Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13117 del 24/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/05/2017, (ud. 09/02/2017, dep.24/05/2017),  n. 13117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7957-2016 proposto da:

D.M.L., S.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA G. REMI, 2 presso lo studio dell’avvocato VALERIO VIANELLO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO DI LORENZO;

– ricorrenti –

contro

L.R., B.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato FRANCESCO CARATOZZOLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1386/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 21/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

B.A. e L.R. convenivano in giudizio D.M.G. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti a seguito delle minacce anonime inviate loro dal convenuto, il giudizio penale a carico del quale si era concluso con sentenza di patteggiamento. Il giudizio civile proseguiva nei confronti degli eredi del convenuto, D.M.L. e S.M.. La domanda risarcitoria, rigettata in primo grado, veniva parzialmente accolta in favore del solo Bonanno dalla Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 1386/2015, depositata il 21.9.2015, qui impugnata da S. e D.M. per quattro motivi.

Resistono i sig. B. e L. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., su proposta del relatore, in quanto ritenuto manifestamente infondato.

Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, ritiene di condividere la soluzione proposta dal relatore.

Tanto perchè il ricorso non contiene in effetti una segnalazione degli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, ma piuttosto contesta sotto vari profili l’accertamento in fatto sul quale si fonda l’affermazione di responsabilità a carico dei ricorrenti, senza peraltro richiamare i passi della sentenza impugnata che avrebbero fatto mal governo delle norme sul patteggiamento e in tema di responsabilità civile.

I ricorrenti contestano che si sia data eccessiva rilevanza agli esiti della perizia calligrafica, che ha formulato un giudizio di probabilità di attribuzione al D.M. delle lettere anonime di pesante intimidazione ricevute dal B., e con il terzo motivo, pur concordando con l’esclusione da parte della corte d’appello del danno biologico, mancando la prova di un loro pregiudizio psicofisico da porre in rapporto di causalità con le ripetute minacce subite, contestano che siano state ritenute provate e liquidate altre voci di danno. Tendono però a sovrapporre la propria valutazione in fatto (lamentando espressamente che sia stata data errata interpretazione ai fatti decisivi di cui alla fattispecie) a quella della corte d’appello, che ha ritenuto più probabile che non che le minacce partissero effettivamente dal D.M., e provato che esse avessero prodotto un danno al B., correlato al turbamento e al malessere, nonchè alla compromissione dei rapporti familiari.

Con il quarto motivo contestano la compensazione delle spese di lite operata dalla corte d’appello nei confronti della L., sul presupposto che i reati contestati al D.M. vedessero come danneggiato solo il B. e non anche la L., sua convivente all’epoca dei fatti (e indiretta causa della vicenda, in quanto le minacce provenivano dal D.M., zio del B., dopo la separazione posta in essere da questo a seguito della relazione con la L.). Tuttavia, la sentenza che ha motivato la compensazione sulla base della particolarità della vicenda, appare esente da critiche in quanto la vicenda è in effetti particolare e grave e del fatto che le minacce, sebbene indirizzate nei soli confronti del B., siano arrivate con lettere anonime alla sua abitazione, consegnate talvolta a mano dallo stesso minacciante spacciatosi per postino: una situazione che, sebbene la corte d’appello non abbia ritenuto che esse fossero in grado di produrre un danno anche nei confronti della convivente, è stata tenuta in considerazione quanto meno sotto il profilo della compensazione delle spese.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza dei ricorrenti, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese di giudizio sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.400,00 di cui 200,00 per spese, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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