Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13111 del 15/06/2011

Cassazione civile sez. II, 15/06/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 15/06/2011), n.13111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29905/2005 proposto da:

C.D. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 88, presso lo studio dell’avvocato

GUALTIERI Carlo, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CAPITOLO SAN PIETRO IN VATICANO IN PERSONA – DEL LEGALE

RAPPRESENTANTE IL CARMERLENGO MONS. B.G. P.I.

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 39,

presso lo studio dell’avvocato FAVINO GIULIO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4514/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Gualtieri Carlo difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Favino Giulio difensore del resistente che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 10-2-1997 C.D., C.S. e C.F. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Capitolo di San Pietro in Vaticano chiedendo dichiararsi l’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà del terreno agricolo località (OMISSIS) di mq. 5383 distinto al catasto terreni di Roma al foglio 415 all. 491 con la particella 336, la particella 1020/sub b e la particella 1024.

Si costituiva in giudizio il convenuto contestando la domanda attrice e spiegando domanda riconvenzionale con cui chiedeva la condanna delle controparti all’immediato rilascio del terreno ed al risarcimento dei danni.

Con sentenza dell’8-6-2001 il Tribunale adito rigettava la domanda attrice e condannava il C., C.S. e C. F. al rilascio del terreno in contestazione.

Proposto gravame da parte di questi ultimi cui resisteva il Capitolo di San Pietro in Vaticano proponendo altresì appello incidentale la Corte di Appello di Roma con sentenza del 20-10-2004 ha rigettato l’impugnazione principale ed ha dichiarato assorbita quella incidentale.

Avverso tale sentenza il C. ha proposto un ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui il Capitolo di San Pietro in Vaticano ha resistito con controricorso depositando successivamente una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo articolato C.D., denunciando violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., ed omesso esame di un documento decisivo, sostiene che il giudice di appello, pur avendo riconosciuto implicitamente che dagli elementi probatori acquisiti in primo grado era emerso che il terreno per cui è causa era stato coltivato da parte dell’esponente per un lasso di tempo sufficiente ai suo acquisto per usucapione, tuttavia ha ritenuto che il possesso esercitato da C.D. sul fondo in questione insieme al padre C.P. non poteva essere considerato “uti dominus” perchè la consapevolezza di un obbligo di restituzione del bene rendeva incompatibile la coesistenza dell’elemento psicologico tipico dell’usucapione; in tal modo la Corte territoriale ha interpretato malamente l’art. 2 della scrittura privata del 15-12-1975 sottoscritta da C.A. e C.P. da un lato ed il Capitolo di San Pietro dall’altro per la risoluzione consensuale del contratto di affitto del 18-10-1962 intercorso tra i primi come affittuari ed il secondo come proprietario; invero la riconsegna dell’intero fondo era stata eseguita contestualmente alla stipulazione del contratto e, come avviene di solito in occasione dell’immissione nel possesso di beni immobili, la “traditio” era stata documentata per iscritto; erroneamente quindi il giudice di appello ha desunto dall’esame della suddetta scrittura l’assunzione di un obbligo di restituzione del terreno in questione, non oggetto di alcuna specifica pattuizione.

Il ricorrente sostiene quindi che il fondo di cui C.P. era stato affittuario era tornato nella detenzione del Capitolo di San Pietro, fatta eccezione per la porzione di mq. 6000 (acquisita in proprietà con la scrittura del 15-12-1975 e detenuta definitivamente dallo stesso C.P. in base alla sentenza della Corte di Appello di Roma n. 2422/1989 confermata dalla sentenza di questa stessa Corte n. 6164/1992) e per la porzione usucapita dall’esponente.

C.D. conclude pertanto che insieme a suo padre aveva continuato a coltivare la porzione di terreno per cui è causa, ponendo in essere un nuovo rapporto con il bene non più di affittanza, ma di possesso in sostituzione del proprietario.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, nel ricostruire la vicenda che ha dato luogo alla presente controversia, ha richiamato due scritture private, entrambe sottoscritte il 15-12-1975, con la prima delle quali C.A. e C.P. avevano accettato di risolvere il contratto di affitto del fondo in contestazione instaurato a suo tempo con il Capitolo di San Pietro ponendolo nella disponibilità di quest’ultimo, ottenendo contemporaneamente il diritto di acquisire in proprietà due appezzamenti di terreno di mq. 6.000 ciascuno; con Ea seconda di tali scritture private poi (scrittura non acquisita agli atti ma citata da entrambe le parti in causa) era stato stipulato un compromesso di vendita relativo ad un terreno di mq. 5.000 in favore di C.P., con facoltà per quest’ultimo di designare altra persona come acquirente, poi indicata nel figlio D.; il giudice di appello ha inoltre fatto riferimento ad una ulteriore pattuizione con una scrittura aggiuntiva sottoscritta da C. P. e C.D. che, benchè priva di data, doveva essere collocata nell’anno 1978, con la quale era stata convenuta la sostituzione del terreno di mq. 5000 oggetto del compromesso di vendita.

La sentenza impugnata ha poi menzionato la missiva del 3-3-1986 diretta al Capitolo di San Pietro con la quale C.P., deceduto successivamente nel (OMISSIS), richiamava entrambe le scritture private de 15-12-1975, e quindi anche quella dove era prevista la risoluzione del contratto di affitto e la riconsegna del terreno, indicandole come pienamente valide ed invitando il destinatario a “formalizzare dette cessioni”; da tali elementi quindi la Corte territoriale ha tratto la logica conclusione che quantomeno da tale data C.P. aveva riconosciuto il suo obbligo di restituzione del fondo ed il diritto di proprietà su di esso del Capitolo di San Pietro, cosicchè si doveva escludere la sussistenza in capo a C.P., indipendentemente dal possesso, della volontà di considerare e disporre del bene come se fosse proprio, e conseguentemente gli eredi di C.P. non potevano giovarsi di un possesso di questi valido ai fini dell’usucapione.

Sulla base di tali premesse, non oggetto di censure in questa sede, il giudice di appello, dopo aver affermato che dalle deposizioni dei testi escussi era risultato che il terreno in questione era lavorato da C.P. e dai figlio D. che, dopo la morte del padre, lo aveva continuato ad utilizzare, ha rilevato che peraltro non era emerso alcun elemento da cui desumere che, prima della morte del padre, C.D. avesse esercitato sul fondo, per suo conto, un possesso “uti dominus” idoneo all’usucapione; invero era rilevante considerare che C.P. era inizialmente affittuario de terreno per cui è causa, che il contratto di affitto era stato poi risolto, situazione che non poteva essere ignorata da C.D. che lavorava con il padre, con la conseguenza che, non avendo C.P. contestato il suo obbligo alla restituzione del bene, era necessaria la specifica dimostrazione, in realtà mai fornita, di un particolare atteggiamento della volontà e di una condotta di C.D. idonea a rivelare in modo certo ed inequivocabile l’intenzione di comportarsi, per il periodo necessario ad usucapire, come proprietario esclusivo.

Orbene sulla base degli elementi di fatto accertati dalla sentenza impugnata e non oggetto di contestazione in tale sede è agevole rilevare che le conseguenze che la Corte territoriale ne ha tratto in diritto devono essere condivise.

Infatti, considerato come dato pacifico che l’originario rapporto con il terreno in questione da parte di C.P. nasceva da un contratto di affittanza e quindi era riconducibile ad un rapporto obbligatorio, cosicchè il potere di fatto con il bene era ricollegabile ad una detenzione, come confermato anche dalla lettera sopra citata del 3-3-1986 con la quale C.P. aveva confermato il suo obbligo di restituzione dell’immobile al Capitolo di San Pietro, con conseguente esclusione della presunzione di possesso utile “ad usucapionem” ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 1, da tali premesse consegue che era specifico onere probatorio di C.D. di provare un mutamento del titolo ex art. 1141 c.c., comma 2, con il compimento di idonee attività materiali di specifica opposizione al proprietario.

Sotto tale profilo non può evidentemente rilevare la mera continuazione dell’attività di coltivazione di terreno per cui è causa anche dopo la morte del padre, che di per sè evidenzia unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (vedi in tal senso Cass. 20-5-2002 n. 7337), e non invece una manifestazione esteriore dalla quale desumere di aver cessato il potere di fatto sulla cosa quale detentore e di aver iniziato ad esercitarlo come possessore, manifestazione che deve essere rivolta specificatamente contro il proprietario – possessore, in maniera tale che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e quindi deve tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua (Cass. 29-1-2009 n. 2392).

il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2.500,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2011

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