Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13114 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. I, 14/05/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 14/05/2021), n.13114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8793/2019 proposto da:

A.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Ficarra Antonino, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, del 28/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/02/2021 dal Cons. Dott. FEDERICI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il Tribunale di Caltanissetta, con il decreto in epigrafe, ha rigettato il ricorso proposto da A.M., nato in (OMISSIS), avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di asilo rivolta alla Commissione Territoriale per la protezione internazionale di Siracusa. Il giudice ha rigettato il ricorso reputando non credibili i fatti e le affermazioni rese dal richiedente. Il ricorrente ha censurato il decreto, chiedendone la cassazione, affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato un atto di costituzione ai soli fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con i primi due motivi il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 24 Cost., D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 7, dell’art. 6, comma 3, lett. A) della Convenzione dei diritti dell’uomo, recepita con la L. n. 848 del 1955, dell’art. 14, comma 3, lett. A) del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, recepito con L. n. 881 del 1977 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ha denunciato la mancata traduzione, nella lingua conosciuta dal ricorrente, sia della decisione della commissione territoriale, sia dell’impugnato decreto, con loro conseguente nullità. Ha sostenuto la necessità che l’atto destinato al cittadino straniero sia preventivamente tradotto in una lingua da lui comprensibile, invocando la illegittimità costituzionale dell’art. 122 c.p.c., per contrasto con gli artt. 6 e 10 Cost., nella parte in cui non prevede l’obbligo della traduzione degli atti per lo straniero in relazione quanto meno ai procedimenti aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto di asilo o dello status di rifugiato.

I motivi sono inammissibili. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonché quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, é previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa (Cass., n. 18723/19; n. 16470/19; n. 7385/17). Nel caso concreto, il ricorrente ha lamentato genericamente la mancata traduzione nella propria lingua del provvedimento della Commissione territoriale e del decreto impugnato, ma senza allegare una specifica lesione del diritto di difesa che fosse conseguenza diretta dell’omessa traduzione. Mancano pertanto anche i presupposti per invocare l’illegittimità costituzionale dell’art. 122 c.p.c..

Con il terzo motivo il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1364,1365,1369 e 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 2, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 6 e 13 della CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva CE 2013/32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria ritenendo l’insussistenza, nel luogo d’origine del richiedente, di una situazione di violenza indiscriminata, non riconoscendo pertanto la sussistenza del pericolo di danno grave previsto dal D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c). A tali conclusioni, secondo la prospettazione difensiva del ricorrente, il giudice sarebbe pervenuto senza avere riguardo al contesto conflittuale che caratterizza la regione di provenienza.

A sostegno della domanda riferisce di aver raccontato di essere fuggito dal Pakistan, segnatamente dalla Regione del Kashmir, temendo per la propria incolumità in ragione della situazione di conflitto che da tempo affliggeva quel territorio, conteso tra Pakistan e India. Sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto correttamente valutare le fonti informative, soprattutto i rapporti internazionali del 2016 relativi al Kashmir che afferma già versati in atti e sintetizza in ricorso.

Il motivo é inammissibile perché non si misura integralmente con le rationes decidendi espresse dal tribunale nel provvedimento impugnato. In particolare, il tribunale ha tra l’altro considerato che il ricorrente, avendo nel 2018 contratto matrimonio ad Islamabad durante un nuovo soggiorno nel Paese protratto per alcuni mesi, risulta ormai inserito in un contesto diverso da quello di provenienza originaria ((OMISSIS)), in un contesto cioè – quello di Islamabad – ove le fonti di informazione attestano l’assenza di una situazione di conflitto armato interno, idonea a far sorgere il diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria.

Tale ratio decidendi, che si mostra idonea a sostenere autonomamente la impugnata statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c), non risulta essere stata specificamente censurata, né in fatto né in diritto, dal ricorrente. Ne deriva di necessità la inammissibilità del motivo in esame, per carenza di interesse. Invero, ove “la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza” (e multis, Cass. n. 9752/17; n. 7931/13; n. 2108/18).

Il ricorso pertanto si rivela inammissibile.

Nulla va disposto in ordine alle spese per non aver svolto alcuna attività difensiva il Ministero.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

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