Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13118 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CASTORINA Rosaria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6175-2013 proposto da:

DIVA DISTRIBUZIONE VENDITE ALIMENTARI SRL, elettivamente domiciliato

in ROMA VIA SICILIA 66, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO

FANTOZZI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FRANCESCO GIULIANI, ROBERTO ALTIERI, EDOARDO BELLI CONTARINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 168/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 12/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– D.I.V.A. Distribuzione Srl (di seguito, la contribuente o la ricorrente) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR), depositata il 12 luglio 2012, di accoglimento parziale dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004 per Ires, Iva e Irap;

– dall’esame della sentenza di appello, per quanto ancora rileva in questa sede, si evince che l’Ufficio aveva rettificato in aumento il reddito di impresa dichiarato dalla contribuente, esercente distribuzione e vendite alimentari, elevando, all’esito dell’analisi a campione delle fatture (48 su 1878), la percentuale di ricarico;

– nel confutare i motivi di gravame, la CTR riteneva che il campione di fatture preso in esame, individuate dalla stessa contribuente, era significativo, in quanto attinente agli acquisti e vendite di maggiore rilevanza che coprivano l’80% del fatturato;

– nel calcolo del ricarico medio ponderato globale era stato seguito un metodo statistico noto e convalidato che consentiva di accertare il ricarico per ogni fornitore attraverso l’applicazione di formule matematiche (riportate nell’accertamento);

– il metodo adottato costituiva una presunzione per pervenire all’accertamento del maggior ricavo rispetto a quello dichiarato (Euro 5.751.396,45 rispetto ad Euro 5.611.418,72);

– il ricorso è affidato a tre motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia la ” violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 e dell’art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”;

– evidenzia che l’applicazione del metodo statistico adottato dall’ufficio e ritenuto corretto dalla CTR costituiva una presunzione che, da sola, in assenza di ulteriori riscontri e in considerazione di uno scostamento non grave a fronte di una contabilità regolarmente tenuta, era insufficiente ai fini della dimostrazione dei maggiori ricavi in capo alla società ricorrente;

– richiama sul punto la giurisprudenza che attribuisce natura di presunzione semplice agli scostamenti derivanti dalla mera applicazione di criteri statistico-matematici e ribadisce l’esiguità delle fatture prese a campione;

– la censura è infondata;

– infatti, ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzioni siano plurimi, benchè l’art. 2729 c.c., comma 1, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, art. 39, comma 4, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, si esprimano al plurale, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un unico elemento, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico, non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia sorretto, come nella specie, da una adeguata motivazione che sia immune da contraddittorietà (Cass. n. 17574 del 29/7/2009; Cass. n. 656 del 15/1/2014; Cass. n. 2155 del 25/1/2019);

– la CTR ha dato atto che le fatture prese in esame a campione costituivano un segmento importante del fatturato ed erano state individuate in accordo con il rappresentante della contribuente;

– pertanto, essendo stato instaurato il contraddittorio endo-procedimentale “il quale consente all’Amministrazione di conoscere e considerare le specifiche caratteristiche dell’attività esercitata e di adeguare il risultato dell’applicazione dei parametri alla particolare situazione dell’impresa o della professione esercitata”, la CTR nella libera valutazione delle risultanze probatorie, ha accertato in fatto che il ricarico medio ponderato globale era stato ricavato secondo criteri matematici noti e validati applicati in modo oggettivo alla concreta realtà aziendale;

– il metodo seguito nel caso di specie, quindi, non discende da elaborazioni statistiche ricavate dal settore merceologico, ma dalle rilevazioni effettuate in sede di verifica;

– la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto legittimo, ai fini della presunzione di ricavi superiori a quelli contabilizzati ed assoggettati ad imposta, il ricorso al metodo del ricarico medio, a condizione che sia operato su un inventario generale delle merci, o comunque su un campione di merci rappresentativo ed adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo, e corrisponda alla media ponderale, quando tra i vari tipi di merce esista una significativa differenza di valore (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653 e 17 giugno 2011, n. 13319);

– la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), alle condizioni appena indicate, può dunque essere integrata mediante il ricorso al metodo del ricarico medio, sulla cui validità, si veda anche Sez. 5 -, Ordinanza n. 19213 del 02/08/2017, Rv. 645288 – 01, “L’accertamento analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale, operata attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico medio ponderato, si effettua: a) applicando detta percentuale sul costo del venduto quale accertato nei confronti dell’impresa; b) sommando l’importo così ottenuto (margine di guadagno) al predetto costo del venduto accertato; c) detraendo dall’importo così ottenuto (ricavi accertati) i ricavi dichiarati dall’impresa o comunque accertati sulla base della sua contabilità)”;

– quanto alla “non gravità dello scostamento”, trattasi di questione di fatto e non di diritto, che, da quanto riportato nella sentenza, non risulta nemmeno essere stata proposta come motivo di appello.

– Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per aver sostanzialmente la CTR, fondando il proprio accertamento su una presunzione fondata sull’applicazione di una percentuale di ricarico, posto a carico della contribuente l’onere di proporre elementi in senso contrario”;

– la violazione dell’art. 2697 c.c., è insussistente: essa si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni;

– nel caso in esame la CTR ha compiuto la sua valutazione in base alle prove introdotte nel giudizio, non potendosi sicuramente ritenere integrata una inversione dell’onere della prova per aver essa ritenuto idonea quella fornita dall’Ufficio (v. Cass. n. 26769 del 23/10/2018): la ricorrente, pur lamentando una asserita violazione di legge, contesta in realtà la valutazione delle prove operata dalla CTR, fuori, dunque, addirittura dal paradigma del n. 5 dell’art. 360, nel testo anteriore alla riforma del 2012.

– Con il terzo motivo di ricorso, la contribuente denuncia “insufficiente motivazione “circa un fatto controverso decisivo per il giudizio”, in relazione alla asserita correttezza della percentuale di ricarico applicata dall’ufficio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, per aver la CTR ritenuto attendibile la percentuale di ricarico applicata dall’ufficio, omettendo di valutare le argomentazioni e i documenti in senso contrario dedotti dalla contribuente;

– stigmatizza che siano state messe a confronto fatture di acquisto di un determinato mese dell’anno con fatture di vendita del mese successivo senza considerare la natura deperibile delle merci; evidenzia gli errori nel calcolo del margine medio globale per alcuni prodotti; osserva che la vendita di taluni prodotti era effettuata per conto terzi per cui il margine di guadagno era diverso, dovendosi stornare dalla provvigione ricevuta quella spettante al subagente;

– la censura è inammissibile in quanto, introducendo elementi fattuali non riscontrabili nella sentenza, involge uno specifico accertamento di fatto, compiuto dalla CTR, in ordine alla mancata dimostrazione degli elementi addotti dal contribuente e, in sostanza, sovrappone la propria valutazione dei fatti a quella ritenuta attendibile dalla CTR che ha rilevato i prezzi dalle fatture, individuate dalla stessa parte contribuente, e ha ritenuto che non era significativa la presunta deperibilità della merce, di cui comunque mancava la rilevanza;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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