Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1312 del 22/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1312 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 21743-2010 proposto da:
CICCARELLI LUCA C.F. CCCLCU74R061804Y, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DI CAMPO MARZIO 69, presso
lo studio dell’avvocato D’ALESSANDRO VINICIO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
2970

contro

CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A. C.F. 01677750158,

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 27,
presso lo studio dell’avvocato MAGNI FRANCESCO

Data pubblicazione: 22/01/2014

ALESSANDRO, che la rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

CICCONE GIUSEPPE;

avverso la sentenza n. 822/2010 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 25/06/2010 R.G.N.
811/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/10/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato D’ALESSANDRO VINICIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

– intimato –

R. Gen. N. 21743/2010
Udienza 22/10/2013
Ciccarelli Luca c/ Ciccone Giuseppe +1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello, giudice del lavoro, di L’Aquila, con sentenza n. 822/2010
del 25/6/2010, decidendo sull’appèllo proposto da Luca Ciccarelli nei confronti di

Ciccone) nonché sull’appello incidentale proposto da quest’ultima società,
confermava la pronuncia del Tribunale di Pescara che aveva rigettato la domanda del
Ciccarelli diretta ad ottenere il riconoscimento del suo diritto al pagamento della
somma di euro 1.321.183,00 a titolo di danno biologico differenziale, danno morale e
danno alla vita di relazione in relazione all’infortunio sul lavoro occorsogli in data
3/12/2001, mentre si trovava alla guida di un autoarticolato, essendo addetto al
trasporto di un carico di ferro diretto in una località in provincia di Arezzo, ed a
seguito del quale aveva riportato lesioni gravissime. Riteneva la Corte territoriale
che, conformemente a quanto sul punto deciso dal Tribunale, fosse da escludere una
responsabilità civile addebitabile al Cecconi sotto entrambi i profili dedotti in sede di
ricorso introduttivo e cioè sotto quello della cattiva manutenzione dell’automezzo e
sotto quello dell’omessa informazione all’autista delle strade da percorrere. Quanto
al primo, evidenziava come la consulenza tecnica svolta in sede penale avesse
escluso che il sistema frenante dell’autoarticolato, pur non ottimale, avesse
un’efficienza inferiore ai limiti previsti per la revisione ed avesse altresì accertato
che lo spessore dei ferodi era sufficiente a garantire un’adeguata frenatura. Quanto al
secondo, riteneva che l’obbligo del datore di lavoro esercente un’impresa di
autotrasporto non potesse spingersi fino a richiedergli di accertare le caratteristiche
delle strade al fine di consigliare l’utilizzo di quella meno pericolosa. Evidenziava
che il sinistro in questione non si sarebbe verificato se l’autista avesse operato

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Giuseppe Ciccone e della Carige Assicurazioni S.p.A. (chiamata in garanzia dal

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Udienza 22/10/2013
Ciccarelli Luca c/ Ciccone Giuseppe +1

correttamente, ossia evitando frenate ripetute ed utilizzando le marce basse adeguate,
comportamento questo che aveva determinato il surriscaldamento delle parti di attrito
ed una perdita di aria compressa sul circuito frenante che avevano reso lo stesso

Per la cassazione di tale sentenza Luca Ciccarelli propone ricorso affidato ad un
unico articolato motivo.
Resiste con controricorso la Carige Assicurazioni S.p.A..
Giuseppe Ciccone è rimasto solo intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione
dell’art. 2087 cod. civ., degli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 626/1994, dell’art. 1218 cod.
civ. nonché contraddittorietà della motivazione”. Si duole del fatto che la Corte
territoriale abbia ritenuto di fatto sussistente nel caso di specie una sorta di rischio
elettivo, intendendosi per tale – a mente di Cass. 22 febbraio 2012, n. 2642 – quello
che, estraneo e non attinente all’attività lavorativaYdOvuto ad una scelta arbitraria del
lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi
personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo
così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. Ciò
peraltro in contrasto con il riconoscimento da parte dell’I.N.A.I.L. dell’infortunio sul
lavoro. Si duole del fatto che la Corte territoriale, pur avendo riscontrato il
funzionamento del 68% dell’impianto frenante del trattore, e dunque un
funzionamento non ottimale, non ha tratto da tale circostanza le dovute conseguenze.
Rileva che, come evidenziato dal c.t.u., tale funzionamento non ottimale aveva

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inefficiente.

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comportato che il rimorchio, invece di rallentare la corsa un attimo prima del trattore,
aveva esercitato su quest’ultimo una spinta, compromettendone la traiettoria.
2. Il motivo non è fondato.

indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si
assumono in contrasto con le disposizioni indicate o con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. Come è noto,
infatti, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata
da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo
della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge
assegnata alla Corte di cassazione). Viceversa, l’allegazione – come prospettato da
parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta o meglio
di una erronea valutazione dei fatti come ricostruiti, è esterna alla esatta
interpretazione delle norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice
del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità sotto l’aspetto del vizio di
motivazione.
Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a
causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea
applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della
fattispecie concreta – è segnato in modo evidente, atteso che solo quest’ultima
censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze
di causa (recentemente, in termini, specie in motivazione, Cass. 6 marzo 2012, n.

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Si rileva innanzitutto un profilo di inammissibilità mancando una chiara

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3455; id. 30 gennaio 2012, n. 1312; 27 settembre 2011, n. 19748; 6 agosto 2010, n.
18375, tra le tantissime).
In ogni caso, non si rilevano nella decisione impugnata errori di diritto avendo la

Come è noto, infatti, il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per
il risarcimento del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro, seppure non debba
provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta
dall’art. 1218 cod. civ. è pur sempre onerato, in base al principio generale affermato
da Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533, della prova del fatto costituente
l’inadempimento e del nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno
(cfr. Cass. 19 luglio 2007, n. 16003). Infatti, soltanto “una volta provato
l’inadempimento consistente nell’inesatta esecuzione della prestazione di sicurezza
nonché la correlazione fra tale inadempimento ed il danno, la prova che tutto era
stato approntato ai fini dell’osservanza del precetto dell’art. 2087 cod. civ. e che gli
esiti dannosi erano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile deve
essere fornita dal datore di lavoro” (v. Cass. 8 maggio 2007, n. 10441). La prova
liberatoria a carico del datore di lavoro va, poi, generalmente correlata alla
quantificazione della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle misure
di sicurezza, imponendosi, di norma, allo stesso l’onere di provare l’adozione di
comportamenti specifici i quali, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra
fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli
“standard” di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti
analoghe (Cass. 24 febbraio 2006, n. 4148; id. 25 maggio 2006, n. 12445; 24 luglio
2006, n. 16881; 27 luglio 2010, n. 17547).

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Corte territoriale fatto corretta applicazione delle regole poste dall’art. 2087 cod. civ..

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Nel caso in questione, il ricorrente si duole innanzitutto della ricostruzione della
condotta di guida del Ciccarelli come operata dalla Corte territoriale, ricostruzione
che a suo dire non trovava riscontro nei fatti accertati giudizialmente.

manutenzione continuo e costante, ritenendolo circoscritto all’effettuazione delle
revisioni legali ordinarie e straordinarie e che non abbia attribuito rilevanza alla
mancata informazione in ordine alla sicurezza e pericolosità delle strade,
evidenziando che le condizioni del mezzo avrebbero sconsigliato l’uso del veicolo in
un tratto collinare caratterizzato da una serie di saliscendi come quello tra Arezzo e
San Quirico d’Orcia.
Quanto al primo rilievo, va ricordato che la deduzione con il ricorso per
cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al
Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale,
bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica
delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte
di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie,
sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel
sollecitare una lettura delle emergenze processuali diversa da quella accolta dal
Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; id. 13 gennaio
2011, n. 313; 3 gennaio 2011, n. 37; 3 ottobre 2007, n. 20731; 21 agosto 2006, n.
18214; 16 febbraio 2006, n. 3436; 27 aprile 2005, n. 8718).
Né è possibile far valere con il vizio di motivazione la rispondenza della
ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della
parte e, in particolare, prospettare un preteso migliore e più appagante coordinamento

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Lamenta, inoltre, che la Corte abbia considerato irrilevante un obbligo di

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dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di
discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti,
attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso
formativo di tale convincimento (così Cass. 26 marzo 2010, n. 7394).

In buona sostanza, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito
dall’art. 360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., non equivale alla revisione del
“ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad
una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione,
in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente
in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata
dall’ordinamento al giudice di legittimità.
La valutazione, poi, delle risultanze probatorie come la scelta di quelle ritenute
più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al
giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte
di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le
ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo
elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente
disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono
logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412;
id. 26 febbraio 2007, n.4391; 27 luglio 2007, n. 16346).
Tanto precisato, va osservato che, nella specie, le valutazioni delle risultanze
probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logicoargomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non
(

presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

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Inoltre, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, la Corte territoriale ha
debitamente considerato tutte le circostanze emerse nell’ambito della ricostruzione
fattuale dell’infortunio occorso al Ceccarelli.

sussistente ovvero escludere la responsabilità del datore di lavoro.
Invero, la Corte territoriale, con motivazione corretta sotto il profilo giuridico e
congruamente articolata, ha ritenuto che non potesse configurarsi una responsabilità
civile a carico del datore di lavoro sotto il duplice profilo della cattiva manutenzione
dell’automezzo affidato al lavoratore e dell’omessa informazione di adeguate notizie
all’autista in ordine alle strade da percorrere.
Quanto al primo aspetto ha valorizzato le circostanze, emerse dalla consulenza
tecnica svolta in sede penale, che il sistema frenante dell’autoarticolato, pur non
ottimale, avesse un’efficienza superiore ai limiti previsti per la revisione e che lo
spessore dei ferodi fosse idoneo a garantire un’adeguata frenatura. Così ha ritenuto
che l’inefficienza del sistema frenante determinatasi nel caso concreto non fosse
imputabile alle condizioni del sistema stesso bensì ad una condotta di guida non
appropriata, caratterizzata da frenate ripetute, dal mancato utilizzo delle marce basse
e del freno motore. Quanto al secondo aspetto, ha ritenuto che l’obbligo del datore di
lavoro esercente un’impresa di autotrasporto non potesse spingersi fino a richiedergli
di accertare le caratteristiche delle strade al fine di consigliare l’utilizzo di quella
meno pericolosa. Sotto entrambi i profili, dunque, la diligenza esigibile è stata
correttamente misurata in relazione a quello che si poteva pretendere dal datore di
lavoro nel caso concreto in cui l’automezzo (avente una efficienza del sistema
frenante pari al 68% e, dunque, superiore ai limiti richiesti dalla normativa per la

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Diverge, evidentemente, il giudizio sulla valenza delle stesse al fine di ritenere

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revisione degli autoveicoli) era stato affidato a chi, in ragione delle conoscenze e
competenze connaturate alla qualifica di autista, avrebbe dovuto porre in essere una
condotta di guida consona rispetto alla tipologia del mezzo stesso ed alle condizioni

autonomamente il percorso consigliabile.
Le suddette considerazioni reggono alle censure del ricorrente sol che si
consideri che la diligenza richiesta è, come detto, esclusivamente quella esigibile per
essere l’infortunio ricollegabile ad un comportamento colpevole del datore di lavoro,
alla violazione di un obbligo di sicurezza, alla mancata predisposizione di misure
idonee a prevenire ragioni di danno per i propri dipendenti. Così, come non può
accollarsi al datore di lavoro l’obbligo di garantire un ambiente di lavoro a “rischio
zero” quando di per sé il rischio di una lavorazione o di una attrezzatura non sia
eliminabile, egualmente non può pretendersi l’adozione di accorgimenti per
fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili. Diversamente
vi sarebbe una responsabilità oggettiva in quanto attribuita quando la diligenza
richiesta sia stata già soddisfatta (al pari del caso in cui una prestazione sia
ineseguibile o la diligenza richiesta non sia più esigibile). Si veda anche la recente
Cass. 17 aprile 2012, n. 6002 secondo cui: “L’obbligo di prevenzione di cui all’art.
2087 c.c., che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, impone al datore
di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge
in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla
comune prudenza, ma anche tutte le altre che in concreto si rendano necessarie per la
tutela del lavoratore in base all’esperienza e alla tecnica; tuttavia, da detta norma non
può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela

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della strada da percorrere ed avrebbe altresì dovuto essere in grado di valutare

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possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di
ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia
verificato, occorrendo invece che l’evento sia riferibile a sua colpa, dal momento che

di lavoro”.
Ne deriva che l’infortunio di cui trattasi, ancorché indennizzabile (ed
indennizzato), non è, tuttavia, risarcibile.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
4. Sussistono giusti motivi, in considerazione a della natura delle questioni
trattate e della peculiarità fattuale della controversia in esame, per compensare – tra le
parti costituite – le spese del presente giudizio di cassazione.
Nulla va disposto per le spese nei confronti di Giuseppe Ciccone che non ha
svolto attività difensiva, in questa sede.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese nei confronti della Carige
Assicurazioni S.p.A.; nulla per le spese nei confronti di Giuseppe Ciccone.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2013.

la colpa costituisce, comunque, elemento della responsabilità contrattuale del datore

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