Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13109 del 24/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 13109 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 14291-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

329

MAIALETTI SONIA C.F. MLTSNO75L67L025P;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 24/06/2015

MAIALETTI SONIA c.f. MLTSNO75L67L025P, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale —

POSTE ITALIANE S.P.A. c.f. 97103880585;
– intimata –

avverso la sentenza n. 6201/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/06/2008 R.G.N.
8968/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/01/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
rigetto del ricorso principale, inammissibilità del
ricorso incidentale.

nonchè contro

Udienza 22 gennaio 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
R.G. n. 14291/09

1. Con sentenza depositata in data 5 giugno 2008, la Corte d’appello di Roma, in
accoglimento dell’impugnazione proposta da Sonia Maialetti, ha dichiarato la
nullità del termine apposto al contratto stipulato tra l’appellante e Poste Italiane
s.p.a. in data 1/6/1998 per la “necessità di espletamento del servizio in
concomitanza con il periodo di ferie”; ha dichiarato altresì la nullità del termine
apposto ai successivi contratti intercorsi tra le parti dal 3/2/1999 al 30/4/1999 e dal
6/6/2000 al 30/9/2000, entrambi stipulati “per esigenze eccezionali, conseguenti
alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in
corso……”, nonché del termine apposto agli ulteriori due contratti (dal 29/3/2001
al 31/5/2001 e dal 4/10/2001 al 31/1/2002) stipulati ai sensi dell’art. 25 del
C.C.N.L. 11 gennaio 2001, “per esigenze di carattere straordinario conseguenti
ai processi di riorganizzazione…”. Ha dichiarato, quindi, che tra le parti è
intercorso un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ancora in atto, ed ha
condannato la società a risarcire il danno subito dalla lavoratrice in misura pari
alle retribuzioni spettanti dalla messa in mora (12/12/2002) fino alla scadenza del
terzo anno successivo alla scadenza dell’ultimo contratto a termine (31/1/2005).
1.2. La Corte territoriale ha ritenuto illegittimo il primo dei detti contratti in
quanto la società non aveva articolato alcuna prova sull’effettiva esistenza delle
condizioni richiamate nel contratto a giustificazione del termine apposto. Quanto
ai successivi due contratti, ha ritenuto nullo il termine in quanto stipulati dopo il
30/4/1998, termine finale fissato dalle parti sociali con gli accordi integrativi
dell’accordo del 25/9/1997. Infine, in ordine gli ultimi due contratti, ha rilevato la
nullità del termine in ragione della genericità della causale, non essendo stata
peraltro dimostrata la necessaria correlazione tra le “generiche ragioni addotte
dalla società, neppure in ipotesi provate” e quelle specifiche dell’assunzione di
quel determinato lavoratore in quel luogo, in quel tempo, in quel settore e per lo
svolgimento di specifiche mansioni. In ordine al risarcimento del danno la Corte
ha riconosciuto le retribuzioni dalla formale messa a disposizione delle energie
lavorative del datore di lavoro e fino alla scadenza del triennio dall’ultimo
contratto.
1.3. Per la cassazione della sentenza, la società ha proposto ricorso affidato a sei
motivi. La lavoratrice ha resistito con controricorso e, a sua volta, ha spiegato
ricorso incidentale sostenuto da sette motivi, illustrati da memoria.
Preliminarmente, la Corte dispone la riunione delle impugnazioni, in quanto
proposte contro la medesima sentenza ex art. 335 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo Poste italiane censura la sentenza per violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230, nonché dell’art. 23

Svolgimento del processo

della legge 28 febbraio 1987, n. 56. In sintesi, sostiene l’erroneità della sentenza
nella parte in cui ha ritenuto insussistente il potere dei contraenti collettivi, ai
sensi dell’art. 23 della legge n. 56/1987, di individuare nuove ipotesi di assunzione
termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, senza limiti di tempo,
considerato che la suddetta legge non prevede alcun limite temporale al riguardo.
In tali termini, formula il quesito di diritto.
1.2. Con il secondo motivo la società censura la sentenza per violazione e falsa
applicazione dell’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e degli artt. 1362 e
seguenti c.c., nonché la contraddittoria e omessa pronuncia in ordine ad un punto
decisivo della controversia. Lamenta che la Corte non avrebbe proceduto ad
un’interpretazione corretta dell’art. 23 citato, anche alla luce dell’accordo del
25/9/1997, da cui non emergeva la necessità di una correlazione tra esigenze
eccezionali e processo di ristrutturazione e la singola assunzione, nonché la
necessità della specificazione del contenuto delle predette esigenze eccezionali. Il
motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “se costituisca violazione
dell’art. 23 legge n. 56/1987 nonché degli artt. 1362 e ss. c.c., ovvero violazione
dell’art. 8 del C.C.1V.L. 26/11/1994 così come integrato dall’accordo sindacale del
25/9/1997, aver subordinato la legittimità del contratto a termine in oggetto alla
dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo
lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico
ufficio di applicazione”.
1.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 1.
n. 56/1987, dell’art. 8 del C.C.N.L. 26 novembre 1994, nonché degli accordi
sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2
luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001 in connessione con gli
artt. 1362 e ss. c.c. Lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto
di individuare nella data del 30/4/1998 il termine ultimo di validità dell’accordo
integrativo del 25/9/1997, senza tuttavia esaminare il comportamento complessivo
successivo delle parti, come manifestatosi negli accordi successivi a quello del
25/9/1997.
1.4. Con il quarto motivo lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia, ritenendo che la Corte non
avrebbe indicato adeguatamente le fonti del suo convincimento in ordine alla
sussistenza di un termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 25/9/1997.
1.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1,
comma 2°, lett. b) e 3 1. n. 230/1962, dell’art. 8 C.C.N.L. 26/11/1994 e dell’art.
23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, in connessione con l’art. 1362 c.c., nonché
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia. Rileva che la previsione contrattuale posta a fondamento della prima
assunzione (“necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza
per ferie …”) era da reputarsi senz’altro legittima in quanto estrinsecazione
dell’ampio potere conferito dall’art. 23 citato, come peraltro riconosciuto dalla
giurisprudenza di questa Corte, richiedendosi esclusivamente la coincidenza
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Udienza 22 gennaio 2015
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Relatore Doronzo
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temporale tra l’assunzione e il periodo normalmente destinato alla fruizione delle
ferie, senza necessità di precise indicazioni del dipendente assente da sostituire.
1.6. Con il sesto ed ultimo motivo di gravame la ricorrente deduce la violazione e
la falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 c.c.(rectius: 1223 c.c.) e lamenta che
era mancata nel caso specifico una regolare costituzione in mora. Chiede pertanto
che si accerti “se, per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore
– a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine
stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di
riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro,
offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di
cui agli art. 1206 e seguenti c.c.”.
2.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Maialetti censura la sentenza
per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della
controversia: in particolare deduce l’insufficienza della motivazione nella parte in
cui ha ritenuto di limitare il risarcimento del danno spettante alla lavoratrice, in
conseguenza dell’illegittima apposizione del termine ai contratti in esame, al
triennio successivo alla scadenza dell’ultimo dei contratti a termine stipulati, senza
che ne risultino esplicitate le ragioni, apparendo apodittica e quindi insufficiente
quella secondo la quale un qualsiasi giovane disoccupato dovrebbe
necessariamente trovare un nuovo impiego nell’arco di tre anni.
2.2. Con il secondo motivo la lavoratrice deduce la violazione e/o la falsa
applicazione dell’art. 1226 c.c., non sussistendo i presupposti, e comunque non
essendo stati gli stessi esplicitati, per il ricorso alla liquidazione equitativa,
laddove sussistevano gli elementi per un’esatta quantificazione del danno, a far
tempo dall’offerta, da parte della lavoratrice, delle proprie prestazioni lavorative
alla società datrice di lavoro, fino al momento dell’effettiva riammissione in
servizio.
2.3. Con il terzo motivo la lavoratrice lamenta la violazione o falsa applicazione
dell’art. 2729 c.c., ritenendo che la presunzione operata nella sentenza impugnata,
con riferimento alla limitazione del risarcimento del danno al detto triennio, non
costituisca una valutazione prudente, in assenza di ulteriori indagini.
2.4. Con il quarto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione
dell’art. 1218 c.c. nella parte in cui la sentenza non avrebbe considerato che, a
fronte dell’offerta delle proprie energie lavorative, e dunque della costituzione in
mora della società datrice di lavoro, sussisteva il suo diritto al risarcimento del
danno, in difetto di prova da parte del debitore inadempiente che l’inadempimento
o il ritardo fossero stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da
causa non a lui non imputabile.
2.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione
dell’art. 1223 c.c., nella parte in cui la sentenza, limitando il risarcimento del
danno nella misura predetta, non aveva proceduto all’integrale riparazione del
pregiudizio sofferto dalla lavoratrice, il quale comprendeva tanto il danno
emergente quanto il lucro cessante e, peraltro, costituiva conseguenza immediata è
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diretta dell’inadempimento della datrice di lavoro di riattivare il rapporto, a fronte
di un formale atto di costituzione in mora.
2.6. Con il sesto motivo la lavoratrice denuncia la nullità della sentenza o del
procedimento per violazione dell’art. 432 c.p.c., che consente la liquidazione
equitativa del danno solo quando non sia possibile determinare la somma dovuta,
ipotesi non sussistente nel caso in esame dovendosi parametrare il risarcimento
del danno alla retribuzione mensile percepita dalla lavoratrice.
2.7. Con il settimo motivo denuncia la nullità della sentenza o del procedimento
per la violazione dell’art. 114 c.p.c., nella parte in cui il giudice aveva deciso
secondo equità in assenza di un’espressa richiesta delle parti in tal senso.
3. Ragioni di ordine logico consigliano la trattazione del quinto motivo del ricorso
principale proposto da Poste italiane s.p.a., il quale riguarda il primo dei contratti
a termine, stipulato per il periodo 1/6-30/9/1998 ai sensi dell’art. 8 del C.C.N.L.
26/11/1994, per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze
per ferie per il periodo giugno-settembre.
3.1. Il motivo si profila ammissibile sotto il profilo della dedotta violazione di
legge, emergendo con chiarezza, anche dalla formulazione del quesito conclusivo,
il momento di conflitto tra le norme citate e la decisione della Corte territoriale in
relazione al caso concreto.
È invero incontestato che il contratto datato è stato stipulato “alle condizioni di
legge e dell’art. 8 del C.C.N.L. del 26 novembre 1994 e in particolare per
necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie per il
periodo giugno-settembre.”.
3.2. Sul punto, con riferimento alla causale di sostituzione di personale assente per
ferie, già Cass. 13 giugno 2005, n. 12632, ha affermato che “in materia di
assunzione a termine dei lavoratori subordinati regolata dalla L. 28 febbraio
1987, n. 56, art. 23 e non dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, la mancata indicazione
del nominativo del lavoratore sostituito non comporta alcuna nullità del contratto
per difetto di forma né la conseguente conversione del rapporto di lavoro in
rapporto a tempo indeterminato, non essendo la nullità per difetto di forma
prevista dalla legge applicabile al rapporto, stante il principio
di tassatività della forma vigente nel nostro ordinamento”.
3.3. Si è quindi consolidato l’indirizzo secondo cui la legge n. 56 del 1987, art. 23,
che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove
ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, “configura
una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto,
senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine
comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al
contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla
stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo
meramente “soggettivo”, (v. fra le altre Cass. Sez.un., 2 marzo 2006 n. 4588;
Cass., 23 agosto 2006 n. 18378).

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3.4. In specie, poi, questa Corte (cfr., Cass., 2 marzo 2007, n. 4933), decidendo su
una fattispecie analoga a quella in esame, ha cassato la sentenza di merito che
aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il
nome del lavoratore sostituito, avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di
norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.
3.5. La violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la
quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta
dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione
legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie previsto dalla
legge n. 230/1962, ponendosi in contrasto col principio di diritto della “delega in
bianco” enunciato dalle Sezioni Unite.
3.6. Coerentemente, altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio
Cass., 6 dicembre 2005, n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che
aveva ritenuto l’autonomia dell’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla
contrattazione collettiva rispetto alla previsione legale del termine apposto per
sostituire dipendenti assenti per ferie di cui alla detta legge ed interpretato
l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto
per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i
dipendenti fruiscono delle ferie. Tale orientamento va confermato anche con
riferimento alla nuova previsione collettiva contenuta nell’art. 25 del ceni del 2001
(che, del resto, parimenti non prevede alcun obbligo di indicazione nel contratto
individuale del nominativo del dipendente da sostituire: cfr. Cass. 16 novembre
2012,n. 20161; Cass., 15 ottobre 2012, n. 17620; Cass. 24 febbraio 2012,n. 2912;
Cass., 28 febbraio 2012, n. 3029; Cass., 28 dicembre 2011, n. 29294; Cass., 2
marzo 2011, n. 5087).
3.7. La tesi interpretativa accolta nell’impugnata sentenza si muove nella
(erronea) prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in
bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili
dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962 (v. fra le altre Cass. 12 marzo 2008 n.
6658).
3.8. Invece, con riguardo alla causale in parola (“necessità di espletamento del
servito in concomitanza di assente per ferie nel periodo giugno settembre”), non
trova applicazione il limite temporale (di cui all’accordo attuativo dell’accordo
integrativo del 25 settembre 1997, sottoscritto in pari data, ed al successivo
accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998), oltre il quale questa
Corte ha ritenuto, ma in relazione alla diversa causale delle
“esigente eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione
degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di
nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse
umane”, l’illegittimità dell’apposizione del termine (cfr., ex plurimis, Cass., 25
ottobre 2007, n. 22352). Infine è stato anche affermato (v. Cass. 28 marzo 2008
n. 8122) che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame
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(art. 8 c.c.n.l.) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto
alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie,
l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto
per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di
servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonché la
relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico
riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”. Il
sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte deve essere
pienamente confermato (v. Cass., 22 dicembre 2014, 27225).
Conseguentemente, il motivo deve essere accolto, con la conseguente
declaratoria della legittimità del contratto a termine relativo al periodo 1 giugno30 settembre 1998.
4. Sono invece infondati i primi quattro motivi di doglianza, con i quali viene
posta in discussione l’osservanza del limite temporale del 30/4//1998
contemplato dalla contrattazione collettiva di riferimento, di cui all’art. 8 del
C.C.N.L. del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 e
dal successivo accordo attuativo del 16 gennaio 1998, per la causale
concernente le assunzioni disposte per far fronte alle esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti
occupazionali.
4.1. Al riguardo, sulla scia della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte
(Cass. S.U. 2 marzo 2006, n. 4588), è stato precisato che “l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di
definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge
n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea
garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico
limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto,
dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed
esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei
lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione
data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato”(v.
Cass. 4 agosto 2008, n. 21063, v. anche Cass. 20 aprile 2006, n. 9245, Cass. 7
marzo 2005, n. 4862, Cass. 26 luglio 2004, n. 14011). “Ne risulta, quindi, una
sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne
sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi
comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema
da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008, n. 21062, Cass. 23
agosto 2006, n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un
limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della
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clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Casa. 23 agosto 2006, n.
18383, Cass. 14 aprile 2005, n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004, n. 2866).
4.1. In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e
come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti
postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del
26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto
in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza
della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente
ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute
dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le
altre, Cass. 1 ottobre 2007, n. 20608; Cass. 4 agosto 2008, n. 21062; Cass. 27
marzo 2008, n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
5. Risultano, invece, del tutto generiche e sostanzialmente non pertinenti rispetto
alla fattispecie le censure che fanno leva sulle conseguenze economiche della
ravvisata illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in esame, in
quanto le stesse si risolvono nella enunciazione in astratto delle regole vigenti
nella materia senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del
concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011,
n. 80; Cass.29 aprile 2011, n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da
questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007, n. 36)
secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente
riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un
quesito generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo
motivo, come nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1
settembre 2011 n. 17674). Pertanto, tali censure vanno respinte.
6. Passando all’esame dei motivi del ricorso incidentale, dei quali va disposta
trattazione congiunta in ragione della loro logica connessione, ritiene il collegio
che essi siano inammissibili per difetto di interesse della ricorrente. Deve infatti
rilevarsi che la questione della misura del risarcimento, a prescindere dalla
fondatezza dei motivi di cui sopra con riferimento alla legislazione
previgente, deve ora trovare la sua disciplina nella L. n. 183 del 2010, art. 32,
commi 5 e 6.
6.1. Tale disposizione, come è noto, stabilisce che, “nei casi di conversione del
contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al
risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva nella
misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio
1966, n. 604, art. 8….”. “In presenza di contratti ovvero
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accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che
prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati
con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo
dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”. “Le disposizioni di cui ai
commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi ivi compresi quelli pendenti
alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi
giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai
commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione
della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi
dell’art. 421 c.p.c.”. La norma è applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in
grado di legittimità (sul punto v. già Cass., ord. 28 gennaio 2011, n. 2112), come è
stato affermato da questa Corte (v. Cass. 31 gennaio 2012, n. 1409; Cass. 31
gennaio 2012, n. 1411). Il riconoscimento dell’indennità opera a prescindere
dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova concreta di
un danno, trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva per i danni
causati dalla nullità del termine.
6.2. Deve tuttavia rilevarsi che, nel caso in esame, la Corte d’appello ha
riconosciuto alla lavoratrice, odierna ricorrente incidentale, a titolo di risarcimento
danni, un importo pari alle retribuzioni dei spettanti dalla messa in mora del
12/12/2002 fino al 31/1/2005, ovvero per un periodo senz’altro più ampio rispetto
a quello che le verrebbe riconosciuto in applicazione dell’art. 32 citato. Sotto tale
profilo la ricorrente difetta di interesse ad impugnare la sentenza, non potendo
ottenere più di quanto le è già stato riconosciuto, e tanto in applicazione del
divieto di “reformatio in pejus”. Ne consegue che deve essere dichiarata
inammissibile l’impugnazione avverso la sentenza di merito che abbia determinato
il risarcimento del danno in misura comunque superiore a quanto
risulterebbe dalla liquidazione della citata indennità nella misura massima (Cass.,
29 novembre 2013, n. 26840; Cass., 9 ottobre 2014, n. 21309).
7. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto (il quinto) concernente il
solo rapporto lavorativo intercorso nel periodo 1/6/1998 – 30/9/1998, mentre per il
resto della controversia, interessato dalle censure che sono state respinte, la stessa
decisione va confermata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ai
sensi dell’art. 384, comma 2°, c.p.c., la causa può essere decisa nel merito
attraverso l’individuazione della diversa data del 3 febbraio 1999, quale giorno di
decorrenza della conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo
indeterminato in luogo di quello accertato nelle precedenti fasi di merito del
giudizio. Vanno, invece, confermate le statuizioni della sentenza impugnata
relative alle spese processuali dei gradi di merito, mentre le spese del giudizio di
legittimità vanno poste a carico della ricorrente, in applicazione del principio della
soccombenza, e si distraggono in favore del difensore della controricorrente,
dichiaratosi anticipatario.
P.Q.M.
8

Udienza 22 gennaio 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
RG. n. 14291/09

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il quinto motivo del ricorso principale, che per
il resto rigetta. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e,
decidendo nel merito, sposta la decorrenza della conversione del rapporto di
lavoro a tempo indeterminato al 3 febbraio 1999. Dichiara inammissibile il ricorso
incidentale. Conferma le statuizioni della sentenza impugnata relative alle spese
processuali dei gradi di merito. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e in € 3500,00 per
compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge, disponendone
l’integrale distrazione in favore dell’avvocato Roberto Rizzo.
Così deciso in Roma il 22 gennaio 2015
Il Presidente

Udienza 22 gennaio 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
R.G. n. 14291/09

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