Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13107 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 07/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19739/2016 R.G., proposto dal:

Comune di Carugate (MI), in persona del Sindaco pro tempore,

autorizzato ad instaurare il presente procedimento in virtù di

deliberazione adottata dalla Giunta Municipale il 5 maggio 2015 n.

73, rappresentato e difeso dall’Avv. Christian Califano, con studio

in Bologna, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Laura Rosa, con

studio in Roma, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del

presente procedimento;

– ricorrente –

contro

la “S.S.C. Società Sviluppo Commerciale S.r.l.”, con sede in Milano,

in persona del procuratore speciale pro tempore, rappresentato e

difeso dal Prof. Avv. Raffaello Lupi, con studio in Roma, dall’Avv.

Alessia Vignoli con studio in Roma, e dall’Avv. Claudio Lucisano,

con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in

margine al controricorso di costituzione nel presente procedimento.

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Milano il 29 marzo 2016 n. 1790/19/2016, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

febbraio 2020 dal Dott. Lo Sardo Giuseppe;

udito per il ricorrente l’Avv. Christian Califano, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per la controricorrente l’Avv. Alessia Vignoli, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott. Giacalone Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 29 marzo 2016 n. 1790/19/2016, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale di Milano accoglieva l’appello proposto dalla “S.S.C. Società Sviluppo Commerciale S.r.l.” nei confronti del Comune di Carugate (MI) avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano il 29 settembre 2014 n. 7903/02/2014, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello rilevava che: a) il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento con i quali il Comune di Carugate (MI) aveva intimato alla “S.S.C. Società Sviluppo Commerciale S.r.l.” il pagamento della T.A.R.S.U., rispettivamente, per l’anno 2007 e per l’anno 2008 in relazione ad un centro commerciale; b) la Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il ricorso della contribuente, ritenendo che la convenzione intercorsa tra le parti il 2 luglio 1997 per l’esenzione dalla T.A.R.S.U. fosse affetta da nullità per violazione di norma imperativa. La Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione di primo grado, riconoscendo l’esenzione anche per la raccolta dei rifiuti assimilati.

2. Avverso la sentenza di appello, il Comune di Carugate (MI) proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 20 luglio 2016 ed affidato a quattro motivi; la “S.S.C. Società Sviluppo Commerciale S.r.l.” si costituiva con controricorso. Le parti depositavano memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, nonchè degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che i principi di legittimo affidamento e buona fede impongano non soltanto di irrogare sanzioni ed applicare interessi, ma anche di rinunciare alla pretesa impositiva.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver esaminato il decisivo profilo della validità della convenzione intercorsa tra le parti il 2 luglio 1997, riflettendosi tale circostanza sulla legittimità dell’atto impositivo.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62 e art. 6, comma 4, lett. b, del regolamento comunale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che l’ente impositore potesse concedere alla contribuente l’esenzione totale dalla T.A.R.S.U., essendo consentita soltanto una riduzione percentuale in relazione alla superficie interessata dalla produzione di rifiuti speciali.

4. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che la mancata pattuizione della durata della convenzione intercorsa tra le parti non fosse stata considerata a fondamento della pretesa impositiva negli avvisi di accertamento, ma fosse stata allegata soltanto in sede contenziosa per contrastare l’impugnazione.

5. I motivi possono essere trattati in modo congiunto per la stretta connessione delle questioni controverse.

5.1 Si pone, anzitutto, la questione dell’interpretazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 (c.d. “Statuto del contribuente”), in relazione all’estensione dei principi di correttezza e buona fede nei rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria.

Secondo questa Corte, in tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’amministrazione finanziaria, ai sensi dello Statuto del contribuente, art. 10, comma 1 e comma 2, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono. Infatti, i casi di tutela espressamente enunciati dal citato Statuto del contribuente, art. 10, comma 2 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 10 dicembre 2002, n. 17576; Cass., Sez. 5, 22 settembre 2003, n. 14000; Cass., Sez. 5, 9 novembre 2011, n. 23309; Cass., Sez. 6, 14 gennaio 2015, n. 537).

Ad ogni modo, è stato precisato che le conseguenze sul rapporto tributario, correlate alla situazione di legittimo affidamento, attengono soltanto all’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessorii che la legge riconduce all’inadempimento colpevole della obbligazione tributaria, ma non incidono sulla debenza del tributo, in quanto l’insorgenza dell’obbligazione prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto, dipendendo in via esclusiva dal dato obiettivo della realizzazione dei presupposti impositivi (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 25 marzo 2015, n. 5934; Cass., Sez. 5, 18 maggio 2016, n. 10195; Cass., Sez. 5, 11 luglio 2019, n. 18618).

5.2 Ciò posto, si può ribadire – sia pure incidenter tantum, non rientrando la questione nel thema decidendum del giudizio tributario – che la convenzione avente ad oggetto la pattuizione dell’esonero dall’assoggettamento alla T.A.R.S.U. (a fronte dell’onere di sostenere, a cure e spese della contribuente, il costo della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, anche speciali, su tutta l’area del centro commerciale) è certamente nulla per contrarietà a norme imperative (art. 1418 c.c., comma 1).

Facendo leva sul R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 49 (portante il “Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato”), a tenore del quale “nei contratti non si può convenire esenzione da qualsiasi specie di imposte o tasse vigenti all’epoca della loro stipulazione”, questa Corte ha chiarito che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, di cui al R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 268 s.s., come sostituiti dal D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (applicabile ratione temporis), essendo destinata al procacciamento dei mezzi necessari alla realizzazione delle finalità istituzionali del Comune, deve essere applicata uniformemente nei confronti di tutti coloro che la legge individua come soggetti passivi, con conseguente inderogabilità convenzionale di tale obbligo da parte dell’ente locale – ai sensi del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 49 – e nullità delle relative clausole di esonero dall’obbligazione tributaria (in termini: Cass., Sez. 5, 30 maggio 2002, n. 7945 – nello stesso senso, con riguardo alla T.O.S.A.P.: Cass., Sez. 5, 9 novembre 2004, n. 21311).

5.3 Tale indirizzo trova le sue radici nell’affermazione generale per cui è principio fondamentale del diritto tributario, insito e connaturale al sistema, che i tributi siano applicati uniformemente nei confronti di tutti coloro che la legge designa come soggetti passivi di imposizione, che siano cioè applicati senza particolari privilegi o agevolazioni convenzionali, nè a titolo gratuito nè a titolo oneroso, potendo solo la legge stabilire esenzioni o sgravi da imposte e tasse. Tale principio, desumibile dal R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 49 contenente il regolamento per l’esecuzione della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello stato, nonchè da tutto il sistema del vigente ordinamento tributario, vale non solo per i tributi erariali, ma anche per quelli degli enti locali, che hanno anch’essi natura pubblicistica e sono anch’essi disciplinati da norme di carattere imperativo (ex plurimis: Cass., Sez. 1, 12 luglio 1965, n. 1464).

Invero, la presunta convenienza economica della operazione non può giustificare l’esenzione dal pagamento dei tributi. In presenza del presupposto impositivo, il contribuente è tenuto al pagamento del tributo, salvo che non ricorrano le ipotesi di esenzione (o altre forme di agevolazione) espressamente previste dalla legge. Nè l’obbligazione tributaria può essere barattata con altre forme di “corrispettivo”, anche se, in ipotesi, risultassero più convenienti. Questa conclusione, che trova la sua fonte normativa immediata nel citato R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 49, deriva dai principi di riserva di legge in materia tributaria (art. 23 Cost.), di uguale trattamento dei cittadini (art. 3 Cost.) e di trasparenza degli uffici pubblici (intesa come “buon andamento” ed “imparzialità” degli stessi, ex art. 97 Cost.) (in termini: Cass., Sez. 5, 9 novembre 2004, n. 21311).

In applicazione di tale principio, è stato anche precisato che la norma di esenzione tributaria, sottraendo alla sfera di applicazione della norma impositiva situazioni oggettive o soggettive che altrimenti vi rientrerebbero, deve avere pari grado di quest’ultima; pertanto, si deve escludere che esenzioni od agevolazioni, non rientranti fra quelle tassativamente previste, possano trovare titolo in norme secondarie contenute nei regolamenti locali, in difetto di una disposizione della legge statale che attribuisca al Comune il relativo potere (in termini, con riguardo alla T.O.S.A.P. nel regime disciplinato dal R.D. 23 maggio 1924 n. 827: Cass., Sez. 1, 5 aprile 1978, n. 1547).

5.4 Venendo al regime vigente ratione temporis della T.A.R.S.U., il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 67, comma 1, ha disposto che, “oltre alle esclusioni dal tributo di cui all’art. 62 ed alle tariffe ridotte di cui all’art. 66, i Comuni possono prevedere con apposita disposizione del regolamento speciale agevolazioni, sotto forma di riduzioni ed, in via eccezionale, di esenzioni”.

Nell’esercizio di tale facoltà, l’art. 6, commi 2 e 4, lett. b, del regolamento comunale (approvato con deliberazione adottata dal Consiglio Comunale il 28 settembre 1995 n. 58) ha previsto:

– che, nel caso in cui non sia possibile definire oggettivamente la parte di superficie ove si formano i rifiuti speciali, l’area esclusa sia determinata nella misura forfettaria del 60% della superficie dei locali e, correlativamente, l’area tassata sia determinata nella misura forfettaria del 40% della superfice dei locali (comma 2);

– che il Comune possa autorizzare lo smaltimento in proprio dei rifiuti assimilati a norma della L. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g, con conseguente esclusione della tassazione delle aree produttrici, secondo le modalità e le percentuali di detassazione previste dal comma 2 della medesima disposizione (comma 4, lett. b).

Dunque, in sede regolamentare, il Comune di Carugate (MI) si è limitato a riconoscere ai produttori, per un verso, l’esenzione dalla T.A.R.S.U. per la sola estensione della superficie destinata alla produzione di rifiuti speciali, e, per un altro verso, l’autorizzazione dello smaltimento in proprio dei rifiuti assimilati con l’esenzione dalla T.A.R.S.U. per la sola estensione della superficie destinata alla produzione di rifiuti assimilati.

In definitiva, al di là dei limiti fissati in astratto alla normazione secondaria in base ad una ponderata esegesi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 67, comma 1, nessuna disposizione del regolamento comunale de quo riconosce – e tanto meno avrebbe potuto consentire in sede di convenzione stipulata con un soggetto privato un’esenzione dalla T.A.R.S.U. nella misura corrispondente all’intera estensione dei locali e dalle aree scoperte in uso ai produttori di rifiuti speciali o assimilati, senza tener conto, da un lato, della superficie occupata dagli impianti o dalle lavorazioni da cui si generano rifiuti speciali o assimilati; dall’altro lato, della superficie occupata dai locali adibiti ad uffici, mense, spogliatori e servizi, dai locali accessori, dalle aree esterne pertinenziali e dalle aree ove si producono rifiuti ordinari o assimilati.

5.5 Per cui, sul rilievo dell’illegittimità della convenzione (per violazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 67, comma 1, in difetto una specifica deroga del regolamento comunale), ma in ossequio ai richiamati principi di correttezza e buona fede (nella declinazione fattane dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10), l’ente impositore ha correttamente notificato gli avvisi di accertamento alla contribuente per il recupero della sola imposta (al netto, cioè, della maggiorazione di accessori e sanzioni) per gli anni 2007 e 2008.

Difatti, per quanto si è detto, se è vero che la convenzione non era vincolante per l’ente impositore con riguardo al /g, riconoscimento sine die di un esenzione contra legem, è altrettanto vero che la contribuente aveva fatto incolpevole affidamento sulla perdurante vigenza dell’esenzione stessa per la condotta pregressa dell’ente impositore.

In tal modo, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 2, si può fondatamente ritenere che il comportamento della contribuente (cioè, la reiterata inadempienza dell’obbligazione tributaria dal momento della stipulazione della convenzione) risultava posto in essere a seguito di un fatto direttamente conseguente ad un errore dell’ente impositore (cioè, dapprima, la stipulazione e, poi, l’esecuzione della convenzione, con la conseguente inerzia nell’esercizio della pretesa tributaria). Il che giustifica, al contempo, la pretesa al pagamento della tassa per gli anni di riferimento e la rinunzia alla correlativa maggiorazione per sanzioni ed interessi moratori.

5.6 D giudice di appello non si è attenuto ai principi enunciati, travisando il tenore della norma legislativa e della norma regolamentare sulla reale portata dell’esenzione dalla T.A.R.S.U. con l’erronea argomentazione che, “al di là (…) della nullità o meno della Convenzione, e salvo l’accertamento di eventuali responsabilità amministrativo/contabili/erariali di chi la ha deliberata per conto del Comune, l’ente non poteva nel 2012 pretendere retroattivamente la tassa per il 2007 e il 2008, epoca in cui la vigenza della Convenzione none era in nessun modo messa in discussione e considerato che in fatto sussistevano in capo a SSC i presupposti per fruire della esclusione ex art. 6 comma 4 lett. b del regolamento dello stesso Comune di Carugate”.

7. Pertanto, stante la fondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere accolto e l’impugnata decisione deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di rigetto del ricorso originario della contribuente.

8. Possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio del merito, tenuto conto dell’andamento del medesimo e della progressiva evoluzione della giurisprudenza di questa Corte sulle questioni trattate, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna la contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente impositore, che liquida nella somma complessiva di Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 30 giugno 2020

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