Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13109 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. I, 14/05/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 14/05/2021), n.13109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4241/2019 proposto da:

M.I.R., elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avvocato Pinto Guglielmo, rappresentato e difende dall’avvocato

Tarchini Maria Cristina, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1260/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2020 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

M.I., cittadino del (OMISSIS), propose ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, del permesso umanitario, assumendo di aver lasciato il paese a seguito delle minacce dei familiari della ragazza con la quale aveva una relazione da loro uccisa, in quanto promessa in sposa dagli stessi familiari ad un terzo, intendeva fuggire con il ricorrente.

Il Tribunale di Brescia con ordinanza del 18.1.17, rigettò il ricorso. Con sentenza emessa il 16.7.18, la Corte d’appello rigettò l’impugnazione proposta dal M., osservando che: a prescindere da ogni valutazione sull’attendibilità del ricorrente, la vicenda personale del ricorrente non configurava alcuna fattispecie legittimante lo status di rifugiato o le fattispecie di protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b), non emergendo che in caso di rimpatrio al ricorrente possa essere applicata la pena di morte o una sanzione degradante, mentre era esclusa una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato sulla base delle informazioni attinte da varie fonti internazionali; non era riconoscibile la protezione umanitaria in mancanza di condizioni soggettive di vulnerabilità, tenuto altresì conto della possibilità di ottenere adeguata tutela con la denuncia alle autorità locali in ordine alle minacce ricevute (mentre è stata ritenuta inammissibile la documentazione relativa all’attività lavorativa)

Il M. ricorre in cassazione con due motivi.

Non si è costituito il Ministero.

Diritto

RITENUTO

Che:

Con il primo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, con riferimento al D.Lgs. n. 251, art. 14, lett. c), poichè la Corte territoriale ha escluso in maniera apodittica, senza assumere informazioni aggiornate, che la situazione generale del Punjab – regione del Pakistan di provenienza del ricorrente – sia tale da esporre a pericolo l’incolumità del ricorrente.

Con il secondo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non avendo la Corte d’appello verificato la sussistenza di un obbligo costituzionale, ex art. 10 Cost., a fornire protezione a coloro che, come il ricorrente, fuggono da paesi nei quali vi siano sconvolgimenti sociali tali da creare pericoli per la vita o per l’incolumità personale, e senza tener conto del radicamento dell’istante sul territorio nazionale ove risiede da tempo, lavorando regolarmente.

Il primo motivo è inammissibile. In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 26728/2019).

Nel caso concreto, il motivo si limita ad una generica allegazione in ordine alla situazione generale del Pakistan, tale da esporre a pericolo l’incolumità dell’istante, senza effettuare alcun riferimento specifico a fonti internazionali che evidenzierebbero – al contrario di quella consultata dalla Corte d’appello – una situazione di violenza indiscriminata.

Il secondo motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha accertato che il richiedente non ha addotto ulteriori profili di vulnerabilità, oltre quello della pretesa uccisione di uno zio e della fidanzata, reati per i quali – a suo dire – i colpevoli sarebbero stati, peraltro, condannati nel su Paese. Le prove circa il lavoro prestato in Italia sono state tardivamente prodotte, per cui il bilanciamento tra le condizioni di vita nel Paese ospitante e quello di origine non è stato possibile. La censura ripropone genericamente questioni di merito già proposte al giudice a quo. Quanto alle deduzioni circa il diritto di asilo ex art. 10 Cost., va osservato che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3(Cass., n. 16362/2016; C:ass., n. 11110/2019).

Nulla per le spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

 

 

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