Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1311 del 19/01/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 19/01/2018, (ud. 26/10/2017, dep.19/01/2018),  n. 1311

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.G.B. impugnava avanti la C.T.P. di Varese la cartella esattoriale n. (OMISSIS) emessa in esecuzione della sentenza n. 28/11/2006 della C.T.R. della Lombardia che aveva ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente per gli anni 1988, 1989, 1990, 1991, 1993 e 1994, per un importo di Euro 21.399.593,57. Deduceva a fondamento vizi propri della cartella relativi tra l’altro alla erronea indicazione delle sanzioni.

Nel corso del giudizio l’Ufficio comunicava di aver ridotto le sanzioni attraverso provvedimento di sgravio parziale.

L’adita Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 55/28/09 depositata il 5 marzo 2009, ha accolto l’appello dell’Ufficio ritenendo che lo sgravio parziale è stato determinato dalla necessità di applicare la sopravvenuta normativa più favorevole in tema di sanzioni e che nessun errore di conteggio sussisteva, nè motivo per annullare integralmente la cartella esattoriale.

2. Avverso tale decisione il contribuente propone ricorso per cassazione (iscritto al n. 11423/2010 R.G.) sulla base di tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate depositando controricorso.

3. Successivamente al predetto ricorso introduttivo, lo stesso contribuente impugnava anche, in separato giudizio avanti la C.T.P. di Varese, la cartella esattoriale n. 117 2008 00250031 45 000, anch’essa emessa, come la prima, in esecuzione della su richiamata sentenza n. 28/11/2006 della C.T.R. della Lombardia, ma per l’inferiore importo di Euro 19.814.128,26 (al netto dunque degli importi per i quali era intervenuto lo sgravio) e dopo che la predetta sentenza era divenuta definitiva per il rigetto del susseguente ricorso per cassazione (Cass. n. 4608 del 2008).

Il ricorrente deduceva a fondamento vizi propri della cartella relativi, tra l’altro, alla erronea o illegittima applicazione di aggio e sanzioni.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso, con decisione confermata in grado d’appello dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 106/32/10 depositata il 15 luglio 2010.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente sulla base di tredici motivi, cui è anteposta la prospettazione di questione di legittimità costituzionale. Resistono l’Agenzia delle entrate ed Equitalia Nord S.p.A. depositando controricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso iscritto al n. 25378/2011 R.G. a quello di iscrizione anteriore, attesa l’intima connessione derivante dal riguardare entrambi la medesima pretesa tributaria, oggetto di attività di riscossione solo formalmente imputabile a distinte cartelle ma in realtà unitaria.

All’esito dell’odierna udienza di discussione è risultato invero pacifico tra le parti che la cartella impugnata con il ricorso introduttivo del secondo giudizio altro non sia che la rinnovazione della prima alla luce del provvedimento di sgravio parziale intervenuto nel corso del primo giudizio, oltre che naturalmente della definizione – pur essa intervenuta nelle more del primo giudizio – della controversia sugli avvisi sottostanti a seguito della sentenza della Corte di Cassazione.

Ciò che deve altresì condurre a rilevare il venir meno dell’interesse del contribuente in ordine al primo ricorso, in quanto relativo a cartella da ritenersi ormai già privata di effetti ed espunta dalla realtà fattuale e giuridica in conseguenza, prima, del provvedimento di sgravio parziale per l’importo sottratto dallo stesso Ufficio all’azione di riscossione e, poi, per l’intero residuo importo, della emissione di altra definitiva cartella per tale parte interamente sovrapponibile alla prima e di questa comportante l’implicita revoca.

Deve pertanto dichiararsi inammissibile il ricorso iscritto al n. 11423/2010 per sopravvenuto difetto di interesse, restando conseguentemente assorbito l’esame dei motivi che ne erano posti a fondamento.

Le spese relative vanno altresì compensate.

2. Venendo quindi al secondo ricorso (n. 25378/2011 R.G.) converrà procedere all’esame dei motivi – e dell’anteposta questione di illegittimità costituzionale – raggruppandoli in relazione ai diversi temi cui essi afferiscono.

Il primo di essi attiene ai compensi di riscossione (c.d. aggio), dei quali il contribuente lamenta l’illegittimità sotto vari profili.

Al riguardo, come accennato, il contribuente ripropone anzitutto questione – già proposta nel giudizio di merito ma disattesa dal giudice a quo – di legittimità costituzionale del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, comma 3 (“Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337”), nel testo vigente ratione temporis, come modificato dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 3, lett. a), convertito dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, per violazione degli artt. 3,25,53 e 97 Cost.; dubbio prospettato perchè la nuova norma, onerando il contribuente sempre e comunque dell’onere di corrispondere l’aggio esattoriale, sia in caso di pagamento tempestivo che di pagamento tardivo, in quest’ultimo caso in misura integrale (così innovando rispetto alla precedente formulazione che poneva l’aggio a carico del debitore soltanto in caso di mancato pagamento entro la scadenza della cartella di pagamento e solo in misura percentuale), introdurrebbe una misura sostanzialmente sanzionatoria o, comunque, una vera e propria nuova tassa con effetti retroattivi, in violazione dell’art. 25 Cost., oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3 Cost., di capacità contributiva ex art. 53 Cost., di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. (di quest’ultimo in quanto la norma prevede la corresponsione di un aggio pari al 4,65% a fronte della mera notifica della cartella di pagamento e in assenza di qualsiasi ulteriore attività).

I primi quattro motivi di ricorso ruotano poi attorno alla medesima questione denunciandosi con essi, rispettivamente:

– vizio di motivazione in relazione alla valutazione di manifesta infondatezza da parte del giudice a quo della prospettata questione (primo motivo);

– violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, per avere la C.T.R. ritenuto costituire inammissibile domanda nuova in appello la richiesta di interpretazione adeguatrice della norma nei sensi prospettati con la questione di legittimità costituzionale (secondo motivo);

– violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, commi 3, ove interpretato nel senso, costituzionalmente orientato, di ritenere addebitabile l’aggio esattoriale al debitore solo in caso di inadempimento, nella specie non configurabile o, in subordine, nel senso di ritenere la sua nuova formulazione non applicabile al caso di specie nel quale si verte dell’iscrizione a ruolo di tributi accertati quasi dieci anni prima (terzo e quarto motivo).

2.1. Giova premettere che non può certo configurarsi vizio di motivazione in relazione alla valutazione, operata dal giudice a quo, di manifesta infondatezza della predetta questione di legittimità costituzionale.

La questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che implichi l’applicazione della norma medesima, non può costituire infatti oggetto di un’autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero (nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito) un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione: la relativa questione è infatti deducibile e rilevabile, anche d’ufficio, nei successivi stati e gradi del giudizio che sia validamente instaurato, ove rilevante ai fini della decisione (Cass. 11/12/2006, n. 26319; v. anche Cass. n. 5135 del 2004; n. 16245 del 2003; n. 4399 del 1980).

2.2. Mette conto altresì preliminarmente rilevare che le questioni sollevate dalle ordinanze dei giudici di merito menzionate in ricorso ed altre analoghe sollevate da altri giudici di merito con ordinanze successive sono state dichiarate inammissibili in punto di rilevanza (Corte cost. 21 giugno 2013, n. 158; Corte Cost. 9 luglio 2015, n. 147; Corte Cost. 26 maggio 2017, n. 129).

2.3. Ciò premesso la prospettata questione di costituzionalità è manifestamente infondata e va disattesa, discendendone il rigetto anche dei motivi suesposti.

Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, la natura retributiva e non tributaria dell’aggio, nè tantomeno sanzionatoria, esclude la pertinenza del parametro della capacità contributiva nonchè degli altri invocati dalla parte e lascia alla discrezionalità del legislatore la fissazione dei criteri di quantificazione del compenso, non essendo irragionevole che una parte del compenso dell’organizzazione esattoriale sia comunque posta a carico del contribuente il quale pure abbia osservato il termine di pagamento della cartella (Cass. 28/02/2017, n. 5154).

Non può dubitarsi poi che la disciplina applicabile ratione temporis vada individuata con riferimento non già all’anno cui si riferiscono i tributi recuperati e le relative sanzioni, bensì a quello in cui ha inizio l’azione di riscossione, alla cui remunerazione sono finalizzati i compensi di che trattasi.

3. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia sul motivo di gravame con il quale si lamentava il mancato riconoscimento dell’illegittimità della cartella in quanto priva di sottoscrizione da parte del funzionario responsabile.

Benchè debba in effetti rilevarsi la mancanza in sentenza di uno specifico esame della censura, ad esso può tuttavia procedere questa Corte, trattandosi di questione di mero diritto, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 384 c.p.c. (v. Cass. n. 23740 del 2013; n. 5139 e 24914 del 2011; n. 8622 del 2012).

Ciò posto, il motivo è infondato.

Costituisce infatti ius receptum il principio secondo cui “in tema di riscossione delle imposte, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione” (cfr. ex multis Cass. n. 26053 del 2015; conf. Cass. n. 23381, n. 6164, n. 4783 e n. 1109 del 2017).

4. I motivi dal sesto al nono (numerati in rubrica come motivi 6, 6.1, 6.2 e 6.3) investono la sentenza impugnata nella parte in cui afferma l’inammissibilità della eccezione di illegittimità dell’iscrizione a ruolo di sanzioni per omessa compilazione del quadro RW, “perchè – così si legge in motivazione – non proposta in sede di ricorso avverso gli avvisi di accertamento ed anche perchè il D.Lgs. n. 471 del 1997, non ha abrogato del D.L. n. 167 del 1970, art. 5, commi 4 e 5, per cui non si è verificata la c.d. abolitio criminis”.

4.1. Con il primo di tali motivi il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 61, in relazione al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, art. 1 e D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 2, per avere la C.T.R. ritenuto inammissibile l’eccezione di illegittimità delle sanzioni per omessa compilazione del quadro RW, perchè non specificamente proposta in sede di impugnazione dell’atto impositivo originario; sostiene che, avendo egli impugnato l’avviso di accertamento nella sua unitarietà (e dunque sia con riguardo all’imposta che alle conseguenti sanzioni), per il principio di necessaria consequenzialità della sanzione rispetto al tributo, l’eccezione avrebbe dovuto ritenersi ricompresa nei motivi di ricorso.

Rileva che peraltro gli avvisi di accertamento, pur prevedendo nella parte motiva la violazione per omessa compilazione del quadro RW, espressamente non irrogavano sanzioni per tale violazione; inoltre, al tempo in cui furono notificati gli avvisi di accertamento (1996), la disciplina sanzionatoria non aveva ancora subito le modifiche in questa sede invocate a sostegno dell’eccezione, sicchè non vi era motivo per il contribuente di sollevarla.

4.2. Con il motivo n. 6.1. il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 16; D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3; D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 5, commi 1, 2 e 4, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 1990, n. 227; D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 19, convertito dalla L. 23 novembre 2001, n. 409, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto non abrogate (a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 471 del 1997) le disposizioni sanzionatorie per la violazione della normativa sul monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 5, commi 2, 4 e 5 e, conseguentemente, legittima l’iscrizione a ruolo delle sanzioni da essa previste (per un importo complessivo di Euro 2.412.052,58).

4.3. Con il motivo n. 6.2. il ricorrente denuncia inoltre, in relazione alla medesima statuizione, vizio di motivazione.

4.4. Con il motivo n. 6.3. il contribuente denuncia, in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia sulla richiesta, avanzata in via gradata con l’atto d’appello, di applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8 (che per le irregolarità formali prevede la sanzione da Euro 258 a Euro 2058) e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 (cumulo giuridico), di quest’ultimo anche con riferimento al “concorso formale eterogeneo” tra le sanzioni per la violazione della normativa sul monitoraggio fiscale e quelle conseguente alla violazione della normativa in materia di Irpef.

4.5. La prima censura è infondata.

Anche accedendo alla tesi del ricorrente, secondo cui l’eccezione di illegittimità delle sanzioni per omessa compilazione del quadro RW avrebbe dovuto ritenersi ricompresa nei motivi di ricorso proposti avverso gli avvisi di accertamento, se ne dovrebbe comunque desumere in tal caso il rigetto implicito in quello sancito, rispetto al ricorso medesimo, dalla sentenza della C.T.R. n. 28/11/2006 posta a base dell’iscrizione a ruolo, divenuta definitiva per il rigetto del susseguente ricorso per Cassazione (Cass. n. 4608 del 2008); resterebbe dunque confermata, sia pure sotto tale diverso profilo, la preclusione rilevata dal giudice a quo alla (ri)proposizione della medesima eccezione in sede di impugnazione della susseguente cartella esattoriale.

4.6. Rimangono conseguentemente assorbite le restanti censure, delle quali può comunque ad abundantiam rilevarsi l’inammissibilità, per una, e l’infondatezza, per le altre.

E’ inammissibile quella di cui al motivo n. 6.2. non potendosi configurare vizio di motivazione in relazione alla – soluzione adottata con riferimento a questioni di diritto (v. ex multis Cass. 17/11/1999, n. 12753).

Sono infondate le rimanenti.

Questa Corte ha invero già chiarito, con indirizzo dal quale non si ravvisa ragione di discostarsi, che in materia di omessa dichiarazione annuale per investimenti e attività di natura finanziaria all’estero, prevista dal D.L. n. 167 del 1990, art. 4, comma 2 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 227 del 1990), la sanzione di cui all’art. 5, comma 5, del citato D.L., non è stata tacitamente abrogata dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 16, comma 2, in relazione dello stesso D.Lgs. n. 471, art. 8, comma 1, in quanto la predetta dichiarazione ha l’esclusiva finalità di monitorare i trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva, e le relative violazioni restano sanzionate in modo specifico ed autonomo, assumendo carattere di specialità rispetto alla generale nozione di omessa, ovvero di inesatta od incompleta indicazione di dati rilevanti per la determinazione del tributo, punite del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1 (Cass. 18/02/2009, n. 3830).

5. I motivi dal decimo al dodicesimo (numerati in rubrica come motivi 7, 7.1 e 7.2) investono la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la richiesta di applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, “in quanto non espressa in sede contenziosa relativa agli avvisi di accertamento”.

5.1. Con il primo di essi il ricorrente denuncia al riguardo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1,D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 2 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18; rileva che gli accertamenti facevano riferimento alla disciplina sanzionatoria di cui al D.P.R. n. 600 del 1973 e sono stati notificati prima della entrata in vigore dei decreti di riforma del 1997, sicchè sarebbe stata impossibile la contestazione di un’erronea applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12,comma 5. Soggiunge che, in ogni caso, per il rapporto di accessorietà delle sanzioni rispetto al tributo, la contestazione della legittimità delle prime avrebbe dovuto ritenersi compresa in quella riferita al secondo.

5.2. Con il secondo (motivo n. 7.1) il ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, per avere la C.T.R. considerato rispettata, da parte dell’Ufficio, tale disposizione, attraverso l’irrogazione di una sanzione unitaria per più violazioni ma con riferimento separato a ciascun periodo di imposta (sommando cioè la sanzione unitaria rideterminata per i sette periodi d’imposta in contestazione): e ciò per effetto del provvedimento di sgravio parziale emesso in pendenza del giudizio relativo alla prima cartella emessa sulla base della medesima sentenza n. 28/11/2006 della C.T.R. della Lombardia prima che la stessa divenisse definitiva, provvedimento di sgravio fatto proprio dalla seconda cartella oggetto della controversia in esame.

5.3. Con il terzo (motivo n. 7.2) il ricorrente deduce sul punto anche vizio di omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione lamentando come illogico e contraddittorio “il ragionamento espresso in sentenza secondo cui, dalla premessa per la quale sarebbe valida la rideterminazione delle sanzioni effettuata dall’Ufficio al momento della notifica della cartella di pagamento (e dunque dopo gli avvisi di accertamento), discende la conclusione della inammissibilità della domanda del contribuente avente ad oggetto tale rideterminazione, perchè non proposto nei ricorsi contro detti avvisi di accertamento, precedenti rispetto al nuovo sistema sanzionatorio”.

5.4. Anche tali censure sono infondate, per rilievi analoghi a quelli in precedenza esposti.

Anche in tal caso infatti, pur accedendo alla tesi del ricorrente, secondo cui l’eccezione di illegittima applicazione delle sanzioni sotto il profilo considerato avrebbe dovuto ritenersi ricompresa nei motivi di ricorso proposti avverso gli avvisi di accertamento, se ne dovrebbe comunque desumere il rigetto implicito in quello sancito rispetto al ricorso medesimo e, dunque, la preclusione alla proposizione della medesima questione in questa sede.

Anche muovendo dalla diversa premessa secondo cui il calcolo delle sanzioni operato ai fini della riscossione discende da provvedimento di sgravio parziale adottato dall’Ufficio successivamente agli avvisi di accertamento, non ne muterebbe l’effetto preclusivo della doglianza rispetto alla cartella successivamente emessa, rivelandosi in tal senso comunque corretta la decisione dei giudici a quibus. Occorre al riguardo anzitutto rammentare che, come questa Corte ha più volte affermato, se si tratta – come nella specie – di annullamento parziale o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti definitivi, esso non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, per converso potendo e dovendo ammettersi una autonoma impugnabilità del nuovo atto (solo) se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa (Cass. 15/04/2016, n. 7511; Cass. 14/12/2016, n. 25673). Peraltro anche la tesi opposta della autonoma impugnabilità dello sgravio parziale non gioverebbe, nella specie, al ricorrente, atteso che, anche in tal caso, permarrebbe la preclusione rispetto alla doglianza svolta nei confronti della susseguente cartella, dovendosi solo emendare al riguardo il riferimento, quale motivo di preclusione, alla mancata proposizione della questione “in sede contenziosa relativa agli avvisi di accertamento” (anzichè alla mancata impugnazione del provvedimento di autotutela).

E’ certo in ogni caso da escludere che, trattandosi di questione di diritto, la soluzione sul punto data dal giudice a quo sia sindacabile sul piano della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. Con il tredicesimo motivo (in ricorso al paragrafo 8) il ricorrente denuncia infine violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 20 e del D.M. 3 settembre 1999, n. 321, art. 1, comma 1, lett. l,nonchè vizio di motivazione, per avere la C.T.R. rigettato anche il motivo di gravame relativo alla omessa indicazione nella cartella di pagamento delle modalità con cui gli stessi sono stati quantificati sulla base del rilievo che la cartella “contiene tutti gli elementi essenziali previsti dalle leggi vigenti (D.P.R. n. 620 del 1973, art. 20, D.M. 3 settembre 1999, art. 1, comma 1, lett. i)”, senza considerare che la cartella contiene la mera indicazione “Interessi Rit. Iscr. D.P.R. n. 602 del 1973” senza null’altro indicare se non l’importo finale ascritto a tale voce (e in particolare senza indicare il periodo a partire dal quale tale calcolo sarebbe stato effettuato e il termine finale per il conteggio stesso).

Il motivo è fondato e merita accoglimento.

Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario deve essere motivata, non rilevando che il debito sia stato riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, dal momento che il contribuente deve essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi, tanto più che alle cartelle di pagamento notificate dopo l’entrata in vigore della L. n. 212 del 2002, deve allegarsi la sentenza (v. Cass. 22/06/2017, n. 15554; Cass. 09/04/2009, n. 8651).

La decisione impugnata si appalesa informata a una diversa regula iuris secondo la quale invece una motivazione sul punto, nella cartella, non sarebbe strettamente necessaria. Resta conseguentemente assorbito l’esame della censura di vizio di motivazione contestualmente dedotta.

La sentenza va pertanto sul punto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

PQM

dispone la riunione al proc. iscritto al n. 11423/10 R.G. di quello iscritto al n. 25378/2011 R.G..

Dichiara inammissibile il ricorso iscritto al n. 11423/10 R.G. per sopravvenuta carenza di interesse; compensa integralmente le spese ad esso relative.

Accoglie il tredicesimo motivo (paragrafo n. 8) del ricorso iscritto al n. 25378/2011 R.G. nei termini di cui motivazione; rigetta tutti gli altri; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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