Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13123 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6146/13 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis

Ricorrente

Contro

B.L.

Intimata

avverso la sentenza n. 21/01/12 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata in data 16.01.2012, non notificata;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita

d’Angiolella nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.

Fatto

RILEVATO

che:

A seguito di verifica della Guardia di finanza di Viterbo, veniva riscontrato che B.L., titolare della ditta individuale Euroclima 2000 di B.L., aveva omesso di presentare, per gli anni 2001-2002, la dichiarazione dei redditi nonchè la dichiarazione Iva, sicchè, previa notifica dei prospetti delle movimentazioni bancarie di cui all’accertamento, la stessa veniva invitata al contraddittorio per giustificare, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, e del D.P.R.26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, dette movimentazioni e accertamenti.

Seguiva, dunque, il processo verbale di constatazione e la notifica di due avvisi di accertamento rispettivamente relativi alle annualità 2001 e 2002, con i quali l’Amministrazione finanziaria, stante la mancata giustificazione delle operazioni contestate, rideterminava il reddito d’impresa recuperando Iva, Irpef ed Irap.

La contribuente impugnava gli avvisi di accertamento con distinti ricorsi che, riuniti, venivano accolti in prime cure con l’annullamento degli avvisi.

La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente il successivo appello proposto dall’Agenzia delle entrate condividendo l’assunto dei primi giudici circa l’estraneità della contribuente all’attività della ditta Euroclima 2000.

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione regionale di cui in epigrafe, che affida a due motivi.

La contribuente rimane intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Dagli atti risulta che il ricorso in cassazione è stato notificato a mezzo posta in data 4 marzo 2013 presso il domicilio eletto da B.L. in seno al giudizio di merito (presso l’avv.to Rubini Maurizio in Via Einaudi, n. 8, Viterbo), nonchè all’indirizzo di residenza della stessa B.L., in Viterbo alla Via Fiume, 89.

Il ricorso è dunque tempestivo essendo stato proposto nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, trattandosi di giudizio instaurato prima del 4 luglio 2009 (termine dal quale opera la modifica del termine lungo d’impugnazione come introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17). Nello specifico, poichè la sentenza impugnata è stata depositata in data 16 gennaio 2012 e poichè il giorno di scadenza di un anno e quarantasei giorni (L. n. 742 del 1969, art. 155, comma 1 e art. 1, comma 1) cade di domenica (3 marzo 2013), il termine si sposta al giorno feriale successivo, con scadenza, dunque, al 4 marzo 2013, giorno in cui il ricorso è stato notificato.

2. Col primo motivo di ricorso, l’Amministrazione erariale deduce la violazione di legge e segnatamente del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, commi 1 e 4, e art. 32, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, per aver i secondi giudici erroneamente interpretato l’ambito applicativo D.P.R. cit., art. 37, annullando l’accertamento senza considerare che, per espressa previsione di legge, il soggetto interposto resta soggetto alle obbligazioni tributarie discendenti dalla sua posizione formale e, dunque, per aver annullato l’avviso sul solo presupposto che B.L. fosse una semplice prestanome; la ricorrente deduce che l’interposizione fittizia (per simulazione relativa) non esaurisce l’ambito di applicazione della norma in questione, essendo peraltro l’interponente legittimato a proporre istanza di rimborso per i redditi pagati ed imputati ad altro contribuente.

2.1. Col secondo motivo, la ricorrente lamenta il vizio di motivazione nella parte in cui i secondi giudici non hanno argomentato circa gli elementi indiziari emergenti dagli atti, non

essendo stati considerati una serie d’indizi addotti

dall’Amministrazione erariale (in particolare le dichiarazioni di B.L. e di suo cognato, sig. Calvani, formulate in sede di contraddittorio endoprocedimenatle), volti a disvelare lo scopo elusivo.

3. Entrambi i motivi di ricorso sono fondati. Essi si esaminano congiuntamente stante la loro connessione logica e giuridica.

4. Dalla lettura della motivazione della sentenza qui gravata, emerge che le ragioni del rigetto della pretesa erariale relativamente all’annualità 2003 (per il 2002, invece, i secondi giudici confermano la legittimità del relativo avviso) si fondano sul rilievo essenziale che la B. non era altro che un prestanome dell’effettivo titolare della ditta, individuato dalla Guardia di finanza di Viterbo nelle persona di F.V., sicchè la stessa non aveva alcun onere “di produrre ulteriore documentazione a sostegno della propria asserita estraneità alla ditta in quanto la stessa Guardia di finanza ha rilevato l’effettiva riferibilità dell’azienda ad un soggetto terzo”, per provare l’assoluta riferibilità dell’attività della ditta alla B..

4.1. Risulta dagli atti che la pretesa tributaria dell’Amministrazione erariale trova fondamento nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, norma che regola la disciplina antielusiva dell’interposizione prevedendo l’imputabilità al contribuente dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti (cd. simulazione relativa per interposizione fittizia di persona), sempre che sia dimostrato “anche sulla base di presunzioni, gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.

5. Con riferimento a tale disciplina questa Corte ha evidenziato che essa non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale proprio dell’operazione economica sostanziale programmata e realizzata (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 21952 del 28/10/2015, Rv. 637004-01; Sez. 5, Sentenza n. 25671 del 15/11/2013, Rv. 628458-01); è stato soggiunto che, proprio in quanto non presuppone un comportamento fraudolento, il fenomeno della simulazione relativa non esaurisce l’ambito di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 17128 del 28/06/2018, Rv. 649608-01) nelle quali “difetta del tutto l’elemento caratteristico dei negozi simulati costituito dalla divergenza tra la dichiarazione esterna e l’effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il negozio apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso dalle parti (dissimulato)” (cfr. Sez. 5, Ordinanza 05/12/2018, n. 31452).

5.1. In sintesi di tali esiti, può dunque concludersi che secondo l’interpretazione unanime di questa Corte, l’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 imputa al contribuente i redditi formalmente intestati ad un altro soggetto quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, egli ne risulti l’effettivo titolare, senza distinguere tra interposizione fittizia e reale, sicchè la sua applicazione non è limitata alle sole operazioni simulate (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 15830 del 29/07/2016, Rv. 640621-01).

6. Alla luce di tali principi, non pare, dunque, che la Commissione tributaria regionale abbia individuato correttamente l’ambito di applicazione della norma in questione, avendo escluso l’imputazione diretta alla contribuente dei redditi in titolarità a terzi per l’anno 2003 sul rilievo – erroneo – che la stessa fosse una prestanome, senza indagare sull’effettiva disponibilità dei redditi giuridicamente attribuiti al terzo e senza considerare che la disciplina antielusiva dell’interposizione di cui al D.P.R. cit., non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta (cfr. Sez. 5, Ordinanza 05/12/2018, n. 31452).

6.1. Nella specie, l’uso improprio di legittimi strumenti giuridici, sarebbe comprovato – secondo la prospettazione erariale – dagli accertamenti bancari effettuati dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. cit., art. 32, di cui, però, alcuna verifica, in termini di rilevanza, hanno effettuato i giudici di secondo grado. D’altro canto seppur tale verifica i secondi giudici avessero compiuto, di essa non v’è traccia nell’iter motivazionale seguito per la decisione di accoglimento parziale dell’appello.

6.2. Ed infatti, l’erronea interpretazione restrittiva del precetto normativo da parte del giudice di appello ha impedito di valutare correttamente anche la rilevanza probatoria delle risultanze processuali fondate su elementi diversi dall’accordo simulatorio relativo (dichiarazioni della contribuente e del di lei cognato; atto di delega deal sig. F. ad operare sul conto corrente bancario intestato alla ditta) e comunque idonei secondo la tesi dell’Amministrazione illustrata nell’avviso di accertamento (ritualmente trascritto in ricorso), a realizzare il risultato elusivo quale l’eventuale imputabilità al soggetto terzo (il sig. F.) delle violazioni accertate con il p.v.c.

6.3. Peraltro, con riguardo agli accertamenti bancari ed al regime probatorio che ne deriva, questa Corte ha da tempo chiarito che “qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili” (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 18081del 04/08/2010,Rv. 615112-01;Sez. 5, Sentenza n. 15857del 29/07/2016,Rv. 640618-01;Sez. 5, Ordinanza n. 24422 del 05/10/2018, Rv. 650526-02).

In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi su esposti e provveda altresì a statuire in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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