resa nell’ambito di un contenzioso del quale gli stessi contribuenti erano parti; senza che possa assumere alcun rilievo il prospettato vizio di irregolarità della notifica alla luce della decisione emessa da questa Corte con l’ordinanza nr 22103/2010.

Con essa infatti è stata esclusa la pretesa inesistenza della notifica dell’appello proposto dall’Ufficio ed è stato ritenuta presunta la conoscenza della pendenza del giudizio da parte dei contribuenti.

Correttamente pertanto la CTR ha ritenuto che l’atto di mera liquidazione fosse adeguatamente motivato con l’indicazione degli estremi della sentenza che rappresentava l’atto presupposto.

Coerentemente con quanto già affermato da questa Corte secondo cui l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notifica”. In particolare, deve ritenersi che lo Statuto del contribuente, art. 7, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327/2014).

Non pertinente è poi il richiamo all’art. 34 cit., che si riferisce all’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta che deve indicare i presupposti di fatto e di diritto in base al quale viene emesso.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri vigenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese di legittimità, che si liquidano in complessive Euro 2300,00 oltre spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. nr 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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