Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13124 del 24/06/2016

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2016, (ud. 06/05/2016, dep. 24/06/2016), n.13124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso R.G. n. 5262/13 proposto da:

Regione Molise, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende per legge;

– ricorrente –

contro

Smaltimenti Sud s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Gracchi 128,

presso l’avv. Valeria Biscardi, rappresentata e difesa dall’avv.

Giuseppe Biscardi giusta delega a mamme del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Molise

(Campobasso), Sez. 3, n. 92/03/12 del 12 giugno 2012, depositata l’11

dicembre 2012, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 6 maggio 2016

dal Relatore Cons. Dott. Raffaele Botta;

Uditi l’avv. Roberta Guizzi per la Regione Molise e l’avv.

Giuseppe Biscardi per la società controricorrente;

Udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento e irrogazione sanzioni con il quale la Regione Molise chiedeva il pagamento per l’anno 2001 del tributo speciale per il deposito di rifiuti solidi in discarica, per il quale l’ente locale lamentava il tardivo ed insufficiente versamento, drogando la relativa sanzione ai sensi della L.R. n. 1 del 2003, che la società contribuente escludeva potesse ritenersi retroattiva.

La Commissione adita accoglieva il ricorso, annullando l’atto impositivo ed affermava anche l’irretraoattività delle L.R. n. 1 del 2003.

L’appello della Regione era rigettato con la sentenza in epigrafe, la quale, affermando di condividere il ragionamento sviluppato dal giudice di prime cure, riteneva viziato per difetto di motivazione l’atto impugnato e quanto alle sanzioni irrogate richiamava il principio stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 9865 del 2011 adeguando allo stesso la propria decisione.

Avverso tale sentenza la Regione propone ricorso con due motivi.

Resiste la società contribuente con controricorso, illustrato anche con memoria.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto privo di argomentazioni critiche che, individuata la ratio decidendi, ne facciano emergere la supposta irragionevolezza: in buona sostanza potrebbe anche dirsi che l’intero ricorso si risolve nella mera riproduzione della sentenza impugnata.

2. Con un primo motivo l’ente locale afferma di aver precisato in appello che l’atto impositivo era sottoscritto dal “Dirigente Responsabile del Servizio Politiche finanziarie e tributarie” della Regione, così censurando, a suo avviso, “l’unico vizio che poteva portare all’annullamento” del predetto atto, quanto al tributo e agli interessi: ma il giudice di merito non ha esaminato la censura dedotta, pronunciando nel merito e “cadendo in nullità”, “come da motivazione qui riprodotta”.

2.1. In primo luogo va rilevato come non sia affatto dimostrato, per difetto di autosufficienza del ricorso, che n dubbio sull’identità di chi avesse sottoscritto l’atto impositivo fosse stato formulato tra i motivi del ricorso originario della società contribuente e che avesse avuto positiva e decisiva valutazione da parte del giudice di prime cure (il ricorso riporta la sentenza di appello, e non quella di primo grado, nè riporta il contenuto del ricorso di primo grado, nè quello dell’atto d’appello nella parte in cui avrebbero dovuto contenere la censura della quale si discute).

2.2. In secondo luogo dire che il giudice d’appello sia “caduto in nullità” è un’affermazione tautologica non sostenuta da alcuna argomentazione: è evidente che tale funzione non può essere in alcun modo assolta dalla mera riproduzione del testo della sentenza impugnata.

3. Con un secondo motivo, si deduce, dichiaratamente in via subordinata, che la sentenza impugnata non esporrebbe “alcuna ragione di fatto e diritto a sostegno dell’annullamento quanto a tributo e interessi, con palese nullità”.

3.1. L’infondatezza della censura emerge a tutto tondo dalla semplice lettura della sentenza impugnata, integralmente riportata nel ricorso: il giudice d’appello espone diverse argomentazioni in ordine ad es. al difetto di motivazione dell’atto impositivo al quale ricollega le ragioni di nullità del medesimo, senza che nel ricorso in esame venga in proposito sviluppata alcuna adeguata censura.

3.2. Corretta e poi la soluzione adottata in materia di sanzioni sulla base di un principio di questa Corte (Cass. n. 9865 del 2011), che ha trovato conferma anche in più recente pronuncia peraltro concernente analoga controversia tra le stesse parti (Cass. n. 17245 del 2013).

4. Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessivi Euro 7.000,00 oltre oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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