Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13117 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 565-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.O., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato SCAPPATICCI MARIA LUCIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato TARSETTI BEATRICE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 28/2010 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA,

depositata il 16/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Consigliere Dott. NOVIK ADET TONI.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con la sentenza in epigrafe la CTR, rigettando l’appello proposto da T.O., confermava, previa rettifica della motivazione, la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso per la ripresa a tassazione di tributi Irpef, Iva e Irap per l’anno 2004 per una pretesa di Euro 18.779,00, oltre Euro 14.958,00 per accessori;

– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’accertamento era conseguito ad una verifica della Guardia di Finanza che aveva accertato sia l’esercizio abusivo della professione di odontoiatra da parte di Tarsetti sia la sottrazione di imposizione degli accrediti e prelevamenti risultanti dal controllo del conto corrente;

– ad avviso della CTR, avendo il contribuente aderito nel 2003 all’accertamento dell’ufficio, era “quanto meno verosimile” che per l’età avanzata e per l’assenza di movimentazioni oltre il luglio 2004 l’affermazione, da questi resa, circa la inesistenza di attività nell’anno considerato e che la compilazione dei quadri della dichiarazione con indicazione di “ricavi zero” era avvenuta perchè obbligatoria;

– la CTR infine riteneva ininfluente la titolarità di partita Iva;

– il ricorso dell’agenzia è affidato a 2 motivi;

– il contribuente si è costituito con controricorso eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per tardività, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata, non operando la sospensione dei termini processuali applicata dall’ufficio, per essere la lite superiore a Euro 20.000;

– l’agenzia ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal contribuente è infondata, dal momento che il valore della lite, ai fini fiscali, come si legge nella sentenza, è di Euro 18.779.

– Con il primo motivo di ricorso l’agenzia denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2 e degli artt. 2697, 2727 e 2728, tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”;

– richiamati i fatti posti a base dell’accertamento, ad avviso dell’agenzia la CTR avrebbe errato nel non considerare che, per le movimentazioni bancarie imputate, le norme di legge richiamate in rubrica ponevano una presunzione legale (compensi non dichiarati e acquisti non autofatturati) che poteva essere superata solo con la giustificazione analitica da parte del contribuente di ogni singola operazione o della loro neutralità rispetto al fisco; prova che nel caso in esame era mancata, in quanto le giustificazioni fornite dall’accertato concernevano circostanze neutre;

– con il secondo motivo, in subordine, l’agenzia deduce “insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, sul rilievo che le circostanze indicate dal contribuente, ed accolte dalla CTR, non integravano per ogni singola posta la prova liberatoria prevista dalla legge per affermare l’estraneità delle movimentazioni bancarie alla produzione di redditi imponibili;

– i due motivi, che possono essere esaminati in congiunzione, sono infondati;

– il ricorso involge la preliminare verifica della applicabilità della richiamata presunzione legale nei confronti del contribuente lavoratore autonomo;

– ricordato che il contribuente era, appunto, un lavoratore autonomo, si rileva che la Corte costituzionale con sentenza 24 settembre 2014, n. 228 ha rilevato la contrarietà della presunzione posta dall’ultima parte dell’art. 32, comma 1, n. 2 e dell’inversione dell’onere probatorio che ne discende al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, ritenendo “arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”, dichiarando, quindi, l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione “limitatamente alle parole “o compensi””;

– in coerente applicazione della decisione della Corte Costituzionale, questa Corte ha affermato il principio secondo cui è venuta meno, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale, limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti – cfr.

Cass. n. 16697/2016, Cass. n. 3628/2017 – ricadendo, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi;

– il ricorso, fondato sull’applicazione della prova legale, va quindi respinto;

– ricorrono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti, in quanto la sentenza della Corte Costituzionale è intervenuta in epoca successiva all’inizio della controversia ed al ricorso stesso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite tra le parti. Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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