Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13113 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13721/2013 R.G. proposto da:

GENERAL CATERING SAS DI L.I. & C. (incorporante IMES

SALUMI DI I.L. & C. SAS, già IMES SALUMI DI

I.V. & C. SAS), C.M., I.C., I.D.,

I.L., I.V., R.N., rappresentati e

difesi dall’avv. Siniscalchi Giovanni, elettivamente domiciliati

presso il suo studio in Napoli, via Tino da Camaino, 23, domiciliara

in Roma, p.zza Cavour, presso la Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione n. 15, n. 312/15/12, pronunciata il 21/05/2012,

depositata il 19/11/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 febbraio 2020

dal Consigliere Guida Riccardo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Basile Tommaso che chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Palatiello Giovanni per l’Avvocatura generale dello

Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società e i soci impugnarono innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli gli avvisi di accertamento, emessi all’esito di una verifica generale nei confronti dell’allora Imes Salumi di I.V. & C. Sas (supermercato di generi alimentari), che recuperano a tassazione, ai fini IRAP, IVA, IRPEF, per l’esercizio 2005, quanto alla società, ricavi non contabilizzati e costi indeducibili, e quanto ai soci, maggiori redditi di partecipazione non dichiarati.

2. Il giudice di primo grado accolse il ricorso a causa della carente motivazione dell’avviso, con decisione che, appellata dall’ufficio, nel contraddittorio dei contribuenti, è stata parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania che, per un verso, ha riconosciuto le riprese per omessa contabilizzazione di ricavi (Euro 255.407,32) e per costi (Euro 105.489,82), di competenza di altro esercizio (il 2004 anzichè il 2005), e, per altro verso, ha annullato la ripresa degli interessi passivi (Euro 4.545,01), sulla base di queste considerazioni: (a) la sentenza di primo grado reca un esame superficiale degli atti e dei documenti; (b) gli avvisi non sono viziati per omessa allegazione del processo verbale di constatazione su cui poggia l’accertamento, poichè esso è stato notificato all’amministratore della società; (c) la ricostruzione induttiva dei ricavi è legittima e si fonda su un irrisorio indice di rotazione del magazzino e sul rilievo che la giacenza delle merci in magazzino per oltre due mesi è incompatibile con la rapida deperibilità dei prodotti e con l’assenza di particolari attrezzature; (d) non è legittimo dedurre, nel 2005, costi di competenza del 2004.

3. I contribuenti propongono ricorso per la cassazione di questa sentenza, articolando quattro motivi; l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso (“Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia: (a) sulle eccezioni di inammissibilità dell’appello, per difetto di sottoscrizione dell’atto da parte del direttore dell’ufficio e per mancanza di motivi specifici d’impugnazione; (b) in subordine, su tutte le doglianze che erano state proposte in primo grado, che l’Agenzia non aveva contestato, e che erano state reiterate nelle controdeduzioni dei contribuenti depositate nel giudizio d’appello, riguardanti la nullità degli avvisi per vizi formali e a causa dell’illegittimo ricorso allo strumento dell’accertamento parziale; (c) in ulteriore subordine, sulla richiesta di condanna dell’ufficio a rimborsare ai contribuenti le maggiori imposte pagate nel 2004, per avere portato in deduzione, nel 2005, costi di competenza dell’esercizio precedente; (d) sulla richiesta di annullamento delle sanzioni relative alla conta bilizzazione di costi in violazione del principio di competenza.

1.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

1.1.1. Dal primo punto di vista (inammissibilità del motivo), è utile ricordare l’insegnamento delle sezioni unite (Cass. sez. un. 28/07/2005, n. 15781; in senso conforme, ex multis: Cass. 04/03/2013, n. 5344), per il quale: “Affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività.”.

Nella fattispecie concreta, posto che nel ricorso si afferma laconicamente che la CTR avrebbe omesso di pronunciare sull’eccezione, formulata dagli appellati nelle proprie controdeduzioni, d’inammissibilità dell’atto di gravame, perchè privo della sottoscrizione del direttore dell’ufficio, non risultano rispettati nè il principio d’autosufficienza nè quello di decisività.

In particolare, la questione, nella sua generica (e perciò inammissibile) formulazione, si appalesa priva del requisito di decisività alla luce del fermo indirizzo di questa Sezione tributaria, secondo cui: “In tema di contenzioso tributario, la provenienza di un atto di appello dall’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza.” (Cass. 26/07/2016, n. 15470).

Ed è appena il caso di rilevare, infine, che è inammissibile perchè estranea al thema decidendum del giudizio d’appello, la domanda che i contribuenti assumono di avere rivolto alla Commissione regionale di condanna dell’erario al rimborso delle maggiori imposte versate per il 2004.

1.1.2. Sotto altro aspetto (infondatezza del motivo), va data continuità all’orientamento della Corte, per il quale non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. 6/12/2017, n. 29191; conf.: 08/03/2007, n. 5351; 13/10/2017, n. 24155/2017, secondo cui: “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.”).

Nella fattispecie concreta, è chiaro che la CTR, nel confermare (parzialmente) le riprese fiscali, ha implicitamente rigettato le eccezioni formulate dai contribuenti, in merito all’asserita nullità degli atti impositivi, e la loro richiesta di annullamento delle sanzioni.

2. Con il secondo motivo (“Omessa motivazione in merito al rigetto delle domande di cui al 1 motivo di ricorso su cui la C.T.R. di Napoli non si è pronunciata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione applicabile al processo tributario”), i ricorrenti imputano alla C.T.R. di non avere illustrato le ragioni del proprio convincimento in punto di: ammissibilità dell’appello non sottoscritto dal direttore dell’ufficio; sussistenza di specifici motivi di gravami; legittimità degli avvisi; debenza, da parte dei contribuenti, delle sanzioni; infine, di non avere spiegato la ratio della mancata condanna dell’Amministrazione finanziaria al rimborso della maggiori imposte che essi avevano versato per l’annualità 2004.

3. Con il terzo motivo (“Insufficiente motivazione in merito alla ripresa a tassazione di ricavi non contabilizzati e non dichiarati di Euro 255.407,00, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), i ricorrenti fanno valere la carenza dello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata che, da un canto, ha erroneamente ritenuto che l’accertamento induttivo di maggiori ricavi poggiasse sull’indice di rotazione del magazzino, mentre invece esso si fondava sulla determinazione della percentuale media ponderata di ricarico applicata al costo del venduto; d’altro canto, non ha considerato l’errore di calcolo compiuto dai verificatori nella determinazione del venduto.

3.1. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili per la medesima ragione.

Posto che la sentenza della CTR è stata pubblicata il 19/11/2012, in relazione ad entrambe le censure, il corretto parametro normativo è quello dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dopo l’11/09/2012, laddove, invece, i ricorrenti, errando, hanno allegato i previgenti vizi di omessa (secondo motivo del ricorso) e insufficiente motivazione (terzo motivo del ricorso).

Il che, però, non è più consentito, come hanno avuto modi di precisare le sezioni unite, secondo cui: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass. sez. un. 7/04/2014, n. 8053);

4. Con il quarto motivo (“Violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 97 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”), i ricorrenti censurano la sentenza per avere disatteso i principi costituzionali di imparzialità della Pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53, Cost.), nella parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio che, nel recuperare a tassazione, per il 2005, costi di competenza dell’anno d’imposta 2004, non ha disposto le corrispondenti rettifiche, a favore degli obbligati, in relazione a questa annualità.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Per giurisprudenza pacifica di questa Corte (Cass. 15/06/2018, n. 15879; conf.: 17/02/2014, n. 3708/2014), alla quale il Collegio aderisce, in difetto di ragioni ostativi desumibili dal ricorso, non è consentito fare valere, direttamente, con il motivo di ricorso per cassazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di norme costituzionali in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere dedotto mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata.

5. Ne consegue il rigetto del ricorso.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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