Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13117 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. II, 28/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VAL DI FASSA 54 INT 3, presso lo studio dell’avvocato

FELLI MARIA RITA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FELLI FRANCO;

– ricorrente –

contro

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VINCENZO AMBROSIO 4, presso lo studio dell’avvocato BELLOMI

ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 971/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. PICCIALLI Luigi;

udito l’Avvocato BELLOMI Alessandro, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 24.2.92 C.P. citò al giudizio del Tribunale di Frosinone C.R., al fine di sentir emettere, a fronte della renitenza del convenuto, sentenza dichiarativa dell’intervenuto trasferimento di proprietà o, in subordine, costituiva ex art. 2932 c.c. in forza della scrittura privata del (OMISSIS), con la quale il suddetto gli aveva venduto (o promesso in vendita), per il prezzo di L. novantacinque milioni, di cui trentacinque versati quale caparra ed il resto da saldarsi al rogito, previsto entro il (OMISSIS), un appezzamento di terreno con sovrastante fabbricato “al rustico ” sito in (OMISSIS).; l’attore chiese anche il risarcimento dei danni, da detrarsi dal saldo.

Costituitosi il convenuto, eccepì che il contratto, integrante una compravendita definitiva, era nullo ai sensi della L. n. 47 dl 1985, art. 30, L. n. 165 del 1991, art. 13 ter per abusività non sanata dell’immobile, in assenza di prova della relativa istanza e del prescritto acconto dell’oblazione, nonchè della dichiarazione di avvenuta ottemperanza agli obblighi tributari.

Espletati gli interrogatori liberi delle parti e la disposta consulenza tecnica, interrotto il processo per morte del C. R. e costituitosi, a seguito della riassunzione, il suo erede universale P.S., che ribadiva le eccezioni, con sentenza del 30.10.00 il G.O.A della sezione stralcio dell’adito tribunale, disattese tutte le eccezioni e ritenuta la trasferibilità dell’immobile, dichiarava “valido il contratto preliminare di compravendita…. condizionando, tuttavia, l’efficacia del medesimo al pagamento della somma di L. 60.000.000 da parte del promissario acquirente”.

Proposto appello dal P., resistito dal C., con sentenza del 25.11.04 – 3.5.05, la Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame, con condanna dell’appellante alle spese, rettificando tuttavia la sentenza nelle parti (intestazione e dispositivo) in cui aveva erroneamente indicato quale parte l’originario convenuto C.R., anzichè l’erede P.S..

Premesso che la suddetta irregolarità costituiva un semplice ed irrilevante errore materiale, la corte capitolina motivava la conferma dell’impugnata decisione, ribadendo:

a) l’inequivoca natura di contratto preliminare della scrittura privata di cui in narrativa;

b) la conseguente possibilità di produrre anche successivamente, con effetto retroattivo sanante L. n. 229 del 2003, ex art. 23 la prova della domanda di sanatoria e di pagamento dell’oblazione, al che aveva provveduto il C.R. fin dal 1987;

c) l’attinenza, verificata dal c.t.u., della domanda di condono a tutta la costruzione;

c) la non ascrivibilità al C. dell’inadempimento, essendo emerso dai liberi interrogatori che l’immobile non era stato accatastato, onere gravante sul venditore, mentre non era stata provata la circostanza, assunta dal convenuto, che il suddetto avrebbe preteso di trattenere, dal saldo dovuto, la somma di 25.000.000 per provvedere a tale incombente;

d) la mancata prova dell’essenzialità del termine per la stipula, in relazione all’assoluto bisogno di riscuotere il prezzo, nessuna clausola in tale espresso senso rinvenendosi nel contratto. Contro tale sentenza il P. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a sei motivi. Ha resistito il C. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., commi 1 e 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5”.

Si sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, non in una semplice svista materiale sarebbe incorso il giudice di primo grado, bensì in un vero e proprio grossolano errore omissivo e lesivo del contraddittorio, consistito nell’aver ancora considerato il C.R. parte in giudizio, riportando le conclusioni solo dal medesimo rassegnate nella comparsa di costituzione e risposta e non quelle finali del suo erede P., indebitamente attribuendogli la riassunzione del processo, che invece era avvenuta ad opera dell’attore mediante citazione collettiva ed impersonale degli eredi del defunto, e non tenendo conto di tutte le attività processuali, segnatamente produzioni documentali e comparizione per il tentativo di conciliazione, svolte dal successore.

Il motivo non merita accoglimento.

Nella narrativa della sentenza di primo grado vi è menzione, come ha dato atto la Corte d’Appello, dell’evento interruttivo e della successiva costituzione, a seguito della riassunzione, del P. quale erede del defunto C.R.; tanto bastava, poco o punto rilevando l’imprecisione in ordine all’indicazione della parte che aveva riassunto il processo, ad escludere che il primo giudice avesse erroneamente ritenuto ancora parte in causa l’originario, deceduto, convenuto, ignorando, come si lamenta la costituzione del suo successore. Quanto alle attività processuali e produzioni documentali che l’odierno ricorrente lamenta non essere state prese in considerazione, il profilo di censura difetta palesemente di autosufficienza, non precisandone, neppure sommariamente, il tenore, mentre irrilevante risulta la mancata menzione del tentativo di conciliazione, non avendo lo stesso avuto esito. Le conclusioni di parte convenuta, riportate nell’epigrafe della sentenza suddetta, infine, in quanto dirette a rigetto della domanda attrice. previa dichiarazione di nullità del contratto di cui alla scrittura privata per mancanza degli elementi di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 10 o alla risoluzione del contratto per inadempimento della parte attrice, risultano del tutto conformi a quelle ribadite nell’atto di appello, come riportate nella sentenza di primo grado, sicchè anche sotto tal profilo nessuna violazione del diritto di difesa e del contraddicono, in danno del P., è dato riscontrare. Correttamente, pertanto, i giudici di secondo grado si sono limitati al riguardo a correggere la sentenza appellata, rilevando che l’indicazione nell’intestazione e nel dispositivo del C.R., e non del suo erede ed avente causa P., era da attribuirsi ad un mero errore materiale e non anche dovuto ad ignoranza delle vicende processuali relative alla costituzione e presenza in giudizio di quest’ultimo.

Con il secondo motivo si deduce “nullità della sentenza per carenza di motivazione e contraddittorietà del dispositivo ex art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Premesso che il Tribunale non avrebbe specificato quale delle due pronunzie contemporaneamente richieste dall’attore, dichiarativa o costitutiva, aveva accolto e che la motivazione, discordante con il dispositivo, avrebbe impedito di “cogliere l’iter logico seguito”, si lamenta che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto la relativa censura dell’appellante “meramente formale e inammissibile”.

Anche tale motivo è infondato, poichè la corte di merito, nel disattendere la censura di ambiguità della qualificazione del contratto, non si è limitata alla sopra riportata affermazione, ma nel rispondere al successivo motivo di appello, ha anche precisato che il primo giudice, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, aveva inequivocamente qualificato di natura preliminare il contratto intercorso tra il C. ed il C.; tale riscontro, dall’esame della sentenza di primo grado (consentito in ragione della natura essenzialmente processuale della censura, di violazione dell’art. 132 c.p.c.), risulta corretto.

Il Tribunale, infatti, si era chiaramente espresso, sia nella motivazione (laddove osservava che il “contratto preliminare” era “valido in quanto contenente tutti gli elementi essenziali del contratto di compravendita…” e, successivamente, escludeva che fosse “da considerarsi causa di nullità del contratto preliminare l’omessa indicazione degli elementi di cui alla L. n. 47 del 1985 e dalla L. n. 165 del 1991, art. 13..”, poi ritenendo che “la mancata stipulazione del contratto definitivo entro il termine previsto” fosse “da ascriversi in capo al convenuto…”), sia nel dispositivo, laddove dichiarava “la trasferibilità (non il già avvenuto trasferimento) dell’immobile e, nell’accogliere la domanda, per l’effetto considerava valido il contratto preliminare di compravendita…”.

Con il terzo motivo si deduce “errata qualificazione della natura giuridica del contratto ex art. 1351 c.c., errata e falsa applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti ex art. 1362 c.c. e segg. insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dal ricorrente”, per aver qualificato il contratto preliminare e non definitivo di compravendita, con conseguente esclusione della dedotta nullità L. n. 47 del 1985, ex art. 40.

Al riguardo non sarebbe stata considerata l’effettiva volontà delle parti, che nella scrittura in questione, pur senza l’impiego di “particolari formule”, non si erano “limitate ad una mera elencazione dei dati”, ma avevano “sostanzialmente oggettivato i rispettivi intenti”, tanto che “da parte del venditore” vi era stato l’immediato trasferimento del diritto di proprietà degli immobili, con l’immediata manifestazione da parte dell’acquirente del proprio diritto di disposizione e godimento di quanto acquistato”, per aver “concesso al venditore di continuare ad abitare il fabbricato fino al giorno fissato per la conversione della scrittura in atto pubblico”.

Neppure tale motivo è meritevole di accoglimento, esponendo una serie di censure palesemente astratte, che, senza riportare gli estremi testuali delle pattuizioni, così nuovamente incorrendo nel diletto di specificità ed autosufficienza, si limitano del tutto apoditticamante a sostenere che le parti avrebbero inteso trasferire immediatamente la proprietà, senza anche precisare quali elementi, pur nel contesto di una pattuizione prevedente il versamento di una caparra, la futura stipulazione notarile di un atto traslativo con contestuale versamento del saldo e la conservazione del godimento del bene da parte del titolare (elemento quest’ultimo al quale si vorrebbe, per di più ascrivere natura di “costituto possessorio”, senza tuttavia meglio evidenziare i connotati specifici di tale insolita pattuizione), avrebbero dovuto indurre a propendere per tale tesi. Non è dato, pertanto, comprendere sotto qual profilo i giudici di merito sarebbero incorsi nel lamentato malgoverno dell’art. 1351 c.c. nè, per quanto attiene ai pur dedotti vizi e carenze della motivazione, quali specifiche argomentazioni (a parte quella di ambiguità della precedente decisione, oggetto del secondo motivo), funzionali all’assunta natura traslativa del contratto, sarebbero state ignorate o inadeguatamente considerate dalla Corte d’Appello.

Con il quarto motivo si deduce, in subordine, “errata interpretazione della L. n. 47 del 1985, art. 40”, per aver ritenuto la nullità comminata da tale disposizione non applicabile ai contratti preliminari di vendita, che, costituendo “un atto precedente a quello definitivo” e dovendo essere stipulato con le stesse forme e modalità di quest’ultimo, avrebbe dovuto anche rispondere ai requisiti relativi alla documentazione prevista dalla suddetta norma ai fini dell’accertamento della regolarità urbanistica che nella specie sarebbe stata insussistente ed insanabile; sicchè non avrebbe potuto trovare applicazione l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, limitante ai soli contratti immediatamente traslativi detta nullità.

Il motivo va disatteso, perchè, si basa su circostanza di fatto, quella dell’insanabilità, per motivi che neppure vengono precisati, della costruzione abusiva insistente sul fondo, che non risulta dedotta in sede di merito; sicchè non vi è ragione alcuna per ritenere non applicabile nella specie l’ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la nullità comminata dalla L. n. 47 del 1985, art. 40 e succ. modd. (così come quella di cui all’art. 13), non si applica anche alle stipulazioni di contratti preliminari, ben potendo esser resa la dichiarazione o prodotta la documentazione, relative alla regolarità dell’edificazione, all’eventuale concessione in sanatoria o alla domanda di oblazione e relativi primi due versamenti all’atto della stipulazione del definitivo contratto traslativo, ovvero in corso di giudizio e prima della sentenza ex art. 2932 c.c. tenente luogo dello stesso (tra le altre, v. Cass. 9849/07, 10831/01, 8335/97, 1199/97, 4717/94).

Con il quinto motivo si deduce la violazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 per non avere considerato che nella specie era mancata la produzione del certificato di destinazione urbanistica del terreno oggetto del negozio de quo, pur in cospetto della dichiarata esistenza di un fabbricato rustico non accatastato realizzato su un suolo oggetto di frazionamento.

Il motivo è inammissibile, deducendo una questione nuova, implicante accertamenti di fatto, che non hanno formato oggetto del giudizio di merito, nel quale, come si riferisce nella sentenza impugnata, l’oggetto del contratto preliminare era stato indicato in un terreno con sovrastante “rustico di fabbricato” (dizione che, secondo la corrente accezione, sta ad indicare un edificio completo allo stato strutturale e privo di rifiniture ed impianti) e non in un fondo con annesso fabbricato rurale, ipotesi nella quale sarebbe stata necessaria la produzione del certificato di destinazione urbanistica, richiesto dalla L. n. 47 del 1985, art. 18 in funzione della prevenzione delle lottizzazioni abusive; siffatta esigenza non sussisteva nella fattispecie contrattuale così come dedotta dalle parti in sede di merito, attesa la rappresentata preminenza del fabbricato, sia pur ancora da “accatastare”, rispetto al terreno annesso e, peraltro, la mancanza di alcun accenno ad eventuali operazioni di frazionamento lottizzatorio a monte dell’operazione negoziale.

Con il sesto motivo si deduce, infine, violazione per errata interprelazione ed applicazione dell’art. 2932 c.c. e connessi vizi di motivazione, per non aver considerato che la sentenza prevista dalla citata norma attesa la sua funzione sostitutiva dell’atto negoziale dovuto dalle parti, non avrebbe potuto realizzare un effetto maggiore o diverso da quello che in materia immobiliare sarebbe stato possibile alle stesse. Nella specie la pronunzia costitutiva sarebbe stata impedita dalla mancata produzione, da parte del promittente acquirente, della copia della domanda di concessione in sanatoria diretta al Comune di Paliano e dell’oblazione, che i giudici avrebbero potuto richiedere anche ai sensi dell’art. 213 c.p.c.; tale omissione sarebbe insuscettibile di sanatoria ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 4.

Anche tale motivo deve essere disatteso, ponendosi in inammissibile contrasto con l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, i quali, sulla scorta della documentata verifica compiuta dal consulente tecnico di ufficio, hanno evidenziato che la domanda di sanatoria era stata inoltrata fin dal 1987, dal proprietario e promittente alienante C.R. quale aveva anche versato l’importo dell’intera oblazione. Tale accertamento (in considerazione del quale del tutto superflua sarebbe stata l’informativa ex art. 213 c.p.c., corredato dall’acquisizione in copia dei relativi atti, in quanto compiuto nel corso del giudizio diretto alla pronunzia di una sentenza tenente luogo del non concluso contratto di compravendita, prima della relativa emissione, dove ritenersi equivalente alla produzione della documentazione in questione che ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2 avrebbe dovuto avvenire all’atto della stipulazione del contratto definitivo, di cui la sentenza costituisce l’atto equipollente.

Inconferente pertanto si palesa il richiamo alla particolare ipotesi di sanatoria della nullità, prevista dal comma terzo dell’articolo citato, attinente ai diversi casi nei quali la stipulazione dell’atto traslativo sia già avvenuta e la dichiarazione o produzione della documentazione sia mancata, pur essendovi stata la concessione o presentata la domanda di sanatoria, con i relativi adempimenti oblativi, ipotesi nelle quali è prevista la possibilità che anche una sola delle parti renda ex posi la relativa dichiarazione o produca la prescritta documentazione, nelle medesime forme dell’atto già stipulato; ma nella presente fattispecie tale stipulazione non era avvenuta. Il ricorso va, conclusivamente, respinto, con condanna del soccombente alle spese del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del resistente delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.700, 00 di cui 200, 00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

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