Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13109 del 15/06/2011

Cassazione civile sez. II, 15/06/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 15/06/2011), n.13109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28921/2005 proposto da:

S.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DATINI 8, presso lo studio dell’avvocato GRANDE

NICOLETTA, rappresentata e difesa dagli avvocati MILANO Gaetano,

MARESCA ANTONIO;

– ricorrente –

contro

O.F.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato

LAURO MASSIMO, rappresentata e difesa dall’avvocato DILENGITE

Giuseppe;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 362/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso con il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 580/03 il Tribunale di Torre Annunziata, in accoglimento della domanda proposta da O.F.G., condannava S.S. all’abbattimento dell’ampliamento dalla medesima realizzato del suo fabbricato fronteggiante quello dell’attrice nonchè al risarcimento dei danni.

Con sentenza dep. il 9 febbraio 2005 la Corte di appello di Napoli rigettava l’impugnazione proposta dalla convenuta.

I Giudici di appello escludevano che fosse stata raggiunta la prova che, come sostenuto dall’appellante, il vicoletto esistente fra le proprietà delle parti fosse di proprietà comunale o fosse asservito all’uso pubblico: a tale conclusione non poteva pervenirsi neppure in base al certificato, rilasciato su istanza della convenuta in epoca successiva alla sentenza di primo grado, dal Caposettore della Gestione LL.PP. della Città di Vico Equense, tenuto conto delle divergenze fra quanto risultante da detto certificato e quanto emerso dalle rilevazioni del consulente e dalla deliberazione della Giunta Comunale sulla lunghezza del Vico Buono, dovendosi escludere che la seconda diramazione del Vico Buono potesse essere in quello inclusa;

la certificazione in esame non rivestiva la fede privilegiata dell’atto pubblico, perchè in realtà conteneva un giudizio del pubblico ufficiale.

La violazione delle distanze legali era suscettibile di arrecare danno al fabbricato dell’attrice.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S. S. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso O.F.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., denuncia l’errore della sentenza gravata laddove aveva escluso che il certificato integrasse un certificato amministrativo che, come tale, è atto pubblico dotato di fede privilegiata, attribuendogli invece il valore di semplice opinione del pubblico ufficiale.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la errata valutazione delle prove nell’accertamento dei danni liquidati all’attrice, non avendo la sentenza considerato la prima consulenza redatta dall’ing. L. ma avendo accolto le conclusioni alle quali era pervenuto in sede di chiarimenti il perito B.D. esorbitando dal mandato.

Censura ancora la sentenza laddove non aveva indicato le ragioni per le quali aveva negato la natura di certificato amministrativo alla produzione in atti.

Il terzo motivo, deducendo omessa e insufficiente motivazione, censura la sentenza laddove non aveva indicato le ragioni per le quali aveva dato prevalenza alla consulenza B. rispetto a quella L. che era stata invece redatta con metodi rigorosamente scientifici.

I motivi, che per la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Per quel che concerne la natura di atto pubblico della certificazione prodotta, innanzitutto le censure difettano di autosufficienza, non essendo stato trascritto il testo integrale di tale atto, dovendo qui ricordarsi che in relazione al vizio di motivazione per omesso esame di un documento decisivo, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento nella sua integrità in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006;

12984/2006; 7610/2006; 10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove esso fosse stato preso in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa.

La sentenza ha, con motivazione congrua e corretta, spiegato che la qualificazione di strada pubblica del vicoletto in questione era frutto di un giudizio compiuto dal pubblico ufficiale in quanto non era il risultato di una constatazione e certificazione di dati certi e obiettivi in possesso dell’Amministrazione, atteso che le conclusioni alle quali era pervenuto il Caposettore erano il frutto di opinioni personali ed erano addirittura contrastate dagli elementi obiettivi acquisiti.

Ne consegue che, a stregua dell’accertamento compiuto dai Giudici, correttamente è stata esclusa la natura di atto pubblico al certificato prodotto, atteso che ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., la fede privilegiata è riconoscibile all’atto pubblico solo per quanto attiene alle circostanze obiettive cadute sotto la diretta percezione del pubblico ufficiale, ovvero risultanti da documenti ufficiali, formati dall’Amministrazione cui il pubblico ufficiale appartenga od alla cui conservazione sia preposto, restando, viceversa, esclusa per le valutazioni ed i giudizi, che riflettano un’elaborazione critica di altri elementi di conoscenza acquisiti in un momento anteriore alla formazione dell’atto e per i quali vale, pertanto, il principio della libera valutabilità da parte del giudice.

Il motivo, in sostanza, pur facendo riferimento a violazioni di legge, censura la valutazione circa la natura dell’atto, che è evidentemente oggetto di un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e che è insindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione che nella specie è insussistente, dovendo qui ricordarsi che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre la falsa applicazione delle legge riguarda la sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nella ipotesi normativa: viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione che nella specie è insussistente e che peraltro non è stato dedotto secondo il paradigma di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. Infatti, il vizio deducibile ai sensi della norma citata deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

Per quel che concerne l’erronea valutazione delle prove sul danno, il motivo si risolve nella censura dell’apprezzamento delle risultanze delle indagini e delle conclusioni dei consulenti che hanno ad oggetto accertamenti di fatto riservati al giudice di merito insindacabili in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, dovendo qui ribadirsi quanto al riguardo si è detto sopra.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2011

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