Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13123 del 24/06/2016

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2016, (ud. 06/05/2016, dep. 24/06/2016), n.13123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso R.G. n. 27523/12 proposto da:

Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via delle Quattro Fontane 31, presso l’avv.

Francesco Fratini, rappresentata e difesa dall’avv. Andrea

Cimmino giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Pontina Ambiente s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Bruno Buozzi 49,

presso l’avv. Alessandro Riccioni, rappresentata e difesa dettava.

Prof. Gianfrancesco Vecchio giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

(Roma), Sez. 21, n. 166/21/11 del 25 ottobre 2011, depositata il 30

novembre 2011, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 6 maggio 2016

dal Relatore Cons. Dott. Raffaele Botta;

Uditi l’avv. Andrea Cimmino per la Regione Lazio e l’avv.

Alessandro Riccioni per delega dell’avv. Gianfrancesco Vecchio

per la società controricorrente;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per raccoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne due atti di accertamento e irrogazione di sanzioni per tardivo pagamento del tributo speciale per il deposito in discarica per il terzo e quarto trimestre 2004.

La Commissione adita accogliendo un’eccezione della società contribuente rimetteva la causa alla Corte di Giustizia la quale, con sentenza del 25 febbraio 2010 in causa C-172/08, affermava la conformità del tributo al diritto comunitario, stabilendo che:

“L’art. 10 della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti, come modificata dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1882, dev’essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto della causa principale, che assoggetta i gestori delle discariche ad un tributo che deve essere loro rimborsato dalle amministrazioni locali che depongano rifiuti nelle discariche, e che prevede sanzioni pecuniarie nei confronti dei gestori in caso di versamento tardivo del tributo, a condizione, tuttavia, che tale normativa sia accompagnata da misure volte a garantire che il rimborso del tributo medesimo avvenga effettivamente e a breve termine e che tutti i costi connessi al recupero e, in particolare, i costi derivanti dal ritardo nel pagamento delle somme a tal titolo dovute dalle amministrazioni locali ai gestori medesimi, ivi comprese le sanzioni pecuniarie eventualmente inflitte a questi ultimi in ragione del ritardo, vengano ripercossi nel prezzo che le amministrazioni stesse sono tenute a corrispondere ai gestori”.

Su questa base il ricorso della società contribuente era rigettato dalla Commissione provinciale affermando quest’ultima che incombeva al legislatore far si che il diritto di rivalsa del gestore potesse essere concretamente esercitato e rilevando che nel giudizio mancava la prova che l’omesso versamento alla Regione dipendesse effettivamente da un mancato tempestivo esborso del relativo importo da parte dei Comuni. La Commissione regionale andava di diverso avviso ed accoglieva l’appello della società contribuente ritenendo che nella fattispecie vi fosse quel contrasto tra normativa nazionale e normativa comunitaria, che il primo giudice non aveva ravvisato.

Avverso tale sentenza la Regione Lazio propone ricorso per cassazione con due motivi. La società contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, l’ente locale denuncia la carenza di motivazione della sentenza impugnata, in quanto consistente nella enunciazione di una serie di principi che il giudicante – travisando peraltro la sentenza della Corte di Giustizia resa inter partes – ha ritenuto di trarre dal diritto comunitario e, quindi, sulla base di questa sola enunciazione accogliere l’appello. Dalla motivazione, invero, afferma la parte ricorrente, non si riesce a comprendere in che termini, per quali motivi e sotto quali profili il diritto interno sia in contrasto con i principi comunitari in materia di discariche e di ritardato pagamento riportati nella sentenza.

1.1. Il motivo è fondato. A seguire il ragionamento quel che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare non era la compatibilità tra tributo e sanzioni irrogate con la normativa comunitaria, compatibilità già autorevolmente affermata dalla Corte di Giustizia, bensì il concreto esercizio del diritto di rivalsa, stante anche il fatto che il primo giudice aveva rigettato l’impugnazione della contribuente proprio in ragione, come già detto, della mancata prova che l’omesso versamento alla Regione dipendesse effettivamente da un mancato tempestivo esborso del relativo importo da parte dei Comuni.

1.2. In realtà il giudicante non precisa quali fossero nel caso di specie i tempi di rimborso del tributo al gestore, nè precisa se n ritardo del gestore fosse effettivamente imputabile al supposto ritardo delle amministrazioni locali.

1.3. In buona sostanza la motivazione della sentenza impugnata si manifesta in una mera apparenza, costituita com’è da una serie di enunciazioni astratte prive di un ragionevole collegamento logico.

2. Con il secondo motivo, la Regione denuncia la violazione di una serie di norme (L. n. 549 del 1995, art. 3, art. 101 Cost., artt. 1218, 1219, 1223, 1224 e 2056 c.c., art. 633 c.p.c. e segg., L. n. 231 del 2002, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, L.R. Lazio n. 42 del 1998) nonchè dei principi che regolano i rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno e quelli che disciplinano la responsabilità del debitore per tardivo pagamento.

2.1. La fondatezza del motivo emerge con chiarezza da quanto questa Corte ha avuto modo di affermare con riferimento a fattispecie analoga a quella che qui ci occupa e alla sentenza della Corte di Giustizia del 25 febbraio 2010 in causa C-172/08.

2.2. E’ stato autorevolmente sostenuto, afferma la Corte di cassazione nella sentenza n. 13463 del 2012, che “il principio “chi inquina paga” (recepito nell’Atto Unico Europeo del 17.2.1986 con la conseguente introduzione nel Trattato dell’art. 130R, Secondo la numerazione dell’epoca, oggi divenuto art. 174, in cui le esigenze connesse con la salvaguardia dell’ambiente sono elevate al rango di componente delle politiche della Comunità) ha una funzione essenzialmente programmatica e non costituisce norma direttamente applicabile, giacchè esso non specifica dettagliatamente il contenuto delle obbligazioni poste in capo ai responsabili, tanto che la sua capacità normogenetica è stata ricondotta alla sola materia della riparazione del danno. La stessa Corte di Giustizia Europea ha recentemente confermato (sez. 2, sentenza 25.2.1010 causa C-172/08) che – pur essendo tenuti gli stati membri ad adottare misure affinchè tutti i costi derivanti dall’impianto e dall’esercizio della discarica siano coperti dal prezzo applicato dal gestore per lo smaltimento di qualsiasi tipo di rifiuti nella discarica medesima (secondo la espressa previsione dell’art. 10 della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31) – la anzicitata norma non impone agli stati membri alcun metodo specifico per quanto attiene al finanziamento dei costi delle discariche, sicchè tale finanziamento può – a scelta dello stato membro interessato – essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità. A maggior ragione, la discrezionalità del legislatore nazionale non può non rimanere integra anche in riferimento all’identificazione dell’eventuale presupposto di imposta e della base imponibile, non competendo all’ordinamento comunitario se non una facoltà di verifica del raggiungimento del complessivo risultato identificato nel predetto art. 10, e cioè l’integrale assolvimento del costo delle discariche con il prezzo applicato per lo smaltimento. In sostanza, se la disciplina contenuta nella direttiva impone il raggiungimento di un complessivo risultato, essa non impone anche le modalità specifiche per il perseguimento del predetto risultato, assicurando che in quest’ambito gli stati membri restino provvisti della propria discrezionalità, e salvo il limite (espressamente imposto dall’interpretazione del predetto art. 10 adottata dalla dianzi menzionata sentenza della Corte di Giustizia) che ove il costo sia coperto con un tributo posto a carico del gestore della discarica – quest’ultimo debba potersi rivalere effettivamente ed in breve termine sull’ente locale cui è riferibile il comportamento inquinante”.

3. La sentenza impugnata è fondata esclusivamente sulla interpretazione di una direttiva comunitaria – la n. 2011/7/UE – che non esisteva al tempo in cui fu pronunciata la sentenza della Corte di Giustizia 25 febbraio 2010, affermando, senza che ve ne sia alcuna convincente dimostrazione, che quest’ultima costituisca un’anticipazione della normativa dalla prima disposta. Con questa “guida ideale” la sentenza impugnata analizza le norme istitutive del tributo speciale per il deposito in discarica, affermandone l’incompatibilità con la normativa comunitaria perchè in esse non sarebbe prevista la possibilità del gestore di rivalersi effettivamente ed In breve termine sull’ente locale conferente i rifiuti, dimenticando, tuttavia, che le stesse norme, erano già state oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia e ne era stata riconosciuta la compatibilità con le direttive vigenti.

Sicchè le ragioni di (eventuale) incompatibilità andavano ricercate nel sistema che nel diritto interno regola i rapporti di debito e credito tra privati e pubbliche amministrazioni mediante una esegesi complessiva condotta con una metodologia capace di assicurare una interpretazione del sistema stesso che possa definirsi comunitariamente conforme.

4. Altro è la (peraltro necessaria) valutazione circa la diretta imputabilità dell’inadempimento della società gestrice al pagamento del tributo ai ritardi degli enti conferitori nell’adempimento delle loro obbligazioni: semprechè sia sostenibile che tali ritardi possano costituire una legittima esimente per l’inadempimento della società gestrice nel pagamento del tributo nel termine per ciò previsto.

4.1. La sanzione, in verità, è (esclusivamente e) direttamente riferibile ad un comportamento del gestore che consiste nel mancato rispetto del termine ad esso imposto dalla legge di pagare il tributo del quale è soggetto passivo immediato, indipendentemente dall’azione di rivalsa (che può anche concernere la sanzione se connessa ad un eventuale ritardo del soggetto conferitore nell’adempimento delle proprie obbligazioni), azione i cui tempi di esercizio (ai fini della considerazione della tempestività) sono in definitiva rimessi al gestore stesso.

5. Pertanto il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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